MAYBE I’M+BOKASSA’”Paraponziponzipò”(jestrai/Lepers prod./hysm?/eclectic polpo/la fine/SGR musiche/Charity press).
L’Africa,questa (s)conosciuta….potrebbe essere l’inizio di un documentario degli anni ’70…ma non è così…
In realtà quello di cui parlerò oggi è un disco molto particolare,curioso e molto interessante,che nasce da uno sforzo comune tra varie label indipendenti e,soprattutto,tra due interessanti formazioni musicali,i Maybe I’m e i Bokassà.
Un progetto nato tra la Puglia e le Campania,che vuole essere appunto un omaggio”sentito”all’Africa non tanto dal punto di vista della vera e propria conoscenza”fisica”di quel territorio,ma secondo un’ottica del tutto personale,ovvero la “percezione”individuale che si ha di questo continente….
I musicisti coinvolti(i Maybe I’m:Antonio Marino-batteria,voce;Ferdinando Farro-chitarra,voce con i Bokassà ovvero:Alexander De Large-batteria,percussioni,voce;Stefano Spataro-chitarra,voce;Superfreak-basso,tromba,baglamas,voce con la partecipazione di Andrea Caprara e Mario Gabola,entrambi al sax),quindi,ricostruiscono la loro”visione”dell’Africa,su come l’hanno conosciuta,ovvero attraverso i dischi,i fumetti,i documentari(come recita,appunto,il comunicato ufficiale della Jestrai records)….e oltre al titolo ironico del disco,un’altra curiosità riguarda i titoli delle tracce:derivano tutti dal testo dell’indimenticabile canzone degli anni ’60”I Watussi”,portata al successo all’epoca dall’altrettanto mitico Edoardo Vianello.
Un’altra caratteristica curiosa è che il disco-completamente strumentale- pare non sia un episodio isolato,anzi i due gruppi sembra proprio che si siano proprio fusi insieme stabilmente in un unico ensemble sonoro,e ciò traspare in maniera felicissima e chiara nell’album.
“Nel continente nero”apre l’album,ed è una sorta di Jam sonica,in cui l’andatura “shake”propria de”I watussi”viene destrutturata e rimontata in un pezzo free-progressive dall’andatura acida e dagli sghembi sbalzi di umore,ma perfettamente “calcolati”,tra jazz imprevedibile e follia psichedelica”ragionata”.
La personale visione della musica continua con “alle falde del kilimangiaro”:dopo un inizio che suona come una rivisitazione di umori southern blues e R&R via free jazz,il pezzo si sviluppa su una jungla di improvvisazioni e cambi di tempo che sembrano usciti dai seventies,e quindi dal feeling “progressivo”,ma allo stesso tempo totalmente “personalizzato”.
Non mancano momenti più dark e “tribali”nella cupissima”ci sta un popolo di negri”,che ci porta nella foresta più nera e “oscura”…un viaggio misterioso dominato da chitarre ipnotiche e da una sezione ritmica che è un macigno che squarcia il petto(e le svisate dei sax di contorno,così come gli inquietanti cori ,completano il sapore”voodoo”del quadretto).
Una sorta di fusion tra ritmi etnico-tribali e sonorità stravolte è”che ha inventato tranti balli”,tra chitarre taglienti e al vetriolo e fiati allucinati;un mantra ipnotico e catartico,in cui la tensione emotiva è al centro dell’attenzione.
“Il più famoso è l’hully gully”svela l’anima più”rock”della band:ma le definizioni coi Maybe I’m e i Bokassà sfuggono,perchè si tratta sempre di una loro personale”versione”della musica,sia musicalmente che attitudinalmente.
Difatti dopo un inizio in cui i riff chitarristici vengono riletti

sotto una lente distorta e visionaria,talvolta dissonante e ai limiti del noise,il brano svela un”ponte”insolitamente melodico.

Ma dopo qualche istante,l’imprevedibilità ritorna al centro della traccia,tra fiati impazziti e un tappeto chitarristico a briglia sciolta;a metà brano,un nuovo cambio di tempo e di umore,dal mood ombroso e quasi psichedelico,ci riporta sui sentieri di un’avant-rock”smontato”e”ricomposto”alla personale maniera dei musicisti coinvolti.
Il provocatorio finale è affidato a”Bukkake di mosche”,ed è l’unico brano affidato totalmente alle voci,anche se si tratta di un breve divertissment di neanche 30 secondi.
Un ottimo disco,mai prevedibile e dalle sensazioni forti,che piacerà a tutti gli amanti della musica non allineata e “veramente alternativa”,che ci sentiamo di consigliare anche ai fans dell’avanguardia sonora e della sperimentazione ardita:non rimarranno delusi.
A me è piaciuto un sacco,e la cosa che traspare in evidenza è la voglia di rompere gli schemi di qualsiasi genere musicale;ed uno dei pregi di questo disco è che riesce al 100% nell’impresa,senza mai risultare ostico e senza mai annoiare.
Attendiamo ulteriori sviluppi di quest’insolita”fusione”,anche dal vivo…..
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