IL MAGNETOFONO”Il magnetofono”(Il magnetofono records).
Quella del Magnetofono è un storia anomala,ma vincente nell’attuale panorama indipendente italiano.
Si può avere un’attitudine alternativa pur senza adoperare la classica strumentazione rock?
Si può essere attenti alle tematiche sociali senza ricalcare nessun’altra band del genere?
Certo che si può;Il Magnetofono è tutto questo,e molto altro ancora.
Certo che si può;Il Magnetofono è tutto questo,e molto altro ancora.
Il trio,formato da Alan Bedin(voce,testi),Marco Penzo(contrabbasso)e Emmanuele Gardin(pianoforte)si forma nel 2011,e dopo innumerevoli concerti in tutta la penisola,e altrettante collaborazioni importanti con gli artisti più disparati,arriva al primo,omonimo cd in questi giorni(nel disco oltre al trio,partecipa anche una compatta schiera di sessionmen agli altri strumenti e ci sono anche un paio di ospiti famosi di cui poi vi parleremo).
Ma che musica fa Il Magnetofono?In realtà la proposta sonora di questo band,non è facilmente catalogabile;possiamo solo dire,riassumendo,che si tratta di musica”d’autore”,estremamente colta e raffinata e talvolta dai risvolti teatrali,influenzata tanto dal jazz quanto da i primi cantautori degli anni sessanta(e anche qualcosa dei ’50)….ma siamo sicuri che nemmeno questo renda del tutto l’idea del loro”genere”,semplicemente la loro musica va ascoltata con attenzione,per farsene un’idea personale(anche se già il nome del gruppo risulta non a caso evocativo,facendoti pensare ad atmosfere vintage,che difatti permeano tutto il disco,ma viste su di un’ottica completamente personale ed originale).
L’inizio del disco,ad esempio,sembra la colonna sonora di un film giallo in bianco e nero :”Baby Doll”,una traccia jazzata e fumosa,notturna quanto basta per essere affascinante.
Che questa sia Arte pura,non vi è alcun dubbio:questo fatto viene evidenziato anche dal testo(“lei non è più qui/non c’è profumo di caffè/il sole senza lei,un fuoco che non brucia/giorno,lei lo sa/nel letto lei non c’è/non so dove sarà/un gioco,non lo so/mi resta solo il baby doll”),che si sposa con lo spleen rarefatto del tappeto musicale.
La seconda traccia è”La merenda del mago”,in cui l’aspetto”teatrale”comincia a far capolino:la band dimostra come inequivocabilmente in questo brano,sia la vera erede del”teatro-canzone”degli anni ’70(ma anche di un certo”feeling”legato ai sixties,e forse anche al decennio precedente)…..ovviamente il Magnetofono fa tutto a modo suo,con estrema personalità ed eleganza(e anche un po’ di ironia).
“Lascio tutto,hai ragione/qui la gente non capisce,vado via(…)/cosa mi vuoi far mangiare/quello che non ho mai digerito per più di trent’anni”Alan declama,prima con fare da chansonnier,poi con impeto folle;ed è un’interpretazione assolutamente credibile,genuina,che solca profondamente l’anima.
“La dichiarazione del mago”è un pezzo metaforico,essenzialmente parlato,che vede la partecipazione di Roberto “Freak “Antoni ,storico leader degli Skiantos,in veste di”imbonitore”circense(“noi maghi teniamo sulle spalle il mondo intero/ti dico il vero e non sono menzognero(….)infinte sono le loro possibilità/e trascendono le miserie di questa realtà/il mago non ha cilindro né cappello/se gli sei amico è tuo fratello/disastro invece a chi gli si opporrà/per sempre miseria,profonda infelicità”);ed il sottofondo musicale ha proprio il sapore di un circo di altri tempi(ed il finale è un finto spot pubblicitario ad alto tasso ironico).
Tra influenze jazzate e di lounge ombrosissimo sta”Giovane Mariù”,una riuscita ed inedita canzone d’amore e di morte,incentrata su una killer(ma con diverse chiavi di lettura,presumo):atmosfera noir,molto ricercata,malinconica e sublime al tempo stesso,perfetta nel suo scuro incedere.
Il mood jazzato non viene abbandonato nemmeno su”5 minuti”,ma il punto di riferimento più “alto”è senz’altro la canzone d’autore degli anni ’60(viene in mente Bruno Martino come”atmosfera”,ma è chiaro che è solo un gioco di rimandi,avendo Il Magnetofono una propria personalità dirompente).
Malinconie che indagano sui sentimenti(“sarebbero bastati 5 minuti per dirti ti amo/sarebbero bastati 5 minuti prima di lui/prima che tu con quello sguardo spento domandassi”scusi,ha da accendere?”(….)/per 5 minuti la mia vita cambiò/perchè per 5 minuti non ho potuto morire vicino a te”)per un brano assolutamente”evergreen”,senza tempo.
“Finezze”se vogliamo è ancora più intimista(“Finezze/non le capirai mai/parole inutili ormai/tu dormi(..)ti sfioro,qualcosa s’accende/nel sogno ti voglio sentire/stanotte regole non ne avrò”),con l’avvolgente spleen del pianoforte e non sfigurerebbe in un raro disco proveniente dai sixties,data la sua atmosfera”vintage”(se non fosse per un moderno”clap”di mani che appare qua e là nel pezzo,e ci riporta ai giorni nostri…ma non troppo).
Una bellissima canzone,adornata anche da degli splendidi archi,tra le più riuscite del disco e sicuramente la mia preferita in assoluto del combo.
Si cambia atmosfera con”Il thè nel caspio”,atmosfera tra il dixieland e l’ironico,in cui compare anche il kazoo!
Il testo,così come la musica stessa,spezza quindi un po’ la malinconia delle precedenti canzoni e si riallaccia a sentimenti più”solari”(Per quanto tempo dovrò stare ancora qui?/Cos’è ‘sta voce che non posso andare via?/
L’amour. Io ti raggiungo, dove sei?/Avevi detto che tornavi dal Kashmir per quei tuoi fiori che fan bella la tua vita/La drougs. Voglio godere insieme a te);l’ottima qualità”descrittiva”di altri tempi non lo farebbero sfigurare in un disco di Conte;ma il personalissimo timbro e songwriting di Alan fa il resto,regalandoci un’altra perfetta perla sonora.
L’amour. Io ti raggiungo, dove sei?/Avevi detto che tornavi dal Kashmir per quei tuoi fiori che fan bella la tua vita/La drougs. Voglio godere insieme a te);l’ottima qualità”descrittiva”di altri tempi non lo farebbero sfigurare in un disco di Conte;ma il personalissimo timbro e songwriting di Alan fa il resto,regalandoci un’altra perfetta perla sonora.
E l’ironia è ancora al centro dell’universo su”La ballata di nostro signore”che presenta delle insolite influenze psichedeliche nell’introduzione,per poi svilupparsi in un curioso brano dall’andatura blues ombrosa che descrive un immaginario incontro con Dio,che in realtà è un pretesto per parlare della situazione attuale del nostro paese in maniera articolata e assolutamente non banale(“Su, mi segua le devo parlare/irripetibile è questa occasione/come vede qui c’è un problema/qui non si vive, c’è recessione/Vedi figliolo è una cosa voluta,tu sei il primo che chiede di questo/tutti gli altri mi hanno parlato/ma della crisi manco accennato/La ritengo molto importante,è un problema dall’ alto lampante/Vedo ansia e scarsa giustizia,ma è un bel prezzo per la vostra furbizia “).
“Non ho finito”è una ballata dall’insolito incedere”destrutturato”(affidato al piano”preparatO”)in cui appare il reading rabbioso e sarcastico di Pierpaolo Capovilla del Teatro degli Orrori,e non potrebbe essere altrimenti,in quanto è una sorta di pièce melodrammatica scritta proprio pensando alla sua voce che la interpreta in maniera magistralmente credibile(“Non pensare, non giudicare da buon capo:dimmi l’arma da usare, dimmi da chi devo cominciare/prima di riandare via e …/E lasciarmi inchiodato ai miei giorni /dirottato dai pensieri
per non sentirmi inutile senza lavorare ogni giorno/travolto dalla realtà che mi fa sentire solo, continuamente solo e inutile “).
per non sentirmi inutile senza lavorare ogni giorno/travolto dalla realtà che mi fa sentire solo, continuamente solo e inutile “).
“Tip tap!”è swingante e gioiosa,e ritorna il sorriso sulle labbra(“Come posso riposare nel mio letto a piazza e mezza/con la ballerina che faceva il tip tap/E se devo dirla tutta lei vestiva/solo delle scarpe verniciate per il tip tap/Lei con colpi assai decisi con i tacchi mi parlava/mi diceva io ti adoro con il morse”):atmosfera tipicamente da vaudeville anni ’30-’40,con ospite il theremin di Vincenzo Vasi.
“Mondo di uomini”è una sensazionale cover di James Brown(“It’s a man’s,man’s,man’s world”in italiano,naturalmente!) che chiude il disco;ma i tributi non finiscono qui,perchè non è solo un ricordo del padrino del soul,difatti è anche un sentito omaggio a Luigi Tenco e a Lucio Dalla:il primo ne scrisse il testo,e il secondo la incise nel suo primo album,”1999”,nel 1966(ricordiamo che anche i Camaleonti e Nino Ferrer ne incisero due versioni italiane,ma con testo completamente diverso,più o meno nel solito periodo).
La versione del pezzo,è totalmente originale:dopo una cavalcata pianistica dal sapore quasi progressive,il brano riprende la sua anima soul,impreziosita dalla tromba di Gianluca Carollo,che gli dona un tocco jazzato e”intimo”,scuro.
Un bel disco e davvero un bel progetto questo del”Magnetofono”:ottima musica senza tempo,da ascoltare e riascoltare più volte per apprezzarne appieno le sue caratteristiche.
Ed il progetto merita davvero:è uno di quei casi in cui la musica d’autore,è”arte”con la A maiuscola(e non lo affermo a caso).
Un disco complesso,raffinato,ricco,affascinante e tutto da scoprire:così come le esibizioni del “magnetofono”,di cui già si parla in termini eccellenti…..non ascoltarli sarebbe un errore imperdonabile.
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