A cura di Francesco Lenzi

MINO DE SANTIS ”Muddriche” (Ululati records/Lupo editore)

Quella di Mino De Santis è una storia musicale tutta particolare: difatti il cantautore salentino,al suo terzo disco,può essere considerato uno dei grandi nuovi”narratori di storie”, tra i migliori dell’ultima generazione di cantautori…..eppure Mino, nonostante tutto, è ancora lontanto dai riflettori, essendo ancora un nome di”culto”.

Un’altra caratteristica di questo particolare cantautore è la sua umiltà: scrive non per raggiungere il successo facile, ma perché sente veramente l’esigenza di farlo (all’inizio suonava soprattutto per amici)! Un’attitudine di tutto rispetto…senza contare che il nostro, quando non suona, si arrangia con altri mestieri per sopravvivere…..il che gli fa davvero onore, a mio avviso(ed accresce la stima personale!).

Ma adesso parliamo rigorosamente di musica: ”Muddriche”è un album affascinante che si scopre ascolto dopo ascolto…fin dalle note si percepisce che chi considera De Santis come il”continuatore” di un certo modo di fare musica,non sbaglia…

E difatti, l’apertura affidata ad”Anni”sgombra il campo subito da qualsiasi dubbio: un brano cantato in dialetto (caratteristica che accomuna quasi tutti i brani dell’album) che affronta i ricordi in maniera personale, dall’infanzia all’età adulta,tra ironia ed una sottile amarezza (“anni,fatti te minuti,te secondi/e de nui piccinni sulli scanni/facce ncora russe pe lli scorni”); la voce di Mino è molto particolare, dal timbro eccellente e scuro.

“Fiche cu lu mendule”è jazzata e molto ritmata; si indaga sempre su ricordi passati con fare talvolta pungente (“per le strade soltanto donne,vecchi e bambini/alla radio la voce fiera di Mussolini/e la patria la gloria la fede e l’onore/ma te fame e da guerra/a quai la gente sta more”)…

E difatti l’ironia-mai banale-è uno dei punti di forza del songwriting di Mino: esemplare è”radical chic”, un bozzetto che descrive in maniera sarcastica molti luoghi comuni dei giorni nostri legati a quei personaggi che parlano, parlano facendosi grossi,più di quanto non sono (“eccoli là a sprofondar sulle poltrone/a interrogarsi sui mali della terra(…)ora coltivano quell’antico sogno/e tra un bicchiere e l’altro escono i pensieri/parla di fame,chi fame non ha/e l’uguaglianza risuona come un tic/in certi ambienti di radical chic/radical chic,le pezze an culu/ma le marche te boutique/poco da dire,ma tanto da parlar”); la musica è briosa e irresistibilmente retrò

Si parla anche d’amore con un’andatura di altri tempi (“sotto’na chianta te chiapparu”,impreziosita dalla voce femminile di Eleonora Pascarelli), ma subito dopo torna l’ironia sulla scena (anche se in maniera molto pacata) con”Lu prete”, allegra descrizione di un buffo prete di paese (“quanti mariti curnuti contenti/quante muieri funtane piangenti/a me confessano i vizi e virtù/gli dico”vai e non peccare più””) che ricorda alcuni episodi di De Andrè; e c’è anche spazio per una ballata malinconica dal sapore antico,e affidata ai ricordi del tempo che fu (“Porta verde”).

L’umorismo torna su ”La pizzoca e la sbirgugnata” (un divertente e irresistibile confronto tra una di quelle anziane signore tutte casa e chiesa e una ragazza disinibita)e su”Ieu fazzu gezz”, dall’andatura jazzata, che ironizza proprio su una certa categoria di personaggi che approccia questo genere di musica (“mo te mintu un eccedente/puru na cu centra niente(…) dai sunamula in levare/ca sinò pare banale”); una canzone dall’ironia irresistibile (“aumenteti e diminuiti/tutti accordi indefiniti”) che conferma una teoria di cui parlo spesso anche io:  a volte tanti “artistoni” dediti a musica troppo difficile, in realtà spesso”ciurlano nel manico” come si direbbe dalle mie parti, ovvero che con la scusa dell’arte ,fanno della musica a casaccio (favolose le frasi-chiave”quale ghe lu stile meu? Non lo sacciu mancu ieu”e”mi dirai ca sonu a uecchio/ma se tu non hai l’orecchio/con le tue risorse scarte/non afferri la mia arte”)…ovviamente il discorso è generico(a me il jazz vecchio stile-come quello”citato qua”musicalmente, piace), ma questo brano è troppo bello(e non a caso è il mio preferito del disco)e dice con parole semplici quello che molta gente pensa(compreso me,come dicevo prima).

La voglia di vivere traspare dalla prima all’ultima nota in questo disco ed un titolo come”certi culi”non lascia dubbi a riguardo:l’ironia si riveste di poesia(“certi culi sono quadri che si lasciano vedere/sono opere bellissime che non hanno un ingegnere(…)certi culi sono musica fatti per esser cantati(…)hanno poesia da vendere,sono fatti d’armonia/mentre tu vorresti prenderli e portarli tutti via”)e la musica riflette il sorriso sulle labbra che strappa la canzone(sorriso,sì,ma con intelligenza, com’è nello stile di Mino), con la sua andatura a metà tra teatro canzone e un feeling”popolare”.

“Pezzenti” è un reggae interessante che parla in maniera non banale di mendicanti e barboni, ma anche di chi ha una laurea ma è costretto a fare altro per vivere (“io c’ho laurea in medicina/e moi vindu candeggina/e ieu su ricercatore/ma stau rretu lu trattore”); il brano vede la partecipazione di Nando Popu e Giovanni De Santis alle seconde voci.

“Arbulu te ulie”chiude il disco con fare malinconico: un bellissimo finale contemplativo in cui la descrizione dell’albero è un pretesto per meditare sulla vita e su sé stessi.

Mino De Santis è davvero un nome da tenere d’occhio:mi auguro adesso che il grande pubblico si accorga di lui, perché questo cantautore merita davvero,avendo uno stile personale,sia ironico (ma mai sopra le righe), sia poetico….per tutti gli amanti della vera musica d’autore,”Muddriche” è un disco che merita di essere ascoltato e “vissuto”…..perché le canzoni qui contenute sono delle vere perle che, ne sono certo, lasceranno un segno….fatevi contagiare dalla loro vitalità e poesia,ne vale assolutamente la pena.

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