Gli anni passano, le mode cambiano, e così la musica con le continue e mutevoli esigenze del pubblico, nel bene e nel male, in continua ricerca di nuove emozioni…o forse no? Ci sono ricette musicali che continuano per chissà quale misterioso ma affascinante motivo a sedurre, conquistare, spesso tramite storie e voci di più artisti, più gruppi e in epoche completamente diverse.
Ed è così, come un vinile polveroso ma ancora risaltante nella cesta degli album del passato del proprio papà o zio, che troviamo J.J. Grey & Mofro, che da più di 20 anni (sebbene solo da 10 sia davvero partita a produzioni in studio) continuano nel panorama underground a incantare un pubblico sempre più numeroso e incuriosito proprio da questo revival sonoro in chiave moderna, che va a mettere le radici nelle affascinanti sonorità della storica Motown e di tutto il panorama black music a cavallo tra ’60 e ’70, in pieno delirio Monterey & Woodstock, e ripensare a precedenti, signori album come “Country Ghetto” e “Orange Blossom” fa risentire gli echi di quei festival, oltre a far ritornare la sensazione di un certo feedback musicale, che solo chi è vissuto in quegli anni potrà capire in pieno. J.J. Grey, mente, leader e voce del gruppo (oltre che notevole polistrumentista), e così tutta la band al seguito, sono originari di Jacksonville, in Florida, capitale del southern rock che ha dato i natali a grandi leggende rocker del calibro di Lynyrd Skynyrd, Molly Hatchet e Blackfoot, e che nel solo nome del celeberrimo Ritz Theatre si riesce a riassumere gran parte della storia del jazz e della black music, fulcro di concerti memorabili di gente del calibro di Ray Charles, Elle Fitzgerald, Duke Ellington e Louis Armstrong, tanto per fare i nomi più illustri.
Si può per cui ben capire quanto possa essere stata determinante per questi ragazzi una città così importante e di peso, e di seguito le scelte che li hanno accompagnati in tutta la loro carriera, così come la black music nei dintorni del panorama southern attinente (vedi Otis Redding e Sly & Family Stone). “This River” è un amore dichiarato, un definitivo tributo alla storia di questa terra, di un’epoca e di una storia che ancora continua a pulsare negli anni, ed è bello rivivere una gioia così elegante e spirituale del soul di “Somebody Else” e “Tame a Wild One” (con Otis Redding e Marvin Gaye a sorridere dal cielo per certa bellezza evocativa), e poi il southern rock viscerale della devastante “99 Shades of Crazy” e “Standing On The Edge” (quest’ultima con un ritornello e refrain chitarristico da brividi), ma anche momenti più riflessivi e poetici come nella country-ballad e title-track “This River” e “Write a Letter”, con i testi e la voce negroide di J.J. Grey a infiammare di passione la stanza e i cuori più gelidi, o la sensualità (o sessualità?) funkettara di “Florabama” e “Harp and Drums” (molto in stile INXS) che tra vibranti giri di basso e ottoni metropolitani si strizza più volte l’occhio al Prince più ispirato.
Se ti senti perso culturalmente e musicalmente, in quest’epoca senza più una guida e un vero messiah che sappia condurre i giochi del futuro prossimo della Musica, “This River” è sicuramente l’album che fa per te, la compagnia perfetta nei stressanti viaggi estivi in macchina, negli interminabili ingorghi stradali per andare a lavoro o semplicemente nei ritorni solitari all’alba a una festa durata più del dovuto, per riuscire a rinnamorarti di qualcosa che potrà sì avere il sapore di “già sentito”, forse pure un po’ vintage, retrò e polveroso, ma che continua a vivere di belle sensazioni, bei ricordi e a salvarti da un tuo qualsiasi smarrimento emotivo, perchè parafrasando il buon mr. Grey “non saprai più magari chi sei e perchè ci sei, ma avrai sempre qualcun’altro con cui ridare colore alla tua vita”, basta solo che tu lo vorrai, e far sì che, come un fiume, possa continuare a scorrere nel tempo.
Voto: 9,5