Michele Pavanello è un cantautore che ci presenta l’Ep “Vento caldo”, composto di 5 canzoni pop intrise di blues classico e soul. Il primo pezzo “La luce siamo noi” dichiara da subito la posizione, il punto di vista dell’artista. Il testo è un monito verso i nostri tempi e dice che la speranza non si può trovare in un cielo che è nero perché “senza Dio”. Stiamo parlando di un cantautore cattolico, le cui argomentazioni hanno come minimo comune denominatore la Fede, che entra come cifra significativa nella scrittura dei brani. Quindi ci ricorda che “la luce siamo noi”: ognuno di noi può trovare in sé, nella propria volontà e di conseguenza nelle proprie azioni, le possibilità di migliorare questo mondo perso nei disvalori.

Al di là del retaggio culturale di Pavanello, i messaggi che trasmette sono condivisibili anche da chi non è credente. “La storia non conta” porta il pop melodico nel rock italiano e punta il dito contro i falsi profeti, e c’è un accenno alle nuove modalità di guerra degli ultimi anni, quelle dei droni automatici, coi quali si può bombardare un intero villaggio a distanza, premendo dei bottoni: “Sono nascosti bene, sotto mantelli di fumo, e stanno a premere i loro bottoni, se muori non importa a nessuno.”

“In un attimo” è una ballata” in cui spicca la voce baritonale di Michele, che racconta una storia amara su un uomo solo e abbandonato, di cui non si cura più nessuno; e nonostante questo, lui vive per “la pace dei poveri” e aiuta i più deboli. Chiude questa narrazione un’armonica a bocca, come da tradizione dylaniana e di Bennato.

“Senza chiedermi perché” è una canzone d’amore, di un amore profondo capace di trasformare “la mia delusione in sale”. La forma-canzone è interrotta da un assolo di chitarra elettrica su un tappeto di piano elettrico. L’ultimo pezzo “Vivere nel mondo a fianco” è un groove funky innestato in una melodia comunque orecchiabile, dove Pavanello ci dice che vuole “soltanto vivere”, e che ha scelto l’Amore, ripensando a chi soffre. Le parti solistiche di chitarra elettrica non sono virtuosistiche ma efficaci nell’accompagnare le convinzioni che però restano sempre le protagoniste indiscusse delle canzoni.

La musica è un po’ schiacciata dal punto di vista formale, ne resta solo il suo aspetto d’accompagnamento e funzionale ai testi, a scapito dell’espressività artistica; è un’usanza tipica dei cantautori dal grande senso etico che vogliono trasmettere messaggi forti, ed è palese la ricerca di una certa sobrietà che resta comunque rispettabile. Tuttavia una maggiore creatività negli arrangiamenti non sminuirebbe i temi, anzi questi risulterebbero meglio esposti, poiché veicolati da una maggiore emozionalità della musica di per sé. Resta in ogni caso apprezzabile questa direzione umanitaria intrapresa da Michele Pavanello, strada che da troppi anni è poco percorsa, fin dai tempi di “Il mio nome è mai più” di Ligajovapelù (ed era il 1999, quasi vent’anni fa!). Mi sento un po’ come Peppone che debba dialogare con Don Camillo, eppure queste canzoni, seppur migliorabili, cercano di riportare quel senso civico che dovrebbe al più presto tornare nella coscienza collettiva. Con o senza religione.

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