A cura di Elena Schipani
L’esordio da solista del batterista marchigiano Davide Donati, è un album delicato ed elegante. Si intitola “Village” ed è stato pubblicato il 16 aprile. Nonostante il disco sia composto da tracce di
stampo squisitamente elettronico, il risultato riesce comunque a sorprendere per la sua diversità rispetto ad altri prodotti similari attualmente presenti sul mercato musicale.
Un’atmosfera ovattata, che in alcuni pezzi richiama neanche troppo velatamente le sonorità anni Novanta, avvolge l’ascoltatore che si ritrova catapultato in una dimensione parallela. Grazie al suo
vissuto da batterista, Donati è in grado di spaziare di genere in genere: si passa infatti dal breakbeat, al synthwave, all’ambient, ma sempre con l’occhio puntato ad un tema ben preciso.
“Village” è infatti una sorta di grande elastico metaforico che viene caricato ma torna sempre al punto di partenza e cioè la quotidianità. Il centro di tutto il lavoro di Durmast è infatti una sorta di
“battaglia ad armi pari” con quella che è la routine giornaliera.
Se la tendenza generale è quella di sfuggire alla ripetizione estrema, fino ad arrivare quasi ad una sorta di alienazione, di gesti ed azioni sempre uguali giorno dopo giorno, “Village” propone esattamente l’opposto: abbracciare la routine quotidiana arrivando a farsi alienare con cognizione di causa. Quindi, quale migliore genere musicale se non l’elettronica che si avvale in maniera estrema della ripetizione di suoni e ritmi?
Nonostante questa premessa, però, le undici tracce del disco assumono ognuna una identità a sé stante riuscendo così a creare undici diversi modi di concepire ciò che all’apparenza sembra
un’uniformità indistinguibile.
Dopo l’ascolto di “Village”, dare una possibilità alla quotidianità non sembra essere poi così tremendo!