Lo spirituale nell’arte -Vasilij Kandinskij
A cura di di Eugenio Renzetti


Ho deciso di scomodare Vasilij Kandinskij per dare un titolo a questo mio breve saggio – che non ha
nessuna pretesa se non quella di far nascere magari qualche piccola riflessione – non solo per il
contenuto del noto libro, ma per il valore intrinseco che questo titolo racchiude e rappresenta.
In questo momento di estrema difficoltà siamo tempestati da esternazioni di sentimenti ed emozioni
tramite qualsiasi forma d’arte: i bambini che disegnano, i musicisti che suonano dai balconi, c’è chi legge.
Dante, i musei entrano nelle nostre case in maniera virtuale e non basterebbe tutto questo foglio per
continuare con l’elenco.
Dunque, la considerazione spontanea, è che l’arte, in qualsiasi sua forma, è uno dei mezzi, o forse
l’unico mezzo, con il quale ognuno di noi è libero di esprimere qualsiasi tipo di emozione e che
accomuna grandi e piccini, professionisti e semplici amatori. Volendo aprire una parentesi potremmo
discutere su quanto sia paradossale il fatto che attualmente nel nostro bel paese è proprio il settore
dell’arte uno dei più bistrattati e trascurati, ma non voglio soffermare la mia e la vostra attenzione su
questa tematica. In una delle mie evasioni necessarie per il rifornimento di viveri è stato sorprendentemente
affascinante, uscito da casa, camminare nei vicoli del paese in cui vivo, un delizioso borgo al centro
Sabina, ascoltando dapprima la voce di un immortale Kurt Cobain, seguita da quella ingenuamente
sognante di Domenico Modugno, respirando i profumi di una probabile lasagna al forno. Tutti a
finestre aperte in modalità di condivisione emotiva.
Se si pensa alla parola “condivisione” non si può non pensare ai racconti dei nostri nonni quando ci
portavano, con le loro storie, nelle serate dove ci si riuniva “a veglia” per parlare, danzare, cantare e
bere qualche bicchiere di vino in compagnia o nei campi, dove il duro lavoro in un torrido agosto era
allietato da qualche canzone intonata a tempo di falce.
Tornando alle nostre quarantene, ecco allora che l’arte diventa l’arte per l’uomo, come un bisogno, come
un’esigenza che zampilla dirompente in un flusso irrefrenabile, travolgendo, anche non volendo, tutti.
Artisti, celebri e non, da tutte le latitudini che sentono la necessità di darsi attraverso la cosa che più li
rappresenta, appunto l’arte.
Tutto questo sorprende, soprattutto se si pensa a ciò che significava “fare arte” fino a non molti giorni
fa. Un’arte vista solo come profitto, come successo, come un sommarsi di like o un accrescere di
visualizzazioni. Un’arte vista come mezzo di emancipazione sociale e non come un’elevazione e una
ricerca introspettiva. L’arte come “bene effimero della bellezza”. Un’arte frenetica che non si prende
molta cura di sé, che si presenta al pubblico spesso malconcia e un po’ trasandata. Un’arte che tutto
sommato può, poverina, rappresentare il tessuto etico-sociale nel quale viviamo; dove, ahimè, ci si
stupisce che ci sono persone, istituzioni e addirittura popoli che in momenti di difficoltà aiutano,
donandosi, chi più ne ha bisogno.
Così, improvvisamente, mi tornano in mente le parole di una lettera che Ludwig van Beethoven, citato
con sacra riverenza, scrisse in risposta ad una sua ammiratrice di nome Emilie il 17 luglio 1812:
“.. .il vero artista non conosce superbia… Purtroppo egli vede che l’arte non ha limiti; avverte oscuramente quanto egli sia
lontano dalla meta e, mentre viene forse ammirato dagli altri, si rattrista di non essere ancora giunto la dove il suo genio
migliore gli illumina il cammino soltanto come un sole lontano.”
Credo che in questo momento abbiamo il compito e la grande opportunità di riscoprire il vero spirituale
nell’arte, e questo non è solo merito del temuto Covid19, che ci costringe chiusi in casa a passare più
tempo con noi stessi in una condizione di forte silenzio interiore, ma è la potenza espressiva dell’arte
stessa che si libera e si mostra a noi per quella che è, per le potenzialità che racchiude e per la semplice
bellezza che rappresenta. La speranza è che ognuno di noi riesca a prendere spunto da questo momento
per continuare a ricercare nell’arte e attraverso l’arte la bellezza più alta alla quale ognuno di noi tende
per natura e non un vuoto desiderio di smanioso successo.
Per concludere vorrei citare un passo tratto dal meraviglioso libro che dà il titolo a questo breve scritto.
Riporto di seguito una delle più belle, a mio avviso, riflessioni che siano state date sull’arte e sulla figura
dell’artista: “L’artista è un “re” come ha detto Sar Péladan, non solo perché ha un grande potere, ma perché ha un grande dovere. Se l’artista è il sacerdote della bellezza, la bellezza deve ispirarsi al principio di valore interiore, come abbiamo visto. L’unica misura della bellezza è la grandezza e la necessità interiore, che ci è sempre stata utilissima. E’ bello ciò che nasce dalla
necessità interiore. E’ bello ciò che è interamente bello.”

Lo spirituale nell’arte – Vasilij Kandinskij

 

Webzine