UN EROE MORTALE di Eugenio Renzetti
“Una vita violenta” (1959) è il terzo romanzo di Pier Paolo Pasolini, preceduto da “Il sogno di una
cosa” (scritto tra il 1949 e il 1950 ma pubblicato nel 1962) e da “Ragazzi di vita” (1955), romanzo con il
quale l’autore raggiungerà il successo letterario ma anche una serie di tortuose disgrazie giudiziarie.
Pier Paolo Pasolini (Bologna 1922 – Ostia 1975) visse in un arco temporale ricco di eventi che
comprende la seconda Guerra Mondiale, la ripresa ed il boom economico e per finire gli anni settanta,
anni di contestazioni che si affacciano ai terribili anni di piombo; pesanti come il piombo a mio avviso
non solo per i di certo non parsimoniosi colpi di P38 e kalashnikov che echeggiavano in quell’Italia, ma
perché come il piombo pesano sulla coscienza di una classe politica consapevole e su una parte di
popolo consapevolmente omertosa, ma questa è un’altra storia.
UN EROE MORTALE di Eugenio Renzetti
Un periodo tanto complesso e denso vissuto da una personalità come quella pasoliniana non poté che
concimare ulteriormente una sensibilità, la sua, già molto complessa e delicata allo stesso tempo.
Torniamo al nostro romanzo. “Una vita violenta” potrebbe essere analizzato sotto moltissimi aspetti:
descrittivo, – le descrizione della Roma di campi, fogne e baracche è talmente reale che, durante la lettura,
sembra di correre tra le vie di Pietralata e del Tiburtino – socio-psicologico, – c’è una continua analisi degli
aspetti sociali e psicologici che caratterizzano le classi sociali nel dopoguerra, specialmente le più
abbiette, ovvero quelle che Paolini tende chiamare proletariato e sottoproletariato urbano, e il loro
rapporto con le classi più elevate – politico – tra le righe, a volte nascosta e spesso palesata senza timore,
si tocca con mano la sua appartenenza al partito comunista, ma più specificamente alle ideologie che
esso rappresenta – e potremmo continuare con questo elenco per pagine e pagine perché qualsiasi
sfaccettatura potrebbe diventare oggetto di analisi.
UN EROE MORTALE di Eugenio Renzetti
Quello che fin da subito ha catturato la mia attenzione tenendo una mano sulla gola fino a quell’ultimo
“addio Tommasino” è stata la sensibilità, il tatto ed il rispetto con i quali Pasolini è riuscito ad
evidenziare alcuni tratti di quei giovani di borgata, tutto sommato a me coetanei, geograficamente vicini
ma temporalmente lontani. A qualsiasi lettore con una leggera passione o una piccola attitudine alla
semiologia, o semplicemente con una sensibilità a cogliere le emozioni più profonde, questo libro è in
grado di rivelare le debolezze e la forza che ognuno di noi sa, o meno, di possedere.
Il libro si divide in due parti. La divisione tra prima e seconda parte potrebbe essere interpretata come il
passaggio tra la totale o quantomeno parziale incoscienza (tipica dell’età giovanile soprattutto nelle
classi sociali più rischiosamente sensibili) e l’acquisizione di coscienza. Ma vediamo di spiegarci meglio.
Nella prima parte emerge tutta quella violenza che caratterizzava giovani ragazzi appartenenti al
sottoproletariato, ridotti in uno stato di miseria, non di rado costretti a prostituirsi anche in rapporti
omosessuali per qualche “piotta”, ragazzi che rappresentano lo stato adolescenziale nella visione più
intima: timida, erotica, sentimentale e violenta. Violenza come mezzo per sopravvivere, violenza come
UN EROE MORTALE di Eugenio Renzetti
mezzo di elevazione nella scala sociale tra compagni d’avventura, ma soprattutto violenza come
maschera. Una frase chiave del libro, quella che per me più di tutte raccoglie il significato più intimo
della condizione sociale di questi soggetti, la troviamo nella scena di una rapina a mano armata, ai danni
di un benzinaio poco prima della Storta. Riferito al “Cagone” mentre punta “il ferro” (pistola) al povero
benzinaio, cito le parole di Pasolini: “Ma non c’aveva bisogno di giobbare, perché tremava sul serio,
non per la paura ma per la rabbia.” Con queste parole descrive come meglio non avrebbe potuto la
condizione più profondamente umana di adolescenti violenti ma non cattivi, incapaci di piangere ma
col desiderio di farlo, che cantano appassionatamente a squarciagola per dare l’estremo saluto a un caro
da fuori le mura di un obitorio o fanno una serenata per dichiarare coram populo seppur timidamente, un
“violento e possessivo” amore. Ragazzi che sono sempre in bilico tra la vita e la morte forse perché
non riescono a dare un valore cosciente alla loro esistenza, o forse semplicemente perché la fame è più
forte di qualsiasi altro male.
Il protagonista del romanzo oltre ad essere l’immagine dell’intera classe sociale del sottoproletariato, è
Tommaso Puzzilli, più sensibile del resto della combriccola (per questo più emarginato) e se vogliamo
anche più fortunato. Più fortunato perché riesce a scampare alla tubercolosi, perché riesce, insieme a
tutta la sua famiglia, ad entrare in possesso di una vera e propria abitazione abbandonando le baracche
di lamiere e cartone ma soprattutto perché entrerà in contatto con il partito comunista.
Molti sono gli avvenimenti nella vita di Tommaso – il libro è talmente denso di eventi che ci sembra
svolgersi durante l’arco di una vita intera anche se la storia parla di ragazzi che nel finale sono solo più
che adolescenti. Quello che a primo avviso sembra cambiargli di più la vita fu l’assegnazione che l’INA
Case fece di un appartamento al padre Torquato. Con Tommaso che esce dal carcere ed approda a via
dei Crispolti, la sua nuova zona, inizia quindi la seconda parte del romanzo. Per chi avrà la curiosità di
intraprendere la lettura del libro respirerà qui un punto di svolta totale, un cambio di rotta emotiva nella
vita del protagonista e nella trama della storia.
UN EROE MORTALE (su Pasolini) di Eugenio Renzetti
Se la prima parte è stata caratterizzata dalla visione violenta della vita (violenza, spesso auto-violenza,
intimamente metafisica oltre che violenza esplicita e palese di atti ed azioni conclamate) la seconda
parte ha un po’ il sapore di una redenzione (non nel valore che siamo soliti attribuire a questo termine
spesso rivolgendo lo sguardo alla visione cattolica del perdono quasi incondizionato, ma nel suo valore
più timido, solitario e delicatamente imperfetto) attraverso la presa di coscienza. La tendenza violenta
non abbandonerà né Tommaso né gli altri protagonisti un po’ per una consolidata abitudine, un po’ per
una sorta di educazione.
Tommasino, che dapprima aderì agli ideali del neo fascismo patriottico, verrà a contatto col partito
comunista per necessità e con questo evento comincerà la sua presa di coscienza. Il giovane viene a
contatto con ideologie di condivisione e di comunismo, inteso nell’accezione più alta del termine.
Facendo un parallelismo sempre con un’opera pasoliniana, questa volta cinematografica, in “Uccellacci
e uccellini” (1966) il corvo parlante che rappresenta “un intellettuale di sinistra – diciamo così – di
prima della morte di Palmiro Togliatti”, figlio del “signor dubbio e della signora coscienza” tenterà fino
alla fine della pellicola di instillare il seme di un nuovo modello di ragionamento basato sulla
comprensione sociale e della massa in Totò e Ninetto. Se con loro l’ideale fallisce – Totò e Ninetto
troveranno il modo di uccidere il corvo e con lui ciò che rappresenta – con Tommasino raggiunge il
risultato più alto e più ad esso intrinseco.
Una delle ultime scene del libro è ambientata in un bar dove si ritrova, per ripararsi da un diluvio
torrenziale, tutta la combriccola: Lello, Cazzitini, il Zugabio e gli altri. C’è chi ha fatto strada ed è vestito
per bene, chi è caduto ancora più in basso ed è diventato un accattone, chi strimpella ancora con lo
stesso entusiasmo la solita chitarra e chi non ha mai smesso di giocare alle carte. Tutti i presenti hanno
vinto la morte e sono lì a raccontarsi la vita, vecchi aneddoti che anche se spesso tremendamente tristi
portano con loro una risata e un clima spensierato.
UN EROE MORTALE di Eugenio Renzetti
Tommaso, uguale ma diverso, riprende immediatamente il ruolo leggermente emarginato che aveva nel
branco – “Tommasino entrò, e nessuno, come sempre, lo vide”. Si presentano due uomini del partito
(comunista) che parlano della tragica alluvione che sta distruggendo la piccola Shangai, una delle zone
dove abitavano da ragazzini. Tutti si dimostrano disinteressati; in fondo cambiare le mediocri abitudini
socialmente egoistiche della massa non è cosa da poco. Tommaso, che invece è stato toccato dal
sentimento profondo degli ideali di uguaglianza e fraternità, si precipiterà nella borgata e darà la vita per
le sue persone. Finirà idolatrato come lo era stato quel Guglielmi, il quale nome nel periodo del
ricovero ospedaliero allontanava quasi schifato, sicuramente curioso.
Pasolini come sappiamo venne criticato e combattuto da tutti: cattolici, comunisti, borghesi e
addirittura venne ucciso dai suoi “ragazzi di vita” (anche se sulla sua morte ancora è bene chiaro il velo
di mistero che la ricopre). Pasolini fu un grande uomo che nella sua divina imperfezione e con
passionevole debolezza si occupò dei dimenticati, di quelli che ancora oggi racchiudono il seme ingenuo
della serena e tortuosa esistenza umana. Riusciva a cogliere il significato più intimamente poetico della
contraddizione racchiuso nella vita di ogni individuo in ogni classe sociale – da notare con quale
delicatezza descriverà in Teorema (1968) le caratteristiche della classe borghese.
Pasolini aveva capito che povertà e ignoranza andavano curate con l’amore.
Chissà quale sarebbe la sua analisi oggi. Forse sensibilità come la sua oggigiorno mancano o
semplicemente non riescono ad emergere. A me manca oggi un Pasolini.