Signori e signori, lettori di Audiofollia e non, questo non è un disco come tutti gli altri: abbiamo il piacere di presentarvi una grande opera, che se promossa nel modo giusto, senza esagerare, potrebbe fare la storia.
Sinceramente, non mi sono capitati sottomano dischi di questa compiutezza, relativamente al genere, dall’epoca dei Queen.
The Inner Side è annunciato con grande maestosità sin dal primo brano Big Bad Boy con un’orchestrazione non indifferente, mescolando già da subito influenze davvero variegate, dal rock, al musical, dal sinfonico al progressive.
Charleston, cassa e un basso più che accattivante, apre la strada alla voce che si fa subito polifonica in (got to say) It’s love , il tutto in una qualità d’incisione che supera la media delle produzioni attuali.
In questa traccia, abbiamo il piacevole intervento di una voce femminile e persino un coro ben amalgamato, per non parlare di quella chitarra blues che fa muovere l’ascoltatore, immergendolo completamente dentro il pezzo.
Non ci si fa mancare nulla, il passaggio di un sax soprano rende il brano ancora più compiuto, ricco e variegato. Il tutto sfuma entro i quasi cinque minuti, in grande stile con il sax solista.
E ogni brano ci sorprende con nuove soluzioni d’arrangiamento: The time to love you intreccia un pianoforte caldissimo, un organo “subliminale” e un corposissimo basso. Seguono poi chitarre, traccia della batteria leggerissima e un cantato fascinosissimo che annuncia che è…”tempo di amarti”.
Signori, mentre scrivo questa recensione, non ce la faccio a mandare avanti il brano, ma ascolto fino alla fine, con il proposito di riascoltare in altri momenti ludici.
Tornano le tinte “sinfoniche” e questa volta qualche intervento elettronico “vintage” in LovePower , dove romanticismo, si fonda a potenza, appunto.
Ebbene si, si sfiorano i sei minuti con My Own , brano di grande energia, siamo proprio nel cuore del disco e si viaggia a grande velocità: vocalità graffiante, ritmica sostenuta, ma attenzione: non mancano i momenti distesi con tanto di chitarra “clean” solista, quasi psichedelica che apre la strada a divertenti “divertissement”.
Un pizzico di musica aleatoria: frammenti di una radio estera che s’insinuano in vagheggiamenti ambient di grande effetto, giochi di chitarre in maggiore settima.
A un certo punto, i giochi “noise” si fanno davvero estremi, ma non per questo meno interessanti…e come se nulla fosse, il brano riprende nella sua (apparente) convenzionalità.
Ancora amore, ma nelle sfaccettature più disparate e soprattutto grande divertimento con Is This The Love I Feel , con un mood rock’n roll degno dei migliori gruppi anni Settanta, perché i The Dust amano mescolare e rimescolare le carte, confonderci, deliziarci, dimostrarci che ci sanno fare e non poco, ma allo stesso tempo senza annoiarci.
Ci mancavano i toni più leggeri, mescolando sperimentazioni sonore ad intro di pianoforte, Lost in flames unisce toni “epici” a minimale liricità.
Ritmica “latin” per questo “quasi mambo” a tratti rock, con tanto di bizzarra chitarra wha wha, Cross in the line (Brazilliant) , grande brano con interventi di fiati (campionati? Ma non per questo meno efficaci), cori ben amalgamati armonicamente, svolgimenti “misteriosi” che rendono assolutamente diversificato il brano e performance di chitarre elettriche che dialogano da un canale all’altro.
Synth strings e pianoforte che sfociano in una sorta di “new age imbastardito” che non può far altro che coinvolgere l’ascoltatore esigente ed eclettico: arrangiamenti che fanno saltare dalla sedia.
Di fronte a tanto piattume di molte produzioni che circolano in radio, di questo si avrebbe bisogno per una presa di coscienza musicale, se solo l’ascoltatore medio si svegliasse!
Questo You love it piacevolmente beatlesiano…all you need is love?
Quasi quattro minuti di grande tripudio sonoro con un ritornello assolutamente pop, che si presterebbe a un tormentone pubblicitario, ma senza tradire l’eclettismo della sua struttura e compiutezza dell’arrangiamento.
E dopo i toni scanzonati, allegri del brano precedente, con We’re Fighting till The End , la penultima traccia si tinge di oscurità unendo qualcosa come “dark sinfonic”, psichedelia rock a un leggero “epic metal”, un misto tra Led Zeppelin, Manowar, Pink Floyd, Epica, Haggard.
Ed ecco che l’ultimo brano è l’omonimo del disco: “The Inner Side”.
Brano leggerissimo, con intro di chitarra ritmica ed intrecci acustici minimali. Cantato soffuso e cori pacatissimi, la traccia perfetta per chiudere un album.
Attenzione, la traccia presenta un’altra traccia al suo interno, ecco perché segue (tanto) silenzio per poi “apparire” una versione alternativa!
Questo non è di certo un disco di esordio, infatti la prima opera “In God we trust” risale al 2001, ne seguono poi altre quattro prima di questa di cui abbiamo parlato. Trattasi quindi della sesta opera autoprodotta! Per non parlare comunque del progetto The Dust in sé che nasce sin dal 1995.
Siamo inoltre lieti di aver recensito per primi questo disco, ancor prima della sua uscita: rimanete sintonizzati ed enjoy!
Non è il primo album di questa band che recensiamo, infatti potete leggere qui , la recensione di Remembrance del 2014.
LA STORIA
THE DUST nasce nel 1995 dall’allora quindicenne cantante Roberto Grillo.
Una storia travagliata, fatta di continui cambi di componenti e carenza di strumentisti… Ma mai di passione.
Nel Maggio del ’96 arriva Gianluca Caberlotto alla chitarra e nell’aprile ’97 Andrea Salvador al basso. Migliaia di peripezie e nemmeno un concerto, ed ecco sedersi alla batteria Ivan Segat nell’ottobre ‘98, sostituito però nel 2000 da Paolo Cossi; con loro è finalmente possibile proporsi al pubblico.
La storia continua e nel novembre 2001 il traballante posto di batterista passa a Luca Somera.
Nel 2005 anche Gianluca abbandona, così alla chitarra giunge Andrea Gottardi
e nel 2006 Federico Gava alle tastiere, mentre nel 2007 Giovanni Scarabel sostituisce Salvador al basso. Due anni più tardi, però, anche Luca, Federico e Giovanni lasciano il gruppo, così la band diventa un duo formato da Roberto e Andrea… Ma anche questa line-up è destinata a non reggere.
Nel 2012 Michele Pin è il nuovo chitarrista, mentre Luca Somera torna alla batteria. Nel 2014, però, dopo la pubblicazione di Remembrance, la band ritorna un duo. Oggi THE DUST è composta ufficialmente dal fondatore Roberto Grillo alla voce
e Michele Pin alla chitarra, con musicisti ospiti per registrazioni e live.
LA MUSICA
Dal pop-rock al glam-rock e al blues, dall’hard rock alle influenze psichedeliche e progressive. Un’ecletticità compositiva che non si pone limiti di genere e strumentazione,
una musica che combina melodie accattivanti con ricchi arrangiamenti.
Glam, perfezionismo e grande presenza scenica stanno alla base della filosofia DUST
che trae ispirazione dal grande rock britannico degli anni Sessanta/Settanta. E i testi in inglese ne sono la riprova.
LE OPERE
2001 – in God we trust 2004 – Golden Horizons 2005 – cinema rétro 2010 – Portrait of a Change 2014 – Remembrance
Oggi THE DUST presenta la sua sesta opera autoprodotta: 2016 – THE INNER SIDE
Il cd è disponibile in streaming e download nei maggiori store digitali
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