A cura di Francesco Lenzi
ZEN CIRCUS “Canzoni contro la natura” (la tempesta dischi)
Tornano gli Zen Circus con “Canzoni contro la natura”,a 3 anni di distanza dal precedente “Nati per subire” (e ad un anno dall’album solista di Appino-il frontman/principale compositore della band).
C’è subito da dire una cosa:la band ha registrato il suo disco più completo e maturo.
E difatti questo album presenta l’evoluzione della band in maniera riuscita:non che manchino i testi pungenti cari alla band,ma il sarcasmo ha lasciato spazio ad un’ironia spesso amara,e ad un’osservazione più complessa delle cose e dell’attualità.
Anche musicalmente si nota una crescita non indifferente e le sorprese non mancano di certo!
Il disco si apre con “Viva”,un brano che narra le difficoltà e la vacuità di questi tempi moderni,ma senza retorica,semmai con un po’ di disillusione (“il mio voto a fare quanto quello di questo imbecille/e allora cosa me ne frega delle vostre 5 stelle/e di tutte le parole che vi sento blaterale/sopra il bene comune,l’amore universale”) e poi continua facendosi scherno di tanti luoghi comuni all’italiana (“tutti viva qualcosa,sempre viva qualcosa/viva l’Italia,viva la fica,viva il duce e viva la vita/viva il re,viva gli sposi/viva la mamma,evviva i tifosi”);musicalmente la band crea un ponte tra alternative,le radici punk rock care alla band e qualche riminiscenza cantautorale.
E la vuotezza dell’attualità viene affrontata anche su “Postumia” (“ed i trentenni escono con i ventenni/Ed i ventenni spacciano ai trentenni/e le trentenni scopano coi diciottenni/e i quarantenni sognano le quindicenni”),una ballata essenzialmente acustica senza peli sulla lingua,che pone anche un drammatico interrogativo (“Nonno,questo è il paese che hai fatto tu?”).
La title-track arriva subito dopo ed è un rock contagioso,eppure melodico,al 100% Zen Circus;il testo si fa più riflessivo e pone ancora delle domande probabilmente senza risposta (“se non ci fosse nessun giudizio universale/in quale modo scinderesti il bene dal male?”),talvolta con un filo di pessimismo,che viene però spazzato via subito dallo spumeggiante ritornello.
“Vai,vai,vai” ha un’andatura country e difatti ha il sapore di una colonna sonora di altri tempi:l’ironia torna ad essere tagliente (“vai senza timore,vai senza pensare dove te ne vai (….)ma poi non ci restare mai se dico”dova cazzo vai”?) ,ed è forse uno di quei brani che si ricollega al passato recente della band….più riflessiva “Albero di tiglio”,una ballata scura ed introspettiva (“è una legge di tutto il creato/il potere ha il male integrato/e poi il bene è un’idea vostra/frutto solo della vostra ignoranza,una bugia grande ed antica/detta per complicarvi la vita”) dai risvolti pessimistici,ma assolutamente reali:è uno spaccato perfetto della società odierna,dove tutti odiano tutti,e non c’è speranza per nessuno….Il finale,poi,è una vera e propria sorpresa dato che il pezzo rivela improvvisamente una natura new wave/post punk,che sfocia nel fruscio finale (che ci riporta alla mente quello di un vecchio vinile,e non certo a caso).
“L’anarchico e il generale” è una canzone dal sapore Dylaniano (complice l’armonica a bocca che la apre) e difatti svela influenze più cantautorali (De Andrè un’altra probabile ispirazione,trasfigurata e metabolizzata dal sound della band); anche “Mi son ritrovato vivo”,con il suo mood essenzialmente acustico,ricorda atmosfere un po’ settantiane…c’è perfino un’autocritica,narrata però con il sorriso sulle labbra (“c’è molto da faticare/tutti vogliono insegnare,compreso il sottoscritto/ma tu ricorda che /nessuno regala niente/nemmeno l’onnipotente/Ma in fondo va bene così”),anche per non prendere troppo sul serio l’agrodolce della vita…ed è una cosa che gli Zen Circus da sempre suggeriscono spassionatamente.
“Dalì” è un brano più riflessivo,adornato da chitarre vintage (ritorna un certo gusto per le atmosfere da noir fine ’50/primi anni ’60):non è la storia del celebre artista,ma quella di un “loser” (“se un giorno tornerò/che non si può mai dire/io mi vendicherò di quel patire”).
“No way” è una traccia più stradaiola (“navigare in questo mare di merda da ingoiare/di soldi trovare,di guai da evitare”) che incita a non abbattersi (“ma la strada da fare,non la puoi trovare/ti devi dar da fare,la devi costruire”)…sul finale appare la voce beffarda di Giorgio Canali che alla domanda della band “Giorgio,com’era questa?”,risponde con il suo inconfondibile sarcasmo “fa cagare come il resto del disco”,con bestemmia (censurata) annessa:uno scherzo che ci riporta alla tipica autoironia dei nostri.
Il disco si conclude con una ballata acustica dalle influenze sixties,”Sestri levante”,distesa e rilassata,ma con un po’ di amarezza di fondo (“la natura ha leggi marziali,lo spritz campari invece di no/tu brucia anche questo gioco/un altro sorso e la finiamo qui”).
Dunque,gli Zen Circus hanno partorito il loro migliore album:al ghigno beffardo stavolta hanno preferito una certa poesia….una poesia sicuramente ”di strada” ,ma affinata ed anche più raffinata del solito.
La crescita del gruppo è palese,anche se i nostri rimangono perfettamente sé stessi,coerenti con il proprio percorso e la propria storia musicale.
Quindi se avete amato gli Zen in passato,amerete sicuramente anche questo disco;ma c’è di più:se non siete ancora fan della band,con questo disco lo diventerete,stesso discorso per chi si era accostato distrattamente ai vecchi lavori della band….forse più accessibili,certo,di sicuro molto più rifiniti e definiti…..Una perfetta colonna sonora dei nostri tempi,cantata e suonata con intelligenza e gusto:davvero un bel disco che colpisce nel segno,fidatevi.