L’ultima volta che ci eravamo sentiti avevo parlato della definitiva affermazione musicale dei Fitz & The Tantrums con il loro intrigante indie dal retrogusto elettronico. Stasera volevo invece portarvi a fare un ulteriore “tuffo” in queste vivaci sonorità tra danzereccio e atmosfere retrò ottantiane parlandovi dei Chvrches, e del loro esordio in LP “The Bones Of What You Believe”. A dire il vero questo misconosciuto trio scozzese già da qualche annetto aveva fatto parlare di sè all’interno del circuito musicale britannico, prima con la buona dance track “The Mother We Share” nel 2012, che si posiziona in poco tempo tra le prime 40 in Regno Unito, per poi tornare ancora più decisi la scorsa primavera, col singolo e successivo EP “Recover”, con sonorità più marziane e aggressive, con successiva e altrettanta conferma nella terra natia. Fino ad allora però rimasero solo una potenziale promessa, con un pubblico sì più vasto ma in attesa di una vera e definitiva conferma nella scena discografica internazionale. La svolta giunge infatti quando nei mesi successivi all’EP arriva la chiamata da parte dei leggendari Depeche Mode che, venuti a conoscenza del loro grande potenziale, li scelgono nel loro The Delta Machine Tour come band di supporto. Ed è proprio durante l’esperienza di questo tour che riescono a ultimare in via definitiva il loro primo album, uscito proprio questo fine settembre. The Bones Of What You Believe è un album dai fortissimi sapori ottantiani, dove la voce sibillina di Lauren Mayberry, insieme a mentite spoglie di brava ragazzina, crea un mix sonoro perfetto con i freddi, profondi synth e le energiche drum machine del duo polistrumentista Cook-Doherty (Cook canta pure in alcune delle tracce dell’album). Ed è proprio da questa elettrizzante miscela che vengono fuori grandi tracce come la già discussa The Mother We Share, Gun, Lies (che ricorda molto gli ultimi Cocteau Twins), la sofferta We Sink (affascinante il contrasto creato dal cantato sofferto della Mayberry e i ruvidi suoni campionati che accompagnano la traccia), ma soprattutto “Tether”, ricca di teatralità, e la depechemodiana “Night Sky”, che proprio con Gun formano le punte di diamante dell’album. Questo contrasto non è da percepire solo a livello sonoro, ma pure a livello emotivo trasmesso dai testi delle canzoni, con l’apparente dolcezza vocale della Mayberry a dare ulteriore contrasto: esempi lampanti sono la sentita vendetta espressa “We Sink” o la voglia di distruzione in “Gun”, contrapposte perfettamente ad altre più confortevoli e ammalianti, come le conclusive “Science/Visions” e “Lungs”. o ancora “Night Sky”. Un lavoro con parecchie influenze musicali, che pesca soprattutto dai gloriosi anni ’80, da prima con i connazionali Cocteau Twins di Beth Fraser (principale ispirazione della cantante insieme alla fiabesca Kate Bush e l’avantgarde epouse Laurie Anderson), alle atmosfere dark ed elettroniche dei Depeche Mode, quelle più dance del Prince di 1999, ma pure con forti richiami alla musica rock d’autore più recenti nelle profonde e nichiliste espressioni testuali che riportano soprattutto ai lavori di Elliott Smith.
In conclusione, un album piacevole e scorrevole, che potrà riportarvi ancora una volta indietro negli anni e farvi godere di nuovi esperimenti sonori, e nuove emozioni che da più di un decennio hanno visto proprio in Glasgow e nella terra scozzese il nuovo Valhalla della Musica, da leggende odierne ormai da anni affermatisi come Mogwai, Primal Scream e Franz Ferdinand, con in futuro, si spera, pure i Chvrches.
Voto: 7,5