Credo che la parola “elettronica” sia una delle più abusate e stuprate di questi ultimi tempi musicali, tanto quanto il termine “innovazione”: è pur vero che risulta ormai difficile, almeno nella visione musicale attuale, spingersi oltre e altrove la dimensione sonora, visto che sono state aperte la maggior parte delle scatole cinesi di questo continuo e sempre più intricato panorama artistico, dove ormai tutto e niente riesce a stupire, ma lo scopiazzamento, il richiamo alle origini svia spesso (colpa della stessa e forzata ricerca innovativa) in una concezione delirante dell’avant-garde, che in parallelo a tutti i campi artistici portano a “impoverire” più che ad arricchire. Non sempre la distorsione ermetica e l’insegnamento minimale dei Velvet Underground o delle scintille electro-beat di fine ’90 possono funzionare come punto di riferimento, e questo perchè la stessa parola “innovazione” non va per forza di pari passo con “originalità”, ma al contrario rabbuia il proprio talento: non è più il “voler dire” quanto più il “dire di volere”…è presunzione e non più interesse alla complicità con l’ascoltatore, che da sempre è risultato il primo elemento chiave per la consacrazione dell’artista e/o del gruppo, e poco c’importerà poi della solita, melensa questione del “mainstream vs. undeground”.

E’ da questa prospettiva che ha preso forma il progetto Creep, nato dall’amicizia e collaborazione tra Lauren Flax e Lauren Dillard, notevoli dj e fiori all’occhiello dello scenario elettronico underground statunitense; dopo l’esperienza in tour tra le fila dei Fischerspooner, le due ragazze prodigio iniziano a partecipare a varie collaborazioni con alcuni tra i migliori artisti e dj della scena musicale contemporanea, ed è da questa somma di esperienze che esce dopo tre anni di paziente “assemblamento” nella scorsa primavera Echoes.

Prodotto dall’etichetta indipendente Djs Are Not Rockstars, un po’ sulla stessa linea di Innocents di Moby, l’album fa forte (e totale) affidamento sull’insieme di queste varie e importanti partecipazioni, a mostrare non solo la geniale costruttività delle due ragazze, forti del supporto di un grande e solido entouraje di tecnici del suono, ma la loro versatilità emotiva, che continua a mutare (o evolversi?) nel tragitto dell’ascolto. Dopo una prima, maestosa introduzione (“Introduction”) d’electro-opera con Planningtorock, si inizia da subito a fare sul serio, prima col dark/trip-hop di “Vertigo”, con la partecipazione di Lou Rhodes, storica voce dei Lamb, e poi con l’eterea “The Key” insieme a un altro grande duo, gli Alpines (qualcuno ha parlato ancora di Moby?), a carezzare l’intimità e le debolezze più esposte dell’ascoltatore. Neanche il tempo di riprendere coscienza che si viene spostati di getto nelle atmosfere da ballo di “Days”, cantata e composta dal leader dei The xx Romey Madley Croft, e poi di nuovo sospesi in cielo con l’ambient di “Empty Church”, ma è solo con il ghetto-gospel di “Call Her” e “You” che arriva il picco compositivo del LP, la prima con il padreterno del sound novantiano e del trip-hop Tricky e la seconda con Nina Sky, una delle migliori realtà raggaeton di questi ultimi 10 anni. Si torna così a masticare realtà più terrene, e il pathos continua a permanere come all’inizio, come sempre e fino alla fine, e allora ci pensano  “Jessica King” e “Animals” (altre variazioni classiciste, altra bellezza sopraffina con sinuosi giri d’archi a richiamare il paradiso nel continuo inferno terreno), rispettivamente con Dark Sister e la limpida voce di Holly Miranda. Questo favoloso LP potrebbe concludersi qui, ma le Creep di Brooklyn non vogliono fermarsi qui e inseriscono un ultimo, splendente gioiellino alla “collezione d’artisti”, e il compito d’epilogo all’album tocca alla straordinaria Sia, già voce e frontwoman degli storici Zero7 e che già collaborò con le due Lauren nel suo ultimo album solista, We Are Born: e così non ci resta che svettare insieme al suo canto libero su nel cielo limpido di “Dim The Lights”, a prescindere da ogni stagione, luogo ed epoca dove ci troveremo, perchè in questo lavoro la dimensione temporanea non esiste più, cielo e terra sono diventati un’unica cosa come tutti gli ascoltatori calati nell’ascolto di questa magia sonora e visiva, e sarà un piacere potersi perdere almeno una volta nel vuoto, senza più paura, senza più un’unica voce che ci imponga cosa seguire o cosa scegliere, perchè a noi piace lo spazio che viene a crescere ed ampliarsi nella nostra mente, e l’insieme di questi echi riusciranno comunque a darci, nella loro vaghezza eterea, molto più conforto di tante dure realtà terrene.

Voto: 9,5

Creep - Echoes

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