FREE NELSON MANDOOM JAZZ “Double EP (The shape of doomjazz to come + Saxophone giganticus”) (Rare Noise records).

La Rare Noise records ci ha abituato alle sue uscite,che ci stupiscono sempre,una dopo l’altra.

E anche quello di cui vi parlerò oggi è un disco incredibile.

SI tratta di un doppio Ep ad opera del trio scozzese Free Nelson Mandoom Jazz (Rebecca Sneddon-sax,Colin Stewart-basso e Paul Archibald-batteria);un lavoro che come già anticipa il nome della band ed il sottotitolo,mescola doom metal e free jazz in un mix assolutamente personale ed originale.

“Where my soul can be free” apre il disco con fare cadenzatissimo,con un riff sabbathiano ad opera del basso distorto,mentre il sax dona un tocco “progressivo”;il brano,poi,improvvisamente accellera e rallenta subito dopo,ed è qui che le ritmiche metal si sposano perfettamente al free jazz creando un magma sonoro lavico e pesantissimo….

Le linee free del sax di Rebecca si sposano perfettamente alle cadenze stoner “settantiane” di “Into the sky”:un wall of sound roccioso e creativo,in cui la sezione ritmica è poderosa e inattaccabile e nella seconda parte rivela ancora la sua anima doom….

“The mask of the red death” evoca già nel titolo un famoso racconto di Poe e l’atmosfera si fa allo stesso tempo più meditativa (soprattutto da parte del sax) e inquietante allo stesso tempo (grazie alle cadenze spettrali della sezione ritmica):ma nella seconda parte anche il sassofono si fa più tagliente e tornano le influenze free,mentre basso e batteria continuano imperterriti sulla stessa rotta musicale….ed è incredibile come due mondi solo apparentemente lontani,si compenetrino alla perfezione! Un titolo come “Nobody fucking posts to the UAE”potrebbe rivelare un po’ d’ironia;musicalmente,invece,il brano è più riflessivo ed è quello in cui le influenze jazz si fanno sentire in maniera più marcata,seppur filtrate da un vago sentore “psichedelico”,almeno all’inizio;poi la sezione ritmica diventa mano a mano più possente,così come il sax si lascia andare all’improvvisazione più viscerale.

“K 54” è una variazione jazzata su un tema di Domenico Scarlatti;naturalmente non spariscono né l’improvvisazione free del sax,nè le cadenze metal della sezione ritmica,che riaffiorano qua e là nel brano,il più breve del disco.

“Saxophone giganticus” gioca su inquietudini rarefatte:è un brano dall’anima essenzialmente jazz,in cui vengono incorporati dei riff di basso hard rock…quando tutto si fa più incisivo,ecco che si dà nuovamente il via all’improvvisazione,memore dei segmenti più “estremi” di Ornette Coleman (e non è un caso)…..finale “ultra-slowcore”!

Il finale è affidato ad una cover,”Black Sabbath”del gruppo omonimo:inutile dire che la versione del trio è corposissima e ultradoom,con il sax a ricalcare la melodia vocale di Ozzy nelle strofe!

Un disco sorprendente che unirà vari tipi di pubblico:i metallari più estremi e intransigenti,i jazzisti,i patiti dell’avanguardia sonora,ma anche chi è semplicemente incuriosito da tecnica e stravaganza sonora….la dimostrazione che non esistono più barriere nella buona musica;un album davvero riuscito ed incredibile,che mi sorprende ascolto dopo ascolto e,ne sono certo,sorprenderà anche voi!

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