LE MURA DI MOS “Come sempre non sai più” (autoproduzione)
Le Mura di Mos sono un’interessante band modenese attiva dal 2013,che il 19 aprile di quest’anno ha pubblicato il suo primo album,rigorosamente autoprodotto;la line-up del gruppo è composta da:Alessandro Delle Monache-voce,chitarra;Davide Greppi-batteria;Giacomo Gasparini-basso;Matteo Magnani-chitarra/tastiera.
La musica della band è un rock melodico ricco di sfumature diverse e di soluzioni interessanti:andiamo a scoprire insieme il contenuto del loro album.
Apre “Tereza”,una canzone dalle venature “alternative”,con una bella melodia in evidenza (dal gusto pop) e dalle liriche molto interessanti (“Tereza,nessuno saprà mai che tu sei la rosa di sarajevo(..) il tuo nome risuona in questa casa buia”),che indagano sulla sfera personale,con un leggero sguardo anche al “sociale”,per così dire (anche se il tutto è trattato in maniera originale).
“Mogadiscio” è un brano leggermente più ombroso,dal cantato indimenticabile e dal testo introspettivo (“a lungo mi affannai a scorgere un orizzonte/in cui tramontare/non macchiato dai tuoi ultimi sospiri prima del vuoto”),che evoca suggestioni psichedeliche nell’introduzione,prima che il pezzo si trasformi in un rock sincopato e corposo,in cui la poderosa sezione ritmica si sposa ad un bellissimo e scintillante tappeto chitarristico.
“Tavoli in penombra” mescola una ritmica tesa e nervosa,ma sempre precisissima,a suadenti trame meditative,che si riflettono nel testo umbratile (“mi sveglierei se non fosse per le mie palpebre appesantite/dai tuoi raggi blu/se non fosse per le mie parole versate a vuoto/sui tavoli in penombra”);la canzone è melodica,ma allo stesso tempo ricca di momenti imprevedibili ed inediti (compresi alcuni cambi di direzione inconsueti ed irresistibili),dominati dalla chitarra acustica.
Il gusto per le atmosfere particolari e per le liriche introspettive si ritrova anche su “Ora d’aria”,in cui appaiono lievi solchi “electro” mai invadenti (che donano un tocco molto moderno all’insieme);la melodia si fa talvolta darkeggiante,mentre si indaga tra ferite personali (“nient’altro che la noia potrà capire/il vuoto del caos in questa fine/ma fino alla mia resa/il deserto resta l’unico limite”)…ma il brano è cangiante e caleidoscopico ed ecco che,accanto a riflessi psichedelici,appaiono cadenze funkeggianti che fanno muvore il culo (caratteristica questa che si ritrova anche in altri momenti del disco,e che la band padroneggia con stile unico).
“Il primo giorno di primavera” evidenza i lati malinconici della band,con le tastiere che ricalcano il suono degli archi e quindi amplificano l’amarezza e la disillusione del testo (“forse abbiamo innalzato mura più alte di noi/forse non riusciremo questa volta ad ingannare la frontiera/forse non indosseremo le vesti degli eroi/e aspetteremo di nuovo il primo giorno di primavera”);il mood è ricco,eppure diretto ed affidato essenzialmente a suggestioni acustiche.
Anche “Tungsteno” è solcata da un sentore di spleen,ma il tutto stavolta è elettrico e maggiormente caleidoscopico;la band è sempre in grande spolvero,e ci dona un’altra canzone meravigliosa:le chitarre creano sentieri chiaroscuri e velatamente onirici,morbidi eppure evocativi,e si sposano bene alle parole,che sintetizzano riflessioni personali (“se non provassi a ricordarti/non penderei più dalle tue labbra/è bastato così poco)…ma nella seconda parte,il pezzo si trasforma in un rock più deciso ed aggressivo (anche se la melodia del cantato è sempre in evidenza),compattissimo ed entusiasmante:un contrasto ben composto e che delinea le due anime del gruppo,quella più morbida ed introspettiva,e quella più grintosa.
“Cambiare forma” è un brano diviso in due parti:la prima è affidata ad una musica tesa e nervosa (che alterna momenti sincopati ad altri più graffianti) ,che scava sulle inquietudini personali cantate da Alessandro (“non ho mai avuto così tanto sonno senza il bisogno di dormire/non ho mai patito così tanto il giorno senza aspettare la notte per caprie”);la seconda parte-che è “divisa” dalla prima solamente da lievi rumori di pioggia-è più introspettiva,ma non meno decisa musicalmente…Le meditazioni diventano più amare (“hanno avvelenato il pudore/e assecondato la tua fretta di capire/o la vita non sopporta più della sabbia il colore ed ha disimparato ad amare?”),e ritornano gli intrecci chitarristici e ritmici (altra caratteristica saliente del gruppo);ci sono anche delle suggestioni “progressive” nell’insieme (evocate dagli arpeggi “acustici”),solcate da fruscii “vinilici” in sottofondo (che donano un ulteriore tocco di spleen).
Chiude l’album la versione “estesa” di “Tereza”,che-come abbiamo visto-apre l’album;in questa veste è quindi decisamente più lunga,con ampio spazio lasciato alle divagazioni strumentali dei musicisti (e anche gli echi e delay chitarristici sono notevolmente dilatati ed “espansi”,tra ricordi shoegaze ed alternative tirato a lucido).
Direi che si tratta davvero di un ottimo esordio,composto e suonato da una band eccellente e già ampiamente matura (e dalle idee chiarissime) che riesce a creare un sound e delle canzoni estremamente curate e personali:e non finisce qui,perchè anche il gusto per le atmosfere particolari e per gli arrangiamenti insoliti,mai scontati,fa emergere Le Mura di Mos nell’affollato panorama indipendente.
Da seguire con attenzione ed interesse,perchè le Mura di mos sono una vera rivelazione:sicuramente hanno ancora molto da dire e da dare,ma già questo primo capitolo piacerà a molta gente per la qualità e poesia che sprigiona,ne sono estremamente certo.