A cura di Chiara Pastorino
Mi siedo in poltrona e indosso le mie AKG.
Lo faccio sempre, perché, quando non so cosa mi attenda, amo pensare di essere in procinto di ascoltare qualcosa di indimenticabile, una esplosione di piccoli particolari,
emozioni, emozioni dal principio alla fine di un disco, e queste headphones sono il meglio che potessi comprare per essere all’altezza delle numerose attese di cui fantastico.
Nel caso di questo disco, posso dire di non aver sprecato il mio tempo e le mie preziose, amatissime cuffie. Niente di sconvolgente, a mio modo di vedere, ma semplicemente, bello.
Cercherò di andare con ordine e farvi ripercorrere la mia esperienza d’ascolto. 
Ho ascoltato questo disco due volte.
La prima seguendo l’ordine proposto dall’artista, Paolo Cantù; 
la seconda, nell’ordine che ho deciso io. Due esperienze che devono essere diversissime.
Una prova del nove di noia in un certo senso. 
Se i due ascolti non generano due differenti flussi di coscienza, o se stimolano la fantasia in maniere non dissimili, allora, per quanto mi riguarda, il disco è già dimenticato.
Non è stato così per questo lavoro. Non lo dimenticherò.
Il primo difforme insieme di musica, dove per difforme, voglio intendere qualcosa che difficilmente è aderente ad una precisa forma, è La ragazza in coma. Con questo brano, gridato di un grido quasi quasi garbato, da Federico Ciappini, comincia il flusso di coscienza
di cui parlavo poc’anzi. E’ un brano rabbioso, non arrabbiato, quasi un lavoro di sound design, un intrigo, un intreccio di voci, stridule e metalliche sonorità che saranno un po’ il light motive di tutto il disco. Mi immergo in questo solco di suoni acidi e appuntiti, con grande concentrazione e mi si affina l’udito, come un occhio alla ricerca di dettagli tra la nebbia, così mi scopro a porgere l’orecchio ai suoni e mi ritrovo all’improvviso a sentire stimolati anche gli altri sensi.
Un inizio poderoso. La voce di Federico Ciappini, libera e sfogata, ben si adatta a tutto questo Chaos, e mi riferisco a quello Teogonico e non al caos che le maestre degli asili usano per sintetizzare il concetto di becera informe confusione. Se non sapete cosa sia la Teogonia, vi prego, spendete qualche minuto per scoprirlo prima di proseguire nella lettura di questo mio povero gesto recensionistico.
Non voglio divagare! La ragazza in coma rinverrà in Techno (Berlino in sottofondo), il cui testo è di Chiara Mattioli?
Un bel miscuglio caustico anche qui, grazie all’elettrico estremo e ossessivo dei cordofoni amplificati, suonati- o per meglio dire- usati, da Paolo Cantù. E’ più opportuno e proprio usare il termine”usati” poiché in questo disco gli strumenti sembrano davvero generare qualcosa che trascende ciò che siamo abituati a chiamare musica, ma senza esserne snaturati. Il “testo” in questo brano è quasi -forse volutamente- incomprensibile e ciò che cattura l’attenzione della vostra AKG -addicted, è il ritmo ossessivo, che quasi fiacca, e poi lascia spazio ad un improvviso rilascio di tensione con gli ultimi respiri di solitarie percussioni e poi un violento silenzio. Una sorta di decesso, volendo fare un azzardato paragone biologico.
Mi soddisfa? Techno dico, mi soddisfa?
La risposta è no, non mi soddisfa. MI fiacca più che altro, mi stanca come una lunga corsa, è meno vitale della ragazza precedente, che, per altro era in coma se ricordate.
Ironia a parte, il secondo brano delude un po’, ma è la posizione che gli è toccata ad essere traditrice. Il fatto di prendere il posto nelle mie orecchie,
della poderosa prima traccia, fa sembrare Techno insoddisfacente, e posso dirlo con certezza, avendo avuto a disposizione il mio secondo magico ascolto in cui mischio la posizione di tutte le carte per così dire.
Ed ecco emergere dalle stanche umide membra di Techno, una davvero bella Slowing down ( an  aspect as a whole). Tre minuti e quaranta che volano via letteralmente,
portati via dalla bellezza. Anche in questo brano il sound è elettrico, secco, metallico, ma leggero e dolce. Slowing down è un titolo perfetto. La dolcezza della voce di Paolo Cantù, credo, è usata benissimo, piena di mestiere e suggestiva. 
Questa traccia, mi ha lasciata sorpresa sia nel posticino che occupa, appena prima del lato A del vinile, sia quando le ho fatto occupare il posto del gran finale, durante 
il mio ascolto “disordinato”.Affascinante. 
Arriva poi il turno dell’ultimo brano del lato A: You can’t Run the Church on Hail Marys. Non mi è piaciuta. Per nulla. Mi ha semplicemente annoiata. Di nuovo esasperante, di una esasperazione ansiosa, certamente voluta, chiaramente cercata, ma non di mio gradimento. Le sonorità sono comunque interessanti, ricche, in linea con il resto del lavoro. Questa sa di preludio ad un climax che mi attendo all’interno del lato B.
Ed eccolo il lato B, che inizia con Sunday clouds, in cui scorgo  la voce di Hysm?, per la prima volta in vita mia.
Sembra un inseguimento di suoni, respiri e suggestioni. Le corde qui si fanno più gravi e dolci, i piatti disordinati e secchi, l’elettronica più distinguibile, fischi, circuiti in tilt… una vera esplorazione. Sembrano lamenti di macchine sofferenti, sfregamenti di lamiere impazzite. E poi questa voce missata molto bene, che invade l’una o l’altra cuffia, 
spazzializzata in modo inaspettato. Poi un altro ultimo respiro: la fine del brano, non preparata, fa pensare ad un androide che ha finito tutta la batteria e non ha altra scelta che arrendersi.
Davvero interessante, che ricorda, forse a grazie alla voce scura e incerta di Hysm?, un pochino il compianto Bowie. Il resto del lato B, non delude.Davvero.
Un lavoro che mi ha sorpreso, che, non so perché, ha evocato nella mia mente, Berg, Berio, e i sound designers moderni, pionieri della sperimentazione sonora, sapienti dell’immaginazione.
C’è del mestiere insomma, che rimanda alla biografia di questo one man project di Cantù. Cercatela, la biografia. Vi stupirete di chi è, di cosa ha fatto e da quanto tempo lo fa.

Buon ascolto a tutti.

LINK PER L’ASCOLTO:
https://brigadiscorecords.bandcamp.com/album/makhno-leaking-words

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