MASSIMO VOLUME”aspettando i barbari(La tempesta dischi)”

Parlare dei Massimo Volume per me è un grandissimo onore.

Un po’ perchè per me hanno rappresentato molto(e continuano a farlo),un po’ perchè sono davvero uno dei gruppi che preferisco di quella scena alternativa italiana che è fiorita negli anni ’90….

Quando ho saputo del loro comeback di cinque anni fa(dapprima dal vivo,poi concretizzatosi 3 anni fa con l’album”cattive abitudini”,il primo di inediti dopo un silenzio discografico di oltre dieci anni),sono stato subito felice perchè ho la certezza che nel caso dei Massimo volume,la loro reunion non è una cosa legata a meri obiettivi calcolatori,ma veramente”sentita”….in parole povere,loro sono”veri”ed il loro ritorno sincero,legato all’urgenza di avere qualcosa da dire(com’è sempre stato per loro,d’altronde)e non a scopi commerciali.

Anche perchè i Massimo volume “commerciali”non lo sono mai stati(e odio il termine a prescindere)….sono sempre stati una band molto particolare,forse “per molti,ma non per tutti”come direbbe qualcuno:ed è anche questo uno dei motivi per cui li ho sempre apprezzati(come tutti i grandi gruppi,vengono fuori quando solo hanno qualcosa da esprimere,non hanno certo sempre bisogno di stare sotto i riflettori,anche perchè la loro musica non ha nulla a che vedere con le brutture dello show biz….una coerenza che pochi hanno nella scena italiana).

Ricordo che giusto qualche tempo fa con un amico,parlando del ritorno dei Massimo volume,concordavamo entrambi sul fatto che loro fossero una spanna sopra a tante cose dell’indie attuale,che vengono spacciate per capolavori,e invece sono cose trite e ritrite(per non parlare dell’aspetto tecnico).

Ma veniamo adesso al contenuto del disco(la formazione,lo ricordiamo,è composta da 1/3 dei componenti storici,ovvero Emidio Clementi-basso,voce,Egle Sommacal-chitarre e Vittoria Burattini-batteria,ai quali si è aggiunto nel 2008,Stefano Pilia all’altra chitarra).

L’atmosfera ombrosa di”Dio Delle Zecche”è l’apertura del disco,e subito ritroviamo tutte le caratteristiche salienti della band,rimaste invariate durante tutto questo tempo(per fortuna):i testi introspettivi e taglienti di Mimì,le chitarre arroventate di Egle (e Stefano),la batteria precisa di Vittoria….se vogliamo,c’è una lieve apertura alla melodia più che in passato(in questo senso,si aggiorna un certo tipo di discorso che era già stato”accennato”su”Club Privè”).

Clementi è aguzzo e spinoso come ce lo ricordavamo(“la moda di esibirsi travestiti da operai/la moda di fumare/la moda di sparare o non sparare/la moda di spararsi”)e non le manda certo a dire….il mood musicale è ombroso eppure rarefatto,con il trademark della band sempre ben in evidenza.

“La cena”è il primo singolo estratto del disco,un brano spigoloso e tortuoso,nella miglior tradizione Massimo Volume….tutta la band è in forma musicalmente,compatta come non mai,tra improvvise scorie post-noise e atmosfera dark;e su tutto svettano sempre le liriche amare di Emidio(“o madre/il vento scuote ciò che cede/le insegne,i rami,le catene/le foglie morte dell’amore/riuniti qui a consumare/il piatto freddo della cena/la vita stinta dell’attesa”).

La title-track ritorna al lato più”Intimista”dei Massimo Volume;musicalmente è un brano molto umbratile e bellissimo….le melodie suggerite da chitarre e basso sono riflessive e notturne,e paiono apparire anche delle lievi incrinature psichedeliche(riviste,però,in chiave noir).

La tensione emozionale espressa in musica si riflette anche nelle parole(“Lo so,lo so,lo so(..)/non era questo il vino promesso,gli inviti,i fiori,le risate/ma stanotte la notte è una lama illuminata/che taglia il buio e la paura/e punta avanti,dove tutto riposa immacolato e giusto,e nostro,e puro/prima dell’arrivo dei barbari”):c’è sempre un senso di inquietudine sottile,ma che rimane in attesa,non esplode mai,ma ti fa stare sul”chi va là”,in attesa del”misterioso”dopo che può esserci dietro l’angolo….

Sempre personali e sempre tesi i suoni di”Vic Chesnutt”,che non è solo un”omaggio tra le righe”al cantautore americano morto suicida qualche anno fa;difatti il nome di questo musicista,è in realtà un pretesto per affondare la lama verso piaghe amare personali,o comunque introspettive(“ricordati di Chesnutt/quando compi il resto(…)quando togli il trucco/ricordati di Chesnutt,quando fumi l’erba(…)quando vedi me(…)quando il suono stride(….)una corona di spine poggiata sul palco dalla chitarra alle spie”)…..c’è anche una sottile vena sperimentale in questo pezzo,unita all’uso di elettronica analogica(che appare come”tappeto”anche in altri brani del disco,senza mai invadere il territorio,ma semmai come ingrediente”aggiunto”alla tensione emotiva,in un gioco di dinamiche sempre più accentuato).

“Dymaxion song”corre sul filo del rasoio ed anche la melodia,quando c’è,è un cantato nervoso,non allineato,sempre tesissimo;”Contenitori di acqua noi siamo/nuotiamo,e ogni tanto affoghiamo/ho messo chiodi tra le corde/e preso il vuoto dalle stelle/l’ho sparso lungo le strade del mondo/e sulla vostra pelle/vi piaccia o no”recita Clementi,mentre gli arpeggi di Egle sono anch’essi inconfondibili nei loro ricami sonori…le parole scavano sempre in profondità,e a fondo(“rendi il mondo al caso/rendilo uno scherzo/rendi onore ai vivi/rendi gloria al nulla”)nelle strofe secche e laceranti(talvolta pure volutamente dissonanti),mentre il ritornello è più diretto e aggressivo anche musicalmente,un muro di suono impenetrabile e,a suo modo,roccioso.

Le capacità “descrittive”di Emidio Clementi,che sono uno dei tratti distintivi da sempre della band,si riconfermano su”La notte”,un brano che non sfigurerebbe certo sullo storico”Lungo i bordi”(”Carlo ha un ombrellino piantato in mezzo al petto/”ho il cuore in ombra”, dice“ho il cuore gelido/toccalo”, dice“avvolgilo,tienilo stretto,sto morendo di freddo”);per gli amanti della band è un must,uno spaccato quasi”cinematografico”nella loro migliore tradizione,fatto di crudezza poetica e di riflessioni ardite,forti(“Luca s’è fatto prendere dall’ossessione del denaro/Leo dal fascino osceno del caso/Stefano ha bisogno di attenzioni/Laura di privazioni/Gianni vive a Pechino/Laura serve ai tavoli in un ristorante di Torino/Andrea prende una droga che fa dimenticare Sergio ha una malattia che lo fa addormentare/Mimmo è morto /e io?/io aspetto qui/e mi affido alla notte che confonde le tracce/che nasconde i rifiuti/che ritorna costante “)…..e anche la musica presenta angolazioni spigolose,dure,eppure anche”ariose”in un gioco di contrasti fascinoso,tra luce ed ombra,che è una costante nei lavori del gruppo,sempre in linea con la loro proposta,eppure sempre diversa e diversificata….uno dei miei brani preferiti di questo disco,che sicuramente diventerà col tempo un classico della band….

Le chitarre sembrano sirene che lacerano l’aria su”Compound”,col basso distorto di Emidio che detta insieme alla batteria di Vittoria un sound cupo e oscuro,eppure non privo di parti più melodiche,anche se sempre ossessive;per contrasto,le liriche sono più introspettive e anche ricche di una certa poesia urbana,anche metaforica se vogliamo(“gli uccelli/sul tetto,la notte sognano sogni

di cristallo/gli uccelli sul tetto stanotte frugano tra le rovine del nostro mondo perfetto”)…

“Silvia Camagni” è un altro bel momento e ha delle liriche ispirate a”She’s a woman”degli Husker Du:qui si ritorna su atmosfere più caute,eppure non esenti da rasoiate chitarristiche ,sempre ben evidenti.

“Silvia,stai attenta,copriti meglio/conserva l’amore per quando fa freddo(…)io ti sogno ogni tanto che attraversi la strada/ti giri e mi gridi”fai presto”,/poi di colpo scompari”recita Emidio in questo altro tassello emozionale dal sapore quasi onirico ,che è diviso però in due parti:la prima più essenziale e scarna,la seconda più pacata e scura,strumentale e meditabonda.

“Il nemico avanza”presenta delle citazioni di Mao Tse Tung (ci sono anche dei samples dello stesso-se non vado errato-che aprono il disco);la band è in un meraviglioso stato strumentale,con la fusione”perfetta”tra la sezione ritmica e i chiaroscuri delle scintillanti chitarre…..crude e viscerali le liriche(“ricordi Beirut/e la foce del Mekong/le strade di Saigon/le mura di Algeri/i fuochi sparsi/le macerie,il porto di Haiphong bombardato dal cielo?/crudele/a vent’anni,il corpo distratto/la notte disposta per un ultimo assalto/l’odore del sangue che sa di dolce di pesce pescato,di sperma,di vita che morde”).

Il disco si chiude con “da dove sono stato”,un ultimo riuscito tassello dalle note velatamente sarcastiche(“Camerieri,cantanti,attori bipolari,arguti figli di papà/bukowski butterati,massa drogata

sanbenedetto in croce/mahagonny abbandonate/monterey di sogno/parrucchieri in estasi/gerani ai davanzali(ricordarsi di dare da bere))”,ma anche struggenti in un certo senso(“di fronte a tutti voi io oggi umilmente mi inchino/per avermi fatto sentire vivo e reso grazia/al vostro incanto vi lascio/

e corro incontro ai giorni che mi spettano”),con una bella dose di umiltà veramente”sentita”.

Viene citato anche John Cage nel testo,mentre la musica è altamente evocativa,e mescola insieme l’anima più”intimista”a tentazioni più fragorose e sperimentali.

Un disco molto bello,a mio avviso,perfettamente in linea con l’attitudine e la coerenza che contraddistingue i Massimo Volume dagli esordi ad oggi;il loro sound è oggi forse più evoluto,ed è il sunto di tutte le passate esperienze della band(perfino i lavori di Egle da solista ed il suo album gli Ulan Bator,così come di Emidio col progetto EL muniria sembrano avere arricchito il sound del gruppo,con un qualcosa in più)….difatti convivono in questo disco diverse anime,la sperimentazione,l’introspezione,gli aspetti riflessivi…..

I reading e la poesia di Emidio Clementi non hanno perso un millimetro del loro spessore,anzi,sono col tempo germogliate,così come il sound del gruppo stesso appare sempre più maturo e convincente(perfino melodico,ma in maniera insolita),luminoso(anche nelle parti più criptiche);quindi non ho nulla da obiettare sul loro operato,anzi, sono felice che i Massimo volume tornino a regalarci le loro storie,con l’eleganza e lo stile che da sempre li contraddistingue.

C’è bisogno di gente così nella scena musicale italiana:teniamoceli stretti,perchè di gruppi così non ne nascono ormai più……veri e onesti fino al midollo,con”Arrivano i barbari”i Massimo volume cantano senza tanti giri di parole,la crudeltà(ma anche la bellezza)della vita stessa,oltre che la disarmante e sconcertante attualità……Fidatevi,la band è tornata e non tradisce le aspettative,ma anzi le supera brillantemente con il guizzo della personalità…..ed è uno di quei casi in cui il termine”alternativo”significa ancora qualcosa e non è di certo scritto a caso.

 

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