MATTEO CINCOPAN”Passati futuri”(autoproduzione)
E’ un grandissimo piacere ed un onore parlare nuovamente di Matteo Cincopan all’interno del mio spazio.
Sì,perchè io ho letteralmente adorato il suo album precedente”Fantascienza”;se vi ricordate,infatti,ne parlammo giusto qualche tempo fa in maniera entusiastica.
Quindi,recensire questo suo nuovo lavoro mi riempie di gioia e di curiosità.
Vi dico subito che Matteo non si è ripetuto;e questo è un bene,senz’altro.
Nonostante questo,il nostro eroe non ha abbandonato un certo flavour psichedelico;però questo disco è più dalle parti di un certo rock cantautorale e ,contemporaneamente,in questo nuovo lavoro viene fuori la componente più”progressive”del nostro,che già faceva capolino su”Fantascienza”, qui più marcata in alcuni brani(anche se il tutto è sempre al servizio della canzone,non ci sono mai vuoti e sterili esercizi di stile).
Anche la copertina,con il suo gioco di rimandi che fa molto studio hipgnosis,è significativa….ma veniamo al contenuto del disco,è giunto il momento di parlare delle canzoni e della musica in esso contenuto
(Prima di cominciare,ricordiamo che Matteo,come sempre,svolge gran parte del compito da solo:voce,testi,musiche,ogni sorta di chitarre ,tastiere e il basso-su”macchie di colore”partecipa anche Guido Argagno-…alla batteria c’è Stefano Vaccari.)
La prima traccia,”macchie di colore”è ricca di groove e”diretta”(come recita il testo stesso”senza riflettere o tirare conclusioni/ho scarabocchiato le mie sensazioni/presa diretta,registrazione!/le mani posson diventare aquiloni/e poi dall’alto esplorare i tuoi sogni”).
Non manca quel tocco”visionario” ormai caro a Cincopan(“un passato in technicolor ormai già dimenticato”),anche se qui è più”minimale”in quanto il suo rock songwriting è -come dicevamo-più”straight in your face”,più semplice che in passato,ma non per questo meno affascinante.
Un brano contemporaneo e moderno,eppure con quel tocco di vintage che non guasta mai(complici anche le tastiere,il moog stile 70s).
Su”Agosto”appaiono strutture più complesse e progressive,con la melodia mai scontata in primo piano;le liriche si ricollegano parzialmente alle tematiche care a Cincopan(“la mia vita era come quella del pianeta che si ostina a girare intorno al sole/in un’orbita completamente fuori asse”),anche se qui vengono trattate in maniera più metaforica.
Si parla anche dell’attualità in maniera esplicita e spietatamente lucida(“per ogni cosa un’etichetta/anche per la morte e per la vita”),tra improvvise pause malinconiche e ritorni di slancio ad un’atmosfera da jam notturna.
“Il cratere del tempo”è una ballata molto british(quasi”barrettiana”nel suo incedere,anche se con mille altri suoni a fare da contorno),più acustica nell’introduzione,ma non priva di momenti elettrici e imprevedibili nel suo divenire.
Un brano orecchiabilissimo,ma molto curato in ogni minimo dettaglio…..nella sua apparente semplicità,difatti,la canzone presenta molteplici anime e riferimenti,ed anche il testo è da leggere e ascoltare con attenzione(“io mi sto muovendo:sono un punto nella linea del tempo/nel segreto di un incontro tra un cielo e un lampo”).
Anche i rapporti personali vengono trattati sotto una lente”deformata”o virata in un feeling”fantascientifico”,spaziale;è così per”dodici volte più una”,un’altra ballata dai contorni progressivi e velati rimandi psichedelici,con delle tastiere cristalline(l’hammond dona calore,così come la chitarra,tagliente e che intreccia riff irresistibili;molto bello anche il solo verso la coda del brano).
“Un universo con solo risposte/un’utopia che non può esistere/un equilibrio che parte dal centro/che non è stabile,ma riesce a reggere”canta con amarezza Matteo,e non è difficile ritrovarsi nelle sue parole,che possono essere di molteplice lettura. Finale”interstellare”,anche se mai eccessivo.
Anche “numeri”è una riflessione amara sul nostro vivere quotidiano(“contorni consumati da un tempo che da se stesso fugge via/senza lasciare niente per separare tra loro gli attimi/nessuna verità,nessuno sa distinguere/tra tutti i numeri che inghiottono identità”),dove la personalità dell’individuo viene smagnetizzata e sminuita nei confronti della”massa”.
Musicalmente parte come una ballata semiacustica in minore,ma il basso”filtrato”dona un tocco di groove al pezzo veramente riuscito;bella anche la coda strumentale.
Voce lievemente filtrata e sottili frammenti di elettronica analogica affidata alle tastiere aprono”Domani è ieri”:l’atmosfera è malinconica….apparentemente sembrerebbe una ballad,ma poi il pezzo si trasforma in un rock&roll insolito,dal sapore fine’60-primi ’70.
Le liriche sono più introspettive(“risultato di uno spreco:milioni di stelle intorno a me/aspettando una risposta/dall’altro me stesso/che non è più qui”)e riflettono in pieno l’atmosfera inquietante della musica.
“Correre”è un altro brano insolito,che sembra condensare in pochi minuti l’anima più”psichedelica”di Matteo,che qui torna a farsi prepotentemente sentire:misteriosa nel suo incedere,con le sue chitarre psichedeliche e in reverse,è un brano a suo modo riflessivo e introspettivo,un invito a guardarsi dentro più che a guardare dentro al protagonista,in un certo senso(“non dirò cosa devi fare/non lo so,non posso giudicare”è la frase-chiave conclusiva del pezzo,molto significativa a mio modo di vedere).
Come su”Fantascienza”,c’è spazio anche per un brano strumentale,che è esattamente ciò che il titolo anticipa;”Spazio liquido”è un soffice intermezzo blueseggiante dai contorni space rock,in cui la chitarra affidata al phaser dona armonia oscura,mentre l’hammond e il moog spaziano su inquietudini varie.
Una traccia che è una meraviglia fuori dal tempo,che conferma le radici”floydiane”e spaziali del nostro,traghettate nella sua straripante personalità”fantastica”;anche qui si riconferma un certo sentore “psichedelico”-questa e la precedente sono le tracce del disco che evidenziano di più questa caratteristica.
La traccia conclusiva,”Homo Novus”,presenta dei riff molto incisivi su sentieri sempre fantascientifici a livello di liriche(“quello che so è tutto sul terzo pianeta/stabilità di un’equazione già nota/la macchina non riesce a dare risposta/e si blocca seguendo una falsa pista”);inoltre,i suoi campi di tempo improvvisi e insoliti donano un mood molto particolare al pezzo.
Sono convinto che”homo novus”,se fosse uscita nei ’70,sarebbe potuta finire nel catalogo della Vertigo Records,per le sue affinità con un certo prog originale e non allineato,tipico di quell”etichetta.
E si conclude così il disco,in maniera acidamente progressiva e complessa(ma senza mai essere “difficile”all’ascolto,anzi,tutto scorre in maniera perfetta),con le tastiere malinconiche e l’appena accennata chitarra in glissando che nel finale sembrano citare una”Echoes”moderna,trapiantata nel nuovo millennio(ma sono solo pochi istanti,prima della fine del disco).
Dunque,Matteo Cincopan non tradisce le aspettative:questo”Passati futuri”è una piacevolissima conferma,segno che il suo songwriting ha ormai un suo stile ben delineato,che si evolve capitolo dopo capitolo.
Difatti anche”Passati futuri”è una sorta di concept:non una rock opera nel senso stretto,e non un album concettuale com’era stato per i suoi due precedenti….ma un certo”sentire”,un certo modo di collegare le storie tra di loro c’è,è rimasto(mi spiego meglio:c’è un”comune denominatore”che lega i brani,la difficoltà dei cambiamenti e dell’imporsi della personalità dell’individuo-a mio avviso è questo il filo rosso che lega i contenuti dell’album-,anche se non si tratta di una storia unica.Un po’ come accadeva per”wish you where here”di Floydiana memoria,in cui-pur non essendo un concept vero e proprio-c’era un sentore comune in tutti i brani:quello dell’assenza)….così come il suo amore per le atmosfere che rimandano a mondi lontani e ad altre forme di vita,possibilmente”spaziale”(anche se come abbiamo visto,qua le tematiche vengono trattate in maniera più”metaforica”che nel precedente lavoro.E comunque il lato”fantascientifico”di Cincopan ha più cose in comune sulla”visione del futuro”che aveva Ray Bradbury o i grandi scrittori/sceneggiatori del genere nei ’60-’70 che non nelle piroette “pindariche”e tutte effetti speciali moderni di”Matrix”per intenderci!).
Possiamo affermare che l’attesa per questo disco è stata ben ripagata;il lavoro-a detta dello stesso Cincopan-non è stato facile da ultimare,tra ripensamenti,bruschi cambi di linea e di scaletta….ma ne è valsa la pena.
Matteo Cincopan è un nome che non deve mancare nelle discografie degli amanti di un certo tipo di sound;è un musicista ed autore che ha dimostrato che si può vivere,pensare e suonare con il cuore nei ’70,senza risultare anacronistici o nostalgici….perchè il nostro ha sì un certo”feeling”da parte sua,ma ha i piedi ben saldati nel presente,ed una fantasia enorme e senza limiti.
Auspico per questo grande cantautore rock un futuro dorato:non accorgersi della sua bravura e delle sue capacità sarebbe un delitto….quindi,invece di perdere tempo con le solite commercialate da classifica che durano una stagione e vi rompono i coglioni subito,dedicate un po’ del vostro tempo a questo disco…..perchè”passati e futuri”è un disco destinato a rimanere nel tempo,così come tutta la musica(e quindi l’arte)stessa di Matteo Cincopan.
Provare per credere,rimarrete incatenati all’ascolto.
( e per chi se ne frega e non ci crede….che sia condannato all’ascolto delle odiose boyband da x factor per l’eternità!).
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