Togliere a una band il suo leader, il suo frontman è come privare una famiglia del proprio padre: li togli la figura cardine, l’elemento essenziale per lo sviluppo e il mantenimento del senso di “insieme” da cui nasce, permane e si stabilisce tutto.
Un discorso che tocca da vicino la storia e le dinamiche dei Midlake che, guidati dall’istrionico Tim Smith, voce e polistrumentista “tuttofare”, hanno prodotto tre album, e uno più bello dell’altro, nel corso della decade passata. Una strada in salita insomma, che proiettava la band sempre più verso un panorama di rock mainstream…se non fosse che lo stesso Tim Smith si trovò stufo e “scomodo” non solo per le continue pressioni nel ruolo di leader di una band originale ed eclettica, ma per il suo stesso ego artistico spinto alla ricerca di nuovi mondi sonori da esplorare, nuovi orizzonti che ormai lo spingevano verso altre sonorità, come dichiarò lui stesso in una recente intervista, già nel pieno della sua navigazione sperimentale che lo continua a vedere tutt’ora spinto in parecchi progetti interessanti (su tutti quello coi Chemical Brothers, che già l’aveva coinvolto molto prima del suo abbandono dei Midlake).
E così, come i Genesis nei ’70 privati all’apice del loro successo e delirio artistico del loro Peter Gabriel, i Midlake si trovano a ricominciare da zero…o almeno in parte, vista la tempra mostrata dal fratello e co-fondatore del gruppo, McKenzie, che lo spinge insieme agli altri restanti membri a comporre “Antiphon”, che si dimostra già dall’affascinante copertina, parecchio simile alla pietra miliare “Zeit” dei Tangerine Dream”, precursori indiscussi della psichedelia e del krautrock, un profondo omaggio al folk psichedelico e alle folli sperimentazioni progressive d’inizio anni settanta. Il gruppo stesso più che disperdersi sembra trovare più coesione, più stabilità che, ironicamente parlando, dal precedente “The Courage of Others” sembrava avessero perso con un figura predominante come quella di Tim Smith: Eric Pulido, che fino ad allora era rimasto (tra virgolette) solo chitarrista e voce d’accompagnamento, s’assume la responsabilità di passare a voce solista, oltre ad ereditare pure il ruolo di songwriter che fino a quel momento era appartenuto ai fratelli Smith. Da questa compatezza si riescono a cogliere i primi buoni segni dell’album, dalle sonorità acide di “It’s Going Down”, “Vale” e la stessa title-track, al folk litanico e quasi tribale di “The Weight” e “The Old and The Young”, a strizzare l’occhio prima ai viaggi in anfetamina di Fleet Foxes e Gong, e poi ai “Beatles in oppio” del “Magical Mystery Tour”. Ma non mancano sicuramente i momenti più sognanti e poetici, come nelle bellissime “Provider” e “Aurora Gone”, con minimali arpeggi chitarristici e tappeti tastieristici ad arricchire maggiormente quella forte sensazione di pace dell’anima. L’album è un continuo e nebuloso viaggio nel cosmo psichedelico, un sogno felliniano in cerca solamente di avere più nitidezza d’espressione che, proprio in questa nuova svolta, trova in Smith e Pulido un atto coraggioso di reinventarsi, o più semplicemente tornare agli albori osservando le stesse scelte di generi (dai già plurinominati acid & folk rock), ma con una volontà che è risultata determinante più di ogni inventiva per far tornare lo spirito sonoro di un tempo. A tratti il lavoro potrà risultare acerbo, specie considerando alcune scelte frettolose e ripetitive di alcune tracce o di certi passaggi musicali, ma riesce a convincere in pieno proprio per la sua grande forza comunicativa di gruppo, come grande insegnamento umano perchè, come diceva il grande medico Oswald Avery, “ogni volta che cadi, raccogli qualcosa”…e il terreno artistico dei Midlake, apparentemente in maggese, riserva ancora tanti buoni frutti per il suo raccolto musicale, e i buoni assaggiatori di musica potranno sicuramente continuare a saziarsi senza troppe polemiche.
Voto: 7,5