Recensione di Cecil T.

Freschezza, ironia e una buona dose di energia, sono le caratteristiche di

“Hey Caboto”, disco autobiografico di Nicola Caboto.

Il cantautore narra un periodo della sua vita, caratterizzato da continui

cambiamenti, traslochi e susseguirsi di situazioni nuove.

Caratteristica principale di tutta l’opera è la semplicità compositiva,

armonicamente poco articolata e metricamente essenziale.

Emerge un’attenzione all’impasto sonoro e alle scelte timbriche, vero

marchio e punto di forza di queste canzoni.

In particolare accurato e sapiente l’utilizzo dei synth, ottima cornice e trait

d’union tra il ritmo armonico semplicissimo e la voce.

Ben riusciti anche i cori e le voci raddoppiate.

Punto debole, invece, sono le linee melodiche, in alcuni casi forzate, in altri

un po’ ingenue.

Dal punto di vista dei contenuti, le tematiche ricorrenti sono legate al viaggio,

al cambio di città, rappresentazione perfetta del percorso dentro di sé, vera

struttura del profondo.

Nicola Caboto si racconta, con una giusta dose d’ironia e leggerezza.

I versi si susseguono tra assonanza e rime utilizzate con sapienza.

Il timbro vocale è gradevole e caratterizzato da energia e vitalità.

I riferimenti riscontrabili, sono sicuramente quelli del cantautorato e della

musica leggera italiana.

In “Non una parola” e “Vintage”, viene in mente il Baccini degli anni novanta;

in “Confine su confine” e “Il mio romanzo esistenziale”, sovviene Silvestri,

fortunatamente con più intonazione e gusto, mentre “E nebbia ho nel cuore” richiama gli ultimi

lavori di Cremonini, però meno banali.

Dove Caboto dà il il meglio di sé è in tracce come “Casa casetta” e “Hey

Caboto”, dove il rock americano e una certa aggressività sono ambienti

sonori ideali per l’autore.

Poco riuscita è, invece, “Piccola famelica zanzara”; la Bossa Nova sembra

scimmiottata e la voce di Nicola non riesce ad avere il giusto metro e la

giusta accentazione, forse l’esperimento è un po’ ardito.

Un CD godibile, molto leggero e di facile fruizione, forse un maggiore

spessore avrebbe reso il lavoro più artistico, ma allora, non sarebbe più

inseribile in un contesto commerciale che è, chiaramente, il settore

d’appartenenza.

E’ un buon esordio e chi scrive ne consiglia l’ascolto.

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