PIERPAOLO CAPOVILLA “Obtorto collo” (La Tempesta dischi)

Torna Pierpaolo Capovilla,il leader del Teatro degli orrori e,ancor prima,degli One Dimensional Man:non sappiamo se questa prima prova solista,è una semplice “pausa” dal suo gruppo,oppure l’inizio di un qualcosa di nuovo musicalmente…forse ambedue le cose,ma è ancora presto per dirlo.

Quello che è certo è che ci troviamo di fronte ad un lavoro sostanzialmente diverso da quelli del Teatro degli Orrori ( che hanno conosciuto un grande responso di pubblico):qui è tutto più rifinito,e anche le canzoni stesse sono molto più “accessibili” (anche se non sempre,e vedremo poi perchè) della vecchia produzione musicale del nostro;ma questo non è necessariamente un male (non per me almeno,considerando che avevo già apprezzato la “svolta” stilistica degli ultimi due dischi del Teatro…ovviamente qui c’è un cambio radicalmente diverso di strutture e sonorità).

Probabilmente i fan “hardcore” del Teatro storceranno il naso,perchè il disco-è innegabile-si rivolge ad un pubblico più ampio e sostanzialmente anche differente;questo era parso evidente già dal primo singolo estratto,”Dove vai”,che qui appare come quarta traccia (un brano godibilissimo ed orecchiabile,dal sapore darkeggiante, che secondo me riscuoterà col tempo grande successo anche tra chi non è avvezzo al le sonorità alternative o indie;anche il testo sembra voler evidenziare questo”cambiamento”:”vorrei andare via,vorrei ricominciare sempre tutto d’accapo/ma non so perchè”).

Tuttavia all’interno di questo “Obtorto collo” ci sono anche tratti più sperimentali (quindi chi pensava ad una svolta pop,è fuori strada), come nell’introduttiva “Invitami”,una sorta di poesia in musica recitata su uno sfondo minimale che evoca atmosfere vintage e jazzate (perfino free,a tratti),che ricordano la colonna sonora di un vecchio film giallo o noir dei tempi andati (“Io non mi riconosco più in questi luoghi e in queste circostanze” è la frase emblematica della canzone).

Che ci sia,però,una cura maggiore verso i ritornelli e verso le atmosfere catchy è innegabile:esemplare il blues notturno (e poetico) di “Il cielo blu”,adornato da chitarre quasi country,oppure la quarta traccia “Come ti vorrei”,decisamente moderna,una riflessione intimista essenzialmente parlata (“ti ho scritto una lettera/e l’ho buttata via/come ti vorrei”) con un tappeto electro-funk notevole sullo sfondo(in cui,per la verità,tornano a far capolino anche dei tratti “sperimentali”,anche se ben dosati all’interno della canzone).

L’amore per le atmosfere rarefatte (così come alcuni tratti vagamente retrò,specialmente le chitarre) riappare anche su “Irene”,che parla di un incontro con una ragazza rom (“guardami negli occhi e non fingere mai”);anche ”Quando” ha un’andatura jazzata di altri tempi ed è uno dei brani più belli,con la voce di Capovilla ad essere estremamente suggestiva nel narrare una storia ombrosa (è una presa di posizione contro la violenza alle donne).

“Bucharest” è un’altra ballata malinconica (“me ne vado via,non mi vuoi più vedere/non ritornerò mai più” è l’incipit iniziale) che sa di cartoline lontane e di spleen umbratile;“82 ore” è rivestita di disillusione e amara consapevolezza,con un aspetto più “teatrale” in evidenza e si parla della realtà che ci circonda (la storia è vera,parla di un insegnante ingiustamente rinchiuso in manicomio,torturato e quindi ucciso), impreziosita da lucidi interrogativi (“ma in che paese viviamo?/Dimmelo tu”).

La title-track è un brano sperimentale,avvolto dal piano “preparato” (e da avvolgenti tastiere nell’intro,che poi ritornano sul finire del brano) e con la voce di Pierpaolo in primo piano (torna anche la componente “teatrale” cara al personaggio);”la luce delle stelle” è un ottimo jazz-funk in cui tratti “spericolati” si mescolano a parti più accessibili,in un melting plot di grande fascino.

“Arrivederci” non poteva che essere il finale (“arrivederci amico mio,oppure addio/anche se piove e se fa freddo/e senza musica/vorrei cantare con te/una canzone per noi”),con una bellissima dedica allo scrittore Andrea Zanzotto (ma il testo pare riferirsi anche ad un amico scomparso-le cose,però,potrebbero anche coincidere;ad ogni modo la lettura è sicuramente non univoca).

Concludendo,posso tranquillamente affermare che si tratta del migliore lavoro di Capovilla (parere personale);l’artista in questione è arrivato ad una maturazione totale,che è palpabile in tutti i solchi del disco,sia in quelli più “pop” (o meglio,accessibili) che nelle tracce più “difficili”:inutile dire che il disco stupisce,e spiazza più di una volta…..difatti se è vero che l’album si rivolge non al fan medio del Teatro degli Orrori (come dicevo all’inizio),ma bensì ad un’audience più ampia,è anche vero che qua si percorrono strade inedite per l’autore,perfino coraggiose.

Un disco da ascoltare con attenzione,che svela la vera anima di Capovilla e rivela pure lati che non conoscevamo di lui:vedrete,ne rimarrete stupiti positivamente.

1891162_678100865561150_9199235259690702241_n

Webzine