L’altra volta s’era discusso di quanto fosse sempre più difficile far filtrare nel nostro paese la musica elettronica, discostandosi soprattutto dai soliti, retorici canoni discotecari, che si alienano totalmente dall’anima e dalla qualità di un genere che per ben 40 anni ha fatto Storia. Eppure il dramma dell’elettronica, salvo pochissime innovazioni come la dubstep e l’electroclash, per lo più risultanti di nuovi mix sonori, ha avuto nel corso degli ultimi 10 anni un appiattimento, banalizzando l’aspetto culturale oltre che musicale a mediocri e ridicole ovattazioni sonore, per lo più risultanti di remix ed estensioni di continui ricicli non solo dal mondo dell’elettronica, ma da qualsiasi altro genere si riesca a pescare una campionatura più o meno catchy, ridicolizzando lo stesso panorama rock e metal a frustranti e volgari macchiette per le discoteche.

Poi ecco che ti arriva all’improvviso un certo ragazzino del sud-est britannico di nome Nick Douwma, noto semplicemente ai più come Sub Focus, e riesce a farti tornare la speranza di una rinascita del genere in termini di sostanza e non più di mattanza.

A dire il vero la storia di Sub Focus parte dagli inizi 2000, tra vari locali, discoteche e giri-rave dei sobborghi britannici, dove ancora ragazzino si prestava a fare remix di Prodigy, Empire of the Sun, Dizzee Rascal e tanti altri ancora, iniziando già dal 2005 a incidere pezzi propri, come il binomio Rock It/Follow The Night, in testa alle classifiche britanniche nell’estate 2009. Dopo un primo, notevole esordio house/drum&bass nel 2009 con l’omonimo “Sub Focus”, esce un mese fa quest’ultimo, straordinario seguito discografico, “Torus”, che riesce a infondere ulteriore linfa vitale al suo credo artistico, perchè se il primo album era una grande rivelazione, questo può diventare una potenziale pietra miliare del genere e del nuovo decennio. Come ho già detto, trovavo ormai sterile da anni il panorama dell’elettronica, ed era dai tempi di “You’ve Come a Long Way, Baby” di Fatboy Slim che non riuscivo a trovare un album così completo e valido. Tracce come la title-track (con forti echi rockettari) o la successiva “Safe In Sound” (nata e sviluppata intorno al sample di una canzone tradizionale irlandese) vanno a rendere un palese omaggio al Jean Michel Jarre di “Oxygene” e “Magnetic Fields”, seguite dalla deep house di “Close” e “Turn It Around”, quest’ultima in collaborazione con Kele, leader dei Bloc Party, ma anche la dubstep riesce a trovare spazio, come in “Endorphins”, “Tidal Wave” insieme ai bravissimi Alpines e l’orientaleggiante “Out of Reach”, finendo al drum&bass più studiato di “Out of Blue”, “You Make Me Better” o la forte evocazione dance novantiana di “Turn Back Time”.

Ogni singola traccia ha un mondo a sè all’interno dell’album, una storia personalissima da raccontare, mantenendo comunque un continuo e lineare percorso musicale, con Sub Focus nei panni di un perfetto Caronte a condurci nei più profondi flussi sonori, e dove ognuno di noi può trovare un’unica e personalissima meta emotiva.

Voto: 9,5

Sub Focus - Torus

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