KALEIDOSCOPIC “Onironauta” (Dischi bervisti)
Oggi vi parlerò di una notevole band delle mie parti,i Kaleidoscopic;avevo già recensito un loro demo autoprodotto quando scrivevo per 24 meridiani,ed oggi finalmente è giunta l’occasione di riprendere in mano la musica del gruppo:difatti “Onironauta” è l’esordio “ufficiale” vero e proprio (in uscita il 3 marzo) ,prodotto da Nicola Manzan (Bologna Violenta) per la sua etichetta Dischi Bervisti (ed inoltre c’è anche una novità,l’innesto del nuovo cantante Fabio Meucci che va ad unirsi agli “storici” Marco Ciardo,Francesco Magrini e Francesco Mazzi).
“Onironauta” vede una band decisamente in forma dare una propria visione del rock alternativo;e già questa definizione è riduttiva,perchè nel sound del quartetto convivono diverse anime,da quella più abrasiva e metal,a quella più introspettiva,il tutto senza tralasciare una certa melodia mai banale.
Quindi,un disco molto vario ed interessante,che rivela una certa maturità di fondo e molte sorprese.
Già l’inizio,”La cassa” (di cui esiste anche un riuscito e suggestivo videoclip,che potete gustarvi qua:
http://www.youtube.com/watch?v=g4DbtsQhsMM): mette insieme violente bordate sonore ed un cantato originale,tra stoner e post-grunge (e perfino qualche richiamo crossover):anche il testo è interessante,in cui attualità e introspezione si mescolano in un’ottica del tutto inedita (“e chi ha pensato di toccare il cielo con un dito/dopo la morte sarà violentemente smentito/e si avverte tra la povera gente/l’oppressione che finalmente s’inverte”),quasi un inno di rivolta-per così dire-in una chiave scura e enigmatica,per non dire “magmatica”.
“Come un soldato” è ancora più provocatoria (“mi fanno ridere i salutisti/infastiditi dal fumo/vorrei donarvi il mio sangue/guardaci dentro e leggi il futuro”) e dai risvolti onirici;l’introspezione si fa cattiveria pura,in un mix inconsueto che miscela psichedelia,corposità metal,riff post hardcore e perfino ricordi progressive (complice il violino,suonato dallo stesso Manzan).
“Pillole di saggezza” è una traccia ombrosa e notturna,che alterna dinamiche melodiche e quasi psichedeliche ad un ritornello spietato ed abrasivo;le liriche giocano volutamente con la sfera personale e offrono più livelli di lettura (“cadono dal cielo tutti i santi/le tue parole sono coltellate/ecco la rivincita che aspettavamo/esco con lei,prima s’ingoia poi la chiamo”).
“Kaleidoscopic” è un brano più melodico ed emozionale,anche se non si fa mai a meno della robustezza sonora,sia della chitarra che dell’implacabile sezione ritmica;e difatti la seconda parte è più lancinante e corrosiva,senza dimenticare lo spettro compositivo,sempre di assoluto livello.
Le liriche aggiungono una certa poesia all’insieme (“notti silenziose/nessuno chiama/sopravvissuti ai graffi di un disco/che non si arrendeva”)e suggeriscono una certa voglia di vivere come si vuole,in cui l’amarezza si tramuta in libertà mai doma.
Trapela anche una certa ironia-mai veramente nascosta dalla band,anche se “trattata” in maniera assolutamente non convenzionale-sulla rabbiosa “Sottopelle”,una canzone dall’atmosfera tagliente come la lama di un rasoio;eppure la forma canzone non viene mai meno,anche quando i riff lacerano l’aria….una frase come”credo al femminismo che si afferma/ma in certe decisioni era meglio se stavi ferma”è da antologia,mentre il sottofondo è potente ed ossessivo (qui la band sembra avere digerito bene la lezione dei gruppi più estremi della scena newyorkese e di Seattle).
“Strategia del terrore” è esattamente ciò che il titolo promette:un brano che mescola segmenti inquietanti ad improvvise parti rocciose e spietate,che ti travolgono quando meno te lo aspetti;l’attualità viene nuovamente setacciata,masticata e sputata con rime al vetriolo (“il prezzo al netto della libertà/scorre nel sangue/che esce dalle bocche dei bancomat/la ricerca del puro(…)adesso è in mano ai maggiordomi/ma torneranno all’alchimia pure loro”),ed il sound traduce in musica le parole:un macigno dai risvolti estremi,in cui tornano influenze metal,riviste su un’ottica decisamente personale,tra post grunge e distorsioni fragorose che evocano lo stoner più cadenzato e catartico (quasi doom,se non fosse per il ritmo che è sempre abbastanza sostenuto).
“La verità è là fuori” è un brano in cui le influenze psichedeliche si fanno più evidenti (c’è anche un certo flavour orientale nei riff del brano),naturalmente fuse con le cadenze potenti che sono il trademark della band e perfino con momenti più rarefatti e melodici:le liriche non fanno sconti a nessuno (“viviamo dentro a cupole/spargono sostanze che sembrano nuvole/teste di cazzo nella tua città è un francesismo/hanno spesso a che fare con l’esoterismo/il vescovo può ammettere tutti gli abusi/prima di parlarti del chakra e dei loro usi”) con un certo pessimismo di fondo (“drogati e annientati/che a questo mondo non si può fiatare/e senti i brividi/fosse vero quello che hai provato/quei sogni vividi/che non hai mai saputo”).
“Il tempo non esiste” è ossessiva e talvolta feroce,tra umbratili e lavici riff sabbathiani ed un finale che evoca distorsioni soniche ;è un invito a vivere il presente senza rimpianti (“il futuro non esiste/il passato non esiste/vivo solo nel presente”),e ad esorcizzare le proprie negatività interiori (“e tutto il male che ti ho fatto/renderà entrambi liberi”) per riassaporare-appunto-la propria libertà.
“Sensitivo” è la traccia darkeggiante che chiude il disco,un dialogo interiore estremamente catartico che affronta “la bestia per le corna” (“scrivo perchè non ho di meglio da fare/o forse perchè non so fare di meglio/scrivo quando non posso cantare/o più semplicemente quando non ho molto da dire”) e allo stesso tempo un nuovo invito-sentimento caro anche ad altri momenti del disco- a vivere la propria vita senza compromessi e come meglio si crede:una canzone davvero sincera,in cui vengono messe a nudo le pieghe dell’anima,a volte esorcizzate nuovamente con un taglio perfino doloroso.
Musicalmente è un brano più elaborato,che sposa le robuste cadenze metal ad una struttura post rock,o addirittura”progressiva”:e ritorna,non a caso,il violino di Nicola Manzan che dona profondità e maestosità al pezzo stesso,oltre ad un certo sentore “malinconico”,già esplicito nel testo.
Insomma,non c’è che dire,proprio un esordio coi fiocchi ed una band in piena maturazione artistica:non ci sono punti morti all’interno di questo album,ma anzi tanta spietata lucidità che conferma la validità di quest’opera prima,una tra le più riuscite tra gli esordi in terra aretina (e se ve lo dico io,dovete credermi).
Due cose balzano all’ascolto:la volontà di essere complessi,ma diretti al tempo stesso,senza stancare mai;e la sincerità incompromissoria,altro dato fondamentale del gruppo,che mi pare venga fuori in maniera evidente.
La bravura tecnica della band fa il resto,oltre alla riuscita produzione di Manzan (che,come abbiamo visto,non partecipa solo come produttore,ma anche come special guest non solo al violino,ma anche ai synth e alle chitarre); il futuro,quindi,è decisamente “KALEIDOSCOPICO”….ne dubitavate forse?