Sarà davvero morta la musica italiana?
Chissà quante volte ci saremmo fatti sta domanda, o almeno chi, come me, è sempre più dubbioso e preoccupato, col passare degli anni e con gli eredi, se non figli illegittimi (o illegali?), in questione del destino musicale di questo paese. In un epoca fatta di cialtroni, pseudomodelli per set fotografici, figli di papà che giocano a fare i rapper del ghetto, per lo più pessime copie di quello americano più commerciale, in tutto questo imbarazzante giro di retorica, volgarità e pessimi messaggi ai giovani, c’è sempre qualcosa di buono che continua a emergere, sebbene con non poche difficoltà, come una zattera di salvataggio in continuo ondeggiamento sopra il letame per tutti coloro che ancora, come me (umile addetto al getto della pattumiera) continuano con ottimismo a nutrire speranze nella buona novella, tanto per citare il mai dimenticato Fabrizio De Andrè.
Ed è proprio da Faber che è nata l’ispirazione di Federico Salvatore per il suo ultimo album. Salvatore è uno di quegli artisti e cantautori che non si sentono tutti i giorni, ma che quando riescono anche solo per un attimo ad avere voce ne hanno da dire per tutti. Distinguersi e imporsi con le proprie idee è ormai una categoria che appartiene a pochissimi, per quanto ironicamente tutti si gongolano con questo agevole slogan dell’alternativo, ma sapere andare avanti con le proprie forze e insieme ai propri, veri e fedelissimi fans, lontano dal business e da qualsiasi compromesso, è un insegnamento che al buon Federico è sempre risultato importante nella sua carriera, e di cui ha sempre avuto a che fare, dai tempi del successone “Azz” al “Maurizio Costanzo Show”, passando a temi delicati come l’omosessualità (altro che quel fallito di Povia), trattata in maniera struggente e impeccabile a Sanscemo, e poi le rasoiate politiche di “Se io fossi San Gennaro”, che gli costarono il definitivo allontanamento dalla tv e dal circuito mainstream. Ma Federico continuò, sempre meglio, sempre più incontenibile nel suo feroce sarcasmo e riflessioni apocalittiche, diventando sempre più la voce di una Napoli di qualità e promotrice della propria tradizione, rivolta al futuro. E dopo due straordinari album come “Dov’è l’individuo?” e “Fare il napoletano… stanca!”, torna il mese scorso con questo grandioso “Pulcin’hell”, e già dal titolo si riescono a cogliere le prime pennellate di genialità. Lo stesso autore partenopeo, come accennato prima, ha ammesso di essersi innanzitutto ispirato al talento compositivo di De Andrè, che gli apparve in sogno venendo a fargli visita a Napoli e cantando ancora una volta di questo paese in declino.
E così, come un Virgilio della Divina Commedia, l’ispirazione a Faber conduce l’estro creativo di Federico Salvatore giù negli inferni della società, tra cinismo visionario (“Napocalisse” e “o’ Palazzo”), beffe (“Vico strafuttenza” e “Guallera”) e costanti disillusioni, con “Cammenanno” e “L’Inno di Papele” tra le canzoni più memorabili dell’album, riassumendo in maniera sarcastica e coscientemente divertita la decadenza non solo di una città senza tempo come Napoli, ma dell’Italia stessa, tra continue discriminazioni, xenofobia, ingiustizie e violenze sociali. Un lavoro, con eccezion fatta dell’unica (e goliardica) “Lato B”, completamente composto in napoletano, a sottolineare maggiormente non solo il senso patriottico del cantautore, ma la sua stessa firma d’autore, partendo dalla lingua e finendo con le innumerevoli tematiche e contraddizioni di un paese che continua a piangere la sua totale decadenza. Un’esaltazione patriottica accentuata maggiomente dagli arrangiamenti classici presenti in tutto l’album (da Mozart e Bach a Rossini e Mameli) a dare maggior vigore a un album che dei suoi soli testi vive d’armonia artistica. Ma Federico Salvatore vuole andare ancora oltre il suo stesso umorismo, perchè la speranza, l’ottimismo e la continua forza di lottare permangono nel suo credo compositivo, e dalle fiamme dell’inferno sociale, in una continua teatralità tra Eduardo e il Signor G., aiutano, spronano l’ascoltatore a risalire la china, per riveder un giorno le stelle, affinchè il futuro possa tornare a essere un domani, chissà, un po’ più sorridente per tutti.
Voto: 9