DIRAQ”Fake machine(autoprodotto)”
Raramente mi è capitato di ascoltare degli esordi così sicuri di sé e pieni di potenza.
Ecco,il primo lavoro a lunga durata dei Diraq è tutto questo e anche di più:è uno dei quei lavori che ti conquista al primo ascolto,e ti trascina via con la sua aggressività sonora,allo stesso tempo melodica.
I Diraq sono una band di Gualdo Tadino formata da 5 ragazzi,Matteo(voce),Edoardo(chitarra),Alessandro(basso), Federico(batteria)e Lorenzo che si occupa del mixer e quindi dei”suoni”che adornano la particolare musica della band(è un po’ come il ruolo che aveva Frank Delgado nei Deftones,anche se qui non si tratta di un dj,ma  di un fonico-
-e di un”ricercatore”di suoni particolari,che sono assolutamente parte integrante del gruppo).
Sì,perchè i Diriq sono tra le più interessanti novità in campo Hard/stoner rock& roll italiano:ma non sono dei semplici ripropositori di questo favoloso sound americano che amo molto,perchè la loro personalità emerge sempre in maniera netta e chiara in questo”Fake machine” e le loro influenze sono assai variegate.
“I’m a ghost”apre il disco ed è un brano che mescola influenze Kyussiane e Zeppeliniane con un flavour post-grunge:un brano potentissimo e cadenzato,in cui però la melodia non viene mai seppellita dalle robuste chitarre e dalla rocciosa sezione ritmica,anzi si crea un interessantissimo connubio tra la bella voce di Matteo e la poderosa macchina da guerra degli altri Diraq,con i propri,precisi strumenti.
“Bad luck over Odd Dunn”è una sorta di rock&roll moderno,quasi una destrutturazione dello stesso stoner rock,però adornata da nervose chitarre dal sapore alternative e da percussioni”elettroniche”qua e là.
Un mood che farebbe gola ai Queens of the stone age più melodici,ma anche ai Depeche Mode più rock,e che comunque risulta molto personale.
Davvero un tassello ben riuscito,sempre in bilico tra melodia,potenza e grinta,qui più”dosata”,ma sempre sul punto di esplodere(come dimostra il finale “jammato”in stile seventies).
“4 Frank”prosegue sui sentieri R&R un robusto schiacciasassi,tra riff al fulmicotone e ritornelli catchy:sempre in bilico tra passato e presente come attitudine,e-perchè no?-allo stesso tempo proiettati verso il futuro.
Cambio di atmosfera in “sybil”:chitarre vagamente darkeggianti e ariose,basso inquietante nell’introduzione che lasciano subito spazio ad un “hard blues”dei nostri giorni.
Nel finale ci si ricollega all’atmosfera scura dell’inizio,ed il brano prende una piega più”notturna”e assolutamente imprevedibile,velatamente acida e psichedelica.
Un riff che porta via è il cardine di”Vicolo squallore”,unico brano in italiano(anche se in realtà formato da un’unica frase,quella del titolo),in cui le influenze hard settantiane e stoner vengono”reinventate”tra campionamenti di cronaca nera e improvvise sterzate”sabbathiane”,un muro di suono che disintegra tutto quello che passa davanti ad esso.
“See life through a kaleidoscope”è una sorta di ballata chiaroscura,e rappresenta un’ulteriore faccia insolita dei Diraq:tra atmosfere ombrose e una pacatezza ariosa,quasi rilassata nel finale,che dà un improvviso tocco di “luce”al brano.
Gran lavoro di chitarre,e anche i”suoni”aggiunti arricchiscono il quadro generale in maniera insolita.
“Leaves on canvas”calca ancora più la mano su sentieri psichedelici e “desertici”,tra acidità californiana ed ottimi,pacati momenti acustici,in cui fa capolino perfino un moog:un elevato attimo di poesia sonora,che sfocia in un finale dai risvolti noise negli ultimi secondi.
“Exegi monumentum aere perennius ”scava a fondo nell’introspezione,però lo fa in maniera più aggressiva,e ritornano anche le atmosfere stoner,con delle chitarre che pompano in maniera decisa,sulle melodie della voce.
“My mentor in purgatory”è una sorta di rivistazione del dark sound,in maniera”capovolta”e ricomposta a piacimento dai Diraq,tra un’inquietudine che fa l’altalena con improvvisi “vortici”di suono;tra imprevedibili spirali chitarristiche e impennate tortuose,è uno dei brani in cui la forte personalità del gruppo si fa dirompente e al massimo picco di creatività.
Finale affidato ad un’atmosfera satura e inacidita,e a tratti perfino”siderale”.
“Mr.Freight train”è il gran finale,dedito ad una rivisitazione originale del rock&roll e del rock-blues,tra ironia e mood da jamsession,con gli ultimi secondi affidato ai ragli di un asino(!).
Davvero un gran bell’esordio questo per i Diraq che sono riusciti nel non facile compito di portare le atmosfere tipicamente stoner ad un tale livello di originalità e di imprevedibilità che siamo sicuri faranno la gioia di tutti gli estimatori del genere e anche a chi piace ascoltare del rock “classico”ma allo stesso tempo dall’andatura totalmente nuova e non “allineata”.
Difatti tutte le classificazioni sfuggono e si ricompattano in una sorta di rock caleidoscopico dai mille colori, in cui anche il più piccolo tassello è al posto giusto e meticolosamente “sezionato”.
Un gruppo e un disco da non perdere…..da ascoltare assolutamente e da tenere d’occhio.
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