Il 5 aprile di 28 anni fa, ci lasciava Kurt Cobain, portando via con sé i sogni di una generazione rabbiosa, la
generazione x, quella del muro di Berlino, del grunge e delle camicie a quadri. Lascia in eredità l’inno di
questa generazione, Smells like teen spirit, che a dire il vero, potrebbe rappresentare l’inno di qualsiasi
adolescenza.
Solo un anno fa, Nevermind celebrava il suo trentesimo anniversario e in occasione di quest’ultimo, nello
scorso novembre è stata pubblicata una riedizione in cui sono state raccolte in totale 70 tracce audio, tra
brani inediti e registrazioni rimasterizzate.
Il dramma di Kurt
Tutto inizia ad Aberdeen, piccola località dello Stato di Washington. Kurt, figlio di un meccanico, Donald e di
una barista, Wendy Elizabeth, inizia a mostrare la sua propensione per la musica in tenerissima età: a due
anni, già si cimenta nell’esibirsi in improvvisazioni canore, come mostrano le registrazioni presenti nel
documentario “Kurt e Courtney”. La sua infanzia scorre tra fumetti, disegni, musica, la sua spiccata
creatività è evidente già da allora. Ma compiuti gli otto anni, il divorzio dei suoi genitori, sconvolge la sua
infanzia e questo trauma lo accompagna per tutta la sua tormentata esistenza. Sembra essere un bambino
troppo sensibile, e in seguito un adolescente cinico e annoiato, ma il suo cinismo in realtà è una
caratteristica costruita da lui stesso per sopravvivenza, come una custodia solida, per protegge un’anima
fragile. Purtroppo, o per fortuna, i demoni del passato, presto, diverranno muse ispiratrici per la sua intera
produzione musicale.
L’antieroe del grunge
Dal fondamentale incontro con Buzz Osborne, cantante dei Melvins, Kurt viene introdotto nella scena
underground di Seattle. Dopo i primi passi, con i Fecal Matter e i The stiff woodies, dall’incontro con Krist
Novoselic, ecco che prende vita qualcosa di nuovo, sperimentale, non definito: i Nirvana. “Libertà dal
dolore e dalla sofferenza del mondo esterno”, era questo il significato del nome che Kurt aveva scelto per la
sua creazione, ispirato dalla tradizione buddhista. In quel nome era racchiuso il messaggio che emerge
prepotentemente in ogni testo dei Nirvana, e nella voce profonda e struggente di Cobain, che aveva trovato
la sua catarsi nella musica. Nevermind rappresenta la vera e propria svolta per il gruppo, che dopo aver
debuttato con Bleach due anni prima, cambia registro, oltre a cambiare batterista (Dave Grohl sostituisce
Chad Channing) e casa discografica. La Geffen records ripulisce il suono ruvido iniziale (Bleach era stato
registrato in 30 ore ed aveva richiesto dei costi di produzione di appena 600 dollari), rende gli accordi meno
dissonanti, le distorsioni meno aggressive. Kurt però, non era mai stato particolarmente entusiasta di questi
aggiustamenti, prediligendo la naturalezza del suono primordiale, da bravo fan del punk di Sex pistols e
Black flag. Certo non si aspettava di rivoluzionare il panorama musicale né di portare al successo un genere
che fino a quel momento era rimasto seppellito nei sotterranei della scena underground, il grunge, di cui,
da quel momento in poi sarebbe stato considerato il padre. Ma si trattava di una paternità indesiderata, sia
perché effettivamente il genere era già stato sperimentato da band come Melvins e Mudhoney, sia perché
Kurt Cobain non si impersonava affatto nello stereotipo della rockstar.
Nevermind, la rivincita degli outsiders
Il peso del successo, diviene un ulteriore tasto dolente nell’esistenza del giovane Cobain, che influenza
ulteriormente la sua produzione musicale. Ma principalmente, Nevermind rispecchia la confusione, il
disorientamento, l’apatia, la rabbia del Kurt Cobain adolescente, e si adatta a divenire colonna sonora della
vita di qualsiasi teenager che sente di non trovare il suo posto nel mondo. In Stay away questo sentimento
di alienazione misto al disprezzo per una società omologata e schiava delle mode viene espresso tramite
l’atmosfera ridondante dei riff e del testo palesemente polemico:
“Monkey see, monkey do (I don’t know why)
Better be dead than cool (I don’t know why)”
Lo stesso spirito critico si avverte in In bloom, che esprime disappunto verso quei fans che, attratti da
qualunque tendenza del momento, imparano a memoria le canzoni dei Nirvana senza davvero capirne il
significato più profondo:
“He’s the one who likes all our pretty songs
and he likes to sing along
and He likes to shoot his gun
But he don’t knows what it means”
E quel significato oscuro, per nulla difficile da percepire, poiché senza bisogno di parole ricercate, sembra
ululare nell’anima di chi ascolta, è proprio ciò che rende Nevermind un’opera d’arte autentica, una verità
urlata che spezza il silenzio di un panorama rock troppo conformista.
A cura di Francesca Joe