Immagina: è estate, più o meno l’ ora in cui il sole inizia a tramontare, sei sul balcone, in veranda con un amico, oppure seduto in giardino, dove vuoi; il cielo è un’ esplosione di colori, i più disparati, ma insieme formano comunque un quadro unico al mondo, l’ aria è calda e avvolgente, ma allo stesso tempo leggera e profumata. Che musica scegli come sottofondo per descrivere a pieno il tuo stato d’ animo in questa situazione di pace assoluta?

Il quarto album in studio della cantautrice e produttrice americana, Caroline Polacheck sembra essere al momento la scelta più azzeccata. Una delle prove di versatilità più riuscite dopo “ I Can Hear The Heart Beating At One” dei Yo La Tengo. Un album poliedrico, ma non per questo pretenzioso o troppo elaborato. Ogni brano vive di vita propria, non si sa mai cosa aspettarsi da quello successivo, diversi tra loro, sì, ma ognuno caratterizzato da un elemento (che sia un beat, un sample, una chitarra acustica) che lo rende memorabile e assolutamente riconoscibile. Un viaggio che parte dal beat pop incalzante di “Welcome To My Island” , per poi passare all’ atmosfera latina di “Sunset”, per arrivare alla delicatezza  della quasi catartica “Butterfly Net”. Tutto questo potrebbe sembrare caotico se lo si sente raccontare, tuttavia, sin dal primo ascolto, ci si rende conto che, proprio come i colori di quel cielo estivo, le incredibilmente variegate sonorità delle diverse tracce si fondono in una Tracklist che arriva alle orecchie come qualcosa di perfettamente coerente, dove tutto è al suo posto, delle montagne russe che portano su e giù le emozioni degli ascoltatori, ma con la velocità ammortizzata di un’ ascensore, il che rende i passaggi molto meno traumatici. Ciò che vale per la transizione tra una canzone e l’ altra, vale anche per ciò che accade all’ interno dei singoli brani. Ognuno di essi è uno scrigno che contiene una vastissima gamma di suoni, che comunicano tra di loro, si parlano, si corrono in contro e poi si separano per unirsi ad altri; come accade con la parte di chitarra acustica in “ Fly To You” alcuni dettagli sonori si propongono in un determinato punto di una canzone , per poi riapparire in un altro più distante esattamente come erano apparsi prima, ma vestiti di una nuova veste, cucitagli addosso dai nuovi elementi strumentali che li contornano, creando un effetto e un impatto totalmente nuovi. Ad appoggiarsi , o meglio, ad unirsi a braccetto a questa danza, è la voce dannatamente completa di Caroline. L’ artista dimostra di essere praticamente in ogni registro: da quello basso a quello alto, dal parlato al whispered e, ancora, al falsetto. Tutte queste sfumature si alternano e si susseguono con una naturalezza e una fluidità tali che accentuano ulteriormente l’ imprevedibilità delle canzoni. Inoltre, l’ orecchio non percepisce ciò come un mero eccesso di pretenziosi virtuosismi, e tutto ciò è merito dell’ innata leggerezza della voce di Caroline e di come riesca ad inserire questi elementi nei punti esatti affinché comunichino e si leghino ai ganci offerti dal cocktail strumentale alla base. 

Un album che, in qualunque occasione, ci può riportare a quella “carica emozionale da Golden hour” e che non può che infondere due tipi di curiosità: il primo riguardo a come si evolverà da qui il percorso dell’ artista americana , il secondo su quanto bene il disco suonerà effettivamente nei nostri tramonti d’ agosto. 

VOTO: 9.0 

TRACCE CONSIGLIATE:     

“Sunset”                                                 

“Pretty In Possible”

A cura di Alessandro Zanetti 

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