A cura di Elena Schipani

“Non è rock. Non è rap. Non è indie. Non è pop. E’ Refilla”. Questo è il loro modo per descriversi.
Un suono che non è incasellabile in nessun genere, un’entità a sé stante, ecco chi sono e cosa fanno
i Refilla.
Dopo il successo ottenuto grazie a Youtube e ad aperture importanti per artisti come Rumatera e
Piotta, il gruppo ha deciso di mettersi a lavorare su un progetto personale che ha visto la luce lo
scorso febbraio. Si tratta di “Due”, album frutto di una sinergia. Dai suoni, alla voce, all’aspetto
grafico, l’obiettivo era quello di creare un prodotto totalmente innovativo ed identificabile solo e
soltanto con il marchio Refilla.
“Due” si mostra subito come un’alternativa ai solito dischi, a partire dal packaging. Le tredici tracce
sono infatti contenute in una chiavetta USB, confezionata a mo’ di blister per pasticche, e corredata
di bugiardino nel quale sono scritti i testi delle canzoni. Un farmaco in piena regola, “che può creare
dipendenza”. Il titolo “Due” fa infatti riferimento all’ambivalenza di ogni medicina: se assunta in
maniera intelligente fa bene al corpo, un consumo esagerato provoca invece l’effetto contrario.
L’ambivalenza è infatti il tema chiave di tutto il lavoro.
“Quando cresci diventi più saggio ma anche più confuso. (…) Le verità sono meno certe e i cattivi
sono meno cattivi. (…)” Così è come i Refilla spiegano il loro album e tutto quello che c’è dentro.
Questa affermazione trova risposta nella prima delle tredici tracce, “Su il sipario”, composta da una
summa di citazioni cinematografiche di personaggi folli che però, nella loro follia, hanno forse
trovato la risposta ad una società malata.
“Era meglio prima”. Ma prima quando? Quando il giudizio degli altri non era importante, quando le
cose si facevano perché si sentivano e non perché si deve aderire allo standard. In qualunque modo
si faccia non va mai bene e ognuno vuole dare la propria opinione. Ecco, forse bisognerebbe tornare
a quel “prima” proprio perché, solo così, si potrà tornare a vivere veramente.
“Revolver” è una prosecuzione ideale del brano precedente. In gioventù, i sogni erano tangibili e
realizzabili ma con la maturità ci si scontra inevitabilmente con la realtà e quindi il “nodo della
cravatta” diventa la metafora di un cappio che stringe fino a soffocare. Ogni tanto, però, ci si ferma
ad analizzare il presente. Si spara di nuovo ma si sbaglia, volontariamente, il bersaglio. Il nodo al
collo si allenta e i sogni tornano a galla per essere svegliati dal torpore e salvati.
Il tema dell’ambivalenza entra in maniera prepotente nelle parole e nella musica di “Inadeguato”.
Ogni persona porta dentro di sé, come minimo, due lati e qui ci si ferma ad analizzare la parte vera.
C’è una ricerca, costante, di un pezzo mancante che fa sentire non a posto con se stessi e con la
società, però è proprio quello che, in un certo senso, dà la spinta per andare avanti a testa alta.
“Mai stato così bene” è il manifesto dell’ipocrisia. La società ci impone di “stare bene” a tutti i
costi, ci si deve sempre mostrare al 100%. Ma forse, per stare davvero bene, è necessario togliersi la
maschera ammettendo il proprio disgusto nei confronti dell’ipocrisia galoppante che imperversa
tutto intorno.

2

“La parte peggiore di me”. Torna nuovamente il tema del doppio. Ognuno porta dentro di sé due
parti. La ragione direbbe di seguire la parte buona, quella razionale ma è la “parte peggiore” quella
che ti conosce meglio. Ogni segreto, ogni anfratto dell’anima è in mano sua e quindi resta che
affidarsi a lei che, pian piano, si rivela essere il meglio di te.
Un’altra aspra critica alla società viene fatta in “Nella media”. Oggi, soprattutto attraverso i social,
tutti si credono qualcuno di importante. Come sosteneva Umberto Eco, “Internet ha dato diritto di
parola agli imbecilli”. Attraverso uno stato o un post ognuno condivide la propria opinione, non
richiesta, e nella maggior parte dei casi l’unico risultato che si ottiene è semplicemente il rendersi
ridicoli agli occhi del mondo.
Il proverbio recita: meglio un giorno da leone che cento da pecora. Questo vuole essere il
messaggio di “Vita da spalla”. A costo di sbagliare, prendendo anche decisioni impopolari, è
necessario spiccare, mostrare fieramente la propria personalità ed il proprio essere piuttosto che
rimanere in disparte, oscurato da un’altra persona.
“Giocati dal caso”. Nonostante la convinzione di avere ben salde tra le mani le redini della vita, in
realtà è tutto gestito dal Caso. Basta un niente per stravolgere tutto e ribaltare la situazione. L’unica
cosa, saggia, da fare è affidarsi senza cercare di prevedere le conseguenze.
“Una vita in viaggio” è un inno alla vita. Siamo costantemente in viaggio, quindi l’importante è
godersi ogni momento, ogni tappa. La destinazione è importante ma relativa. Se non si pone
l’attenzione sul presente, su quello che si vive, si rischia di arrivare sì alla fine ma arrivarci vuoti ed
ignoranti.
“Partire a settembre” si sviluppa su due livelli. C’è il settembre reale che segna la fine dell’estate
con tutto il suo corollario di elementi come il caldo che lascia il posto ad un clima più tiepido, il
divertimento continuo che va via via scemando e la fine degli amori estivi; poi c’è un settembre
metaforico che segna la fine di un periodo ma questo suo termine è associato ad un nuovo inizio e
porta quindi con sé aspettative, speranze e progetti.
“Failure Blvd”. Il progetto è quello di vivere al massimo delle proprie possibilità. Il non riuscirci
implica una camminata sul viale del fallimento. Forse, però, è proprio da qui che inizia l’ascesa: il
punto più basso diventa la rampa di lancio per la risalita.
L’album si chiude in maniera circolare. Dopo aver alzato il sipario ed aver dato vita allo spettacolo,
alla fine le tende rosse si chiudono (“Giù il sipario”) con un’ennesima citazione che va a scardinare
il concetto di certezza.

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