Introduzione
Il mio lavoro di ricerca non vuole essere una semplice cronistoria della carriera di quest’artista controversa, innovativa e rivoluzionaria, bensì un discorso polivalente che tende a sottolineare il suo percorso formativo.
Quando si dice “di Bjork”, non ci si riferisce a qualcosa di singolare, ma a una mistura esplosiva di molteplicità e ambiguità: cantante, musicista, compositrice, ballerina, creatrice di moda, artista, madre, attrice, fautrice dei gusti del pubblico, stranezza, celebrità, mistero, qualcosa associabile all’esser “vichingo”, estremamente nordico, simbolo di sesso, ragazza, donna, guerriera, amante, pagana, mistica, innovatrice tecnologica, femminista, solo per citare alcune caratteristiche.
La sua arte è stata descritta come pop d’avanguardia, dovuto alla commistione elettronica e a quella biologica, dal progresso e al regresso.
Questo lavoro avrà tratti di mera informazione per rendere più chiaro e fruibile questo discorso, evidenziando il contributo che la musica mondiale e l’Islanda ha ricevuto, senza trascurare aspetti di questo contributo che risultano essere meno efficaci.
Tenderò ad analizzare il suo rapporto con le altre arti, in modo tale da sottolineare tratti salienti della sua personalità, determinante per tutte quelle scelte di tipo filosofico-musicale: il taglio di tutto il nostro discorso è senza dubbio di questo genere.
Ci saranno riferimenti sia ai testi, ai loro contenuti con riferimenti letterari e filosofici, che alle scelte riguardo al “suono”, all’immagine.
Dei piccoli cenni di vita privata, se non fondamentali, saranno comunque utili per tracciare ulteriormente la sua complessa personalità, filtrata e spesso deformata da certe attenzioni mediatiche non sempre genuine ed utili per capire a fondo il suo contributo artistico. Accennerò agli emblematici fatti di cronaca per evidenziare l’impatto sociale esercitato in un certo periodo, facendo combaciare la figura di spigolosa, ardua, estrema, astrusa , sghemba e sperimentatrice a quella di popstar di fama mondiale.
Perché Bjork si pone quindi tra sperimentazione e pop, o più precisamente tra la sfera dell’“underground” e del “mainstream”? Questo è un nodo centrale perché è la sintesi di due contrasti che raggiungeranno un apice massimo ad un certo punto della sua carriera, uno dei tanti contrasti che puntualmente è il punto di forza e lo spirito vitale di questa indiscussa icona della musica internazionale.
Radici musicali in Islanda, influenze e riflessioni storico – culturali
La particolarità di un discorso sulle radici musicali dell’Islanda e su questa terra, deriva proprio dal fatto che, in verità, relativamente poco abbiamo da dire.
Nessun fenomeno musicale è rilevante prima dell’avvento di Bjork e in particolare degli Sugarcubes, gruppo appartenente al suo periodo pre – solista, dove riveste il ruolo di cantante.
Per periodo “solista”, si intende tutto il periodo successivo all’uscita dell’album “Debut” del luglio 1993.Gli Sugarcubes sono la prima manifestazione in musica proveniente dall’Islanda che andranno ad occupare la scena musicale mondiale di quel periodo.
Prima dell’avvento di Bjork, non possiamo parlare di una vera e propria musica tradizionale islandese assai radicata, se non sporadiche canzoni da cowboy o lacrimevoli cantilene.
Per quanto riguarda la musica tradizionale islandese, infatti, esistono centinaia di canzonette, che la maggior parte degli islandesi impara ancora prima dell’età scolare e che continua a gradire anche in età avanzata. Queste canzoni vengono riproposte ogni volta che si riuniscono più generazioni: feste di famiglia, gite ecc. Le due preferite sono “A Sprengisandur”, una canzone di cow-boy che racconta di mandriani e fuorilegge nel deserto dell’entroterra del paese e una melodia strappalacrime basata su una leggenda che narra della moglie del fuorilegge Fjalla Eyvindar, la quale gettò il suo bambino affamato in una cascata.
Diverse collezioni di musica tradizionale islandese sono disponibili in cassetta o su cd nei negozi di musica di Reykjavik e in negozi di souvenir sparsi nel Paese.
Bisogna considerare anche l’aspetto geografico della nazione, ovvero: un’isola-stato dell’Europa settentrionale, nell’Oceano Atlantico settentrionale, situata precisamente tra la Groenlandia e la Gran Bretagna. Si trova molto più vicina al continente americano che non all’Europa, ma per la natura geografica del suolo e la sua storia appartiene all’Europa; infatti essa è unita, attraverso uno zoccolo continentale, alla Scozia, con la quale in tempi remoti formò un’unica terra.
Sembrerebbe irrilevante, ma anche la posizione geografica ha una certa importanza per quanto riguarda le influenze musicali che può subire una nazione.
Molte correnti musicali arrivavano in ritardo rispetto al resto dell’Europa, senza contare che i mezzi tecnologici non erano così sviluppati come nell’attuale era digitale, elemento che contribuiva a un non indifferente isolamento culturale, nonostante l’Islanda fosse comunque una delle nazioni tecnologicamente più avanzate all’epoca.
È opinione diffusa che Bjork abbia introdotto dal nulla una nuova forma musicale, dai connotati così contraddistinti da essere associata completamente all’Islanda, come unica e assolutistica corrente rappresentativa, come se non avesse mai subito nessuna influenza. Quest’ opinione è tanto vera, quanto mendace, in realtà, abbiamo comunque delle radici musicali da considerare che hanno non poco influenzato l’artista.
Facciamo un salto indietro nella biografia di Bjork e possiamo inquadrarla in un contesto che vede l’artista immersa nella vita di una comune, dove la madre è una “figlia dei fiori” dai tratti piuttosto peculiari, elemento che analizzeremo con più attenzione nel capitolo relativo ai cenni di vita privata.
Ricordiamo il fatto che questo movimento è arrivato in Islanda con un certo ritardo rispetto al resto del mondo. Bisogna anche sottolineare l’aspetto nazionalista di questa terra, diffidente nei confronti di mescolanze culturali in generale, tant’è che durante tutti gli anni Settanta, l’Islanda condusse una politica estera piuttosto isolazionista, non solo nei riguardi della Nato ma anche della cooperazione nordica.
Anche dal punto di vista religioso, possiamo notare queste tendenze, appunto, isolazioniste.
Il cristianesimo fu introdotto, soltanto, allo spirare del X secolo, non senza qualche resistenza da parte degli abitanti. Nella seconda metà del XVI secolo la Corona danese impose autoritariamente l’adesione alla professione protestante; attualmente l’87% della gente appartiene alla Chiesa Evangelica Luterana d’Islanda, mentre i cattolici ammontano grossomodo al 2%.
“Subito dopo aver individuato l’Islanda su un mappamondo, il primo impulso è quello di pensare che sia crudelmente staccata dal resto della civiltà. Ma dopo aver passato un bel po’ di tempo in questo paese, la prima cosa che si pensa è che tutto sommato, probabilmente l’Islanda preferisce che sia così. Un po’ di storia: si sa che l’Islanda è stata scoperta dai vichinghi alla fine del IX secolo e che subito dopo sono stati i norvegesi a stabilirsi in questa terra, ma non tutti sanno che l’Islanda è uno dei paesi colonizzati più di recente. […] Del resto l’Islanda è giovane anche geologicamente. La datazione al carbonio ha stabilito che le prime formazioni rocciose del suo aspro terreno hanno la relativamente tenera età di 14 milioni di anni, il che ne fa tutto sommato una terra ancora bambina.”[1]
Chiusa questa parentesi sulla situazione culturale, naturalistica e storica dell’Islanda dei primi anni Settanta, consideriamo che in quella comune dove pasceva il talento di Bjork, circolava un certo tipo di musica, in linea di massima, nonostante il relativo isolamento, quella ascoltata nel resto del mondo in quel periodo, come Jimi Hendrix, Eric Clapton e i Deep Purple ad esempio. Se tale musica circolava in dose massiccia (anche per via del patrigno Arnason che suonava la chitarra in un gruppo locale, i Pops), Bjork aveva modo di essere inoltre influenzata da altra musica proveniente da altri ambienti.
A scuola era possibile ascoltare musica classica e sperimentale, dal padre jazz e folk dai nonni. Sin dall’età di sei anni, viene a contatto con le opere del compositore tedesco contemporaneo Karlheinz Stockhausen, dell’avanguardista John Cage e una vera e propria schiera di musicisti sperimentali.
Se alla Comune di hippie circolava un certo tipo di musica a cui abbiamo accennato, Bjork tentava sempre di introdurre altri generi musicali, controcorrenti allo spirito del gruppo. Il primo disco che sottopose all’ascolto della comunità, fu “Kimono My House” degli Sparks, ovvero un duo pop americano.
Già dallo scontro musicale delle influenze subite e ricercate ( Sparks / Deep Purple ), si può capire vagamente quale fosse lo spirito di contrasto – rottura che accompagna l’ideologia creativa dell’artista.
Cenni biografici e formazione pre-solista
Björk Gudmunsdottir ( letteralmente “la figlia di Gudmund”) è nata il 21 novembre 1965 a Reykjavik, capitale dell’Islanda. Björk significa betulla, un albero che era sacro per i Vichinghi. Björk è anche il nome di un simbolo runico che significa rinascita o risurrezione. L’Islanda è l’unico paese europeo dove in luogo del cognome è in uso il patronimico. Quindi, ogni persona assume come cognome il nome del padre (o occasionalmente della madre) seguito dal suffisso “són” se maschio, “dóttir” se femmina. I cognomi veri e propri sono molto rari. Il fatto che ci si riferisca alla cantante semplicemente con il suo nome proprio, tralasciando il patronimico, non è frutto di una scelta artistica, bensì rappresenta la prassi in Islanda dove spesso ci si riferisce ad una persona appellandola principalmente proprio solo col suo nome di battesimo. Ne è un esempio il modo in cui è compilato l’elenco del telefono in quel paese, ovvero in ordine alfabetico del nome di battesimo e non del patronimico. Il padre di Björk è Guðmundur Gunnarsson, un leader sindacale e personaggio politico già popolare in patria ben prima che la figlia acquistasse celebrità. La madre è Hildur Rúna Hauksdóttir, anch’essa attiva politicamente.
I genitori dell’artista, si sposarono poco più che adolescenti e si separarono nel bel mezzo della sua infanzia che tuttavia non fu il tipico frutto di una relazione, fu anzi un periodo sereno, alternato tra l’abitazione del padre e quella della madre, spesso descritta come una femminista, ribelle e hippie. L’appartamento in affitto di Hildur era condiviso da musicisti, poeti e artisti locali di ogni tipo, era l’ambiente formativo ideale per una piccola sognatrice testarda.
La formazione di Bjork avviene in età precoce: studia solfeggio, flauto e pianoforte alle scuole elementari, si interessa molto anche di musica classica, dal jazz al folk e in parte al rock. L’educazione musicale è molto varia e la sua curiosità sull’argomento è illimitata.
Sin da quando era neonata reagiva alle melodie, quando iniziò a muovere i primi passi le ripeteva spontaneamente, allo stesso modo portata per lo spettacolo e per l’immaginazione.
Speciali esibizioni all’età di tre anni erano pratica solita nei confronti di familiari e parenti; preparava una sorta di “palcoscenico”, prendendo un pezzo di stoffa che sistemava sul pavimento al centro della stanza.
La sua vera e propria carriera musicale inizia esattamente agli undici anni di età.
Precisamente, il suo debutto, avvenne precedentemente cantando il successo dance di Tina Charles dal titolo “I Love to Love” per una festa scolastica. Gli insegnanti furono praticamente costretti da quella convincente esibizione a portare il nastro alla radio nazionale islandese che la inserì immediatamente nella playlist. Una piccola etichetta, la Falkinn, contatta la madre per proporle un contratto di registrazione e ciò si realizza anche grazie all’aiuto del suo patrigno che suonava la chitarra. Registra il suo primo album nel 1977, dal titolo “Bjork” in appena quattordici giorni.
Bjork non era affatto intimidita dal fatto di trovarsi, all’età di undici anni, nel più importante studio di registrazione di tutta l’Islanda a suonare con musicisti professionisti.
Sarebbe eccessivo dire che il suo talento sia già identificabile in quelle melodie appena abbozzate, ma il disco è tutt’altro che scadente, merita attenzione e rispetto.
In questo album, interpretava diverse canzoni islandesi per bambini, ma anche celebri rifacimenti, ad esempio un pezzo dei Beatles dal titolo “Fool on the Hill” e cover di “Christopher Robin” di Melanie, di “Your kiss is sweet” di Stevie Wonder, “Alta mira” di Edgar Winter. Insomma, i produttori Karlsson e Gunnarsson costruirono un perfetto album pop anni ‘70, in cui si mescolavano ritmi tradizionali islandesi alle cover sopracitate. Non fu mai un grande successo tra i bambini, ma come album andò discretamente, ricevendo parecchia attenzione dalle radio e le vendite risultarono piuttosto accettabili. Björk appare sulla copertina come una principessa araba su uno sfondo rosso e contornata dagli oggetti mistici di questa regione.
L’album di Bjork fu rilasciato nel Natale dello stesso anno; tuttavia rimase sconosciuto da altre parti, nonostante il successo ottenuto in Islanda.
Il disco risulta ancora oggi un documento affascinante e, già dal primo brano, lascia intuire la presenza di un talento molto precoce.
Nonostante la giovane età Bjork si occupa intensamente del disco e riesce ad imprimere la sua personalità nei brani, piu’ di quanto abbiano fatto i suoi produttori. L’album è disco di platino in Islanda nel 1978, ciò le permetterebbe di registrare un secondo album ma Bjork decide di fermarsi.
Quando, verso la fine degli anni ’70 e i primi ‘ 80, arriva in Islanda la musica Punk e la New wave, solo diversi anni dopo dell’effettivo inizio; una quattordicenne Bjork ne rimane completamente rapita, sono questi gli anni in cui canta nelle prime band.
L’avvento di questi nuovi movimenti fu una sorta di crociata contro l’ortodossia della tradizione: i fautori del punk in Islanda cercarono con ogni mezzo di ridurre il gap ideologico tra le generazioni, combattere la chiusura mentale ed evitare la minaccia del provincialismo. Non mancavano i bersagli culturali contro cui scagliarsi.
È la volta quindi degli “Spit and Snot”, formato da sole ragazze, successivamente un gruppo di jazz fusion, gli “Exodus” (1979), una sorta di quartetto new wave, formato interamente dai ragazzi dello stesso conservatorio di musica che Bjork frequentava.
Questo gruppo, a differenza dei loro contemporanei, produceva musica peculiare per ritmi sofisticati e arrangiamenti piuttosto complicati. Gli Exodus ebbero vita breve, tuttavia riuscirono a produrre soltanto un’unica uscita su cassetta e un’unica apparizione in un’emittente televisiva del luogo.
Bjork, non impressionata particolarmente da questo gruppo, veniva intanto corteggiata da molti musicisti che premevano affinché lasciasse quella band.
Seguirono altri tentativi musicali che presero il nome di Jam 80 che verrà ribattezzato nel modo successivamente indicato.
L’anno successivo, si diplomò alla scuola di musica, all’età di quindici anni, e l’anno successivo ancora, con Jakob Magnusson, il bassista degli Exodus , forma un altro gruppo, ovvero i “Tappi Tíkarrass” che sta per indicare qualcosa “che sta a pennello” e che alla lettera significa “tappare il culo alla cagna”, e pubblicarono un EP, Bitið fast í vitid nello stesso anno. Il loro album Miranda venne pubblicato nel 1983.
Un album inciso con poca convinzione da Bjork, che aveva deciso di onorare i suoi impegni, visto l’obbligo nei confronti della Bad Taste Record.
Un album registrato in due settimane, dove l’Artista si occupò della grafica, delle note di copertina, della prima voce in gran parte dei brani e a suonare vari strumenti.
Quelli che in modo abbreviato vengono chiamati “I Tappi”, erano un audace quartetto il cui pop frenetico e nervoso venne spesso poco valutato dai critici.
Gli sforzi collettivi, infatti, non ricevettero i riconoscimenti che aspettavano. L’uscita di questo album avvenne dopo l’inaugurazione dei Kukl in studio di registrazione. Se le canzoni del gruppo lasciavano a desiderare, Bjork compensava con il suo carisma; stiamo parlando di una quindicenne descritta come vispa e allegra.
I Tappi riuscirono anche a firmare un contratto discografico con la Spor e di certo non era così immediata l’entrata sul mercato. Il gruppo andò avanti grazie a sporadici incoraggiamenti, entrando a far parte dei gruppi emergenti di Reykiavik. Björk in seguito collaborò con Einar Örn Benediktsson e Einar Melax dei Purrkurr Pillnikk, e Guðlaugur Óttarsson, Sigtryggur Baldursson e Birgir Morgensen dei Þeyr. Dopo aver scritto canzoni e provato assieme per due settimane, si esibirono con il nome di Kukl (che in islandese significa “stregoneria”). Il gruppo si trovò bene a suonare insieme e decise di continuare, sviluppando un suono che alcuni hanno descritto come somigliante al goth rock.
Era una musica estremamente dissonante, perennemente angosciata; era l’antitesi del pop facile, si trattava insomma di una band intensa ed inflessibile, un modo di fare musica che lasciava trasparire una costante sensazione di conflitto interiore.
Si ricercava la gioia nella dissonanza, a questo spirito, si univa il loro odio per la scena attuale. C’è da dire, elemento poco percepito dal pubblico medio, insieme agli atteggiamenti provocatori sfoggiati, veniva esibita una grande ironia e uno spirito divertito e spiritoso. Björk iniziò a mostrare indicazioni di ciò che sarebbe diventato il suo caratteristico stile canoro, punteggiato da ululati e strilli. I Kukl si esibirono in Islanda assieme alla band anarchica inglese dei Crass, e in seguito visitarono il Regno Unito in una serie di esibizioni con i Flux of Pink Indians. Il gruppo produsse due album come risultato di queste collaborazioni: The Eye nel 1984, ascoltato soprattutto nei circoli punk dove i critici, come era consuetudine, si concentrarono su Bjork e Holidays in Europe nel 1986, entrambi per Crass Records.
Per il secondo album, i Kukl decisero di esplorare più accuratamente le nuove canzoni a cui avevano accennato, inoltre risultava essere un album meno spigoloso e più ambizioso di The Eye. Di fatto, ognuna delle otto canzoni di questo secondo lavoro, prendeva l’ispirazione e il titolo da una delle città europee dove si erano fermati durante la tournèe.
L’album risultava come se fosse una sorta di resoconto di viaggio audio, dove si potevano trovare degli annunci di volo registrati dalla Icelandair che inframmezzavano i brani. Fu girato anche un video a basso costo per promuovere l’album, in particolare il singolo di punta “Anna”.
Il tour europeo prevedeva le tappe in Francia, Inghilterra e Danimarca.
I Kukl, sempre pieni di positività e di promesse, dal vivo ostentavano un’atmosfera quasi nichilista con lo scopo dichiarato di scioccare il pubblico.
Quel periodo fu per la band molto interessante, pieno di energia e di contraddizioni.
Nell’estate del 1986, diversi membri dei Kukl andarono a formare gli Sugarcubes, nonostante l’epoca punk in Islanda forse ormai finita.
Un gruppo che arrivò persino ad essere il gruppo spalla degli U2 e il loro scopo non fu tanto di far conoscere la musica islandese, quanto la terra d’Islanda. Prima di soffermarci su quest’ ultima formazione, incredibilmente determinante per la carriera di Bjork, dobbiamo accennare a un momento specifico della sua biografia.
Facendo un piccolo salto indietro, tra il 1982 e il 1983, l’Artista si reca a Glora, una fattoria, il cui proprietario aveva nella stessa uno studio di registrazione e faceva parte di un gruppo conosciuto come Manar. Bjork si divideva tra i lavori domestici (tra cui anche accudire gli animali) e jam session improvvisate, suonava il flauto e il piano, addirittura entrò a far parte di una sorta di band fra le righe dal nome “Karma”.
Quasi simbolicamente, la nascita degli Sugarcubes, coincideva con gli ultimi giorni della prima gravidanza di Bjork. La data di nascita della band, l’8 giugno, coincise infatti con la nascita di Sindri, il nascituro in questione.
Per sottolineare il passaggio dai Kukl agli Sugarcubes, bisogna ricordare l’aneddoto circa il nome provvisorio di transizione. Era come se i componenti del nuovo gruppo, avvertissero, inconsciamente il prossimo futuro, anche se di fatto la maggior parte dei membri del gruppo considerava ancora la band un incredibile diversivo, qualcosa che avrebbe dato loro la possibilità di imbarcarsi in altri progetti.
Il nome in questione era “Thukl”, significa in islandese “roba grossa”, una presa in giro del nome Kukl. Intanto, i componenti del nuovo gruppo tentavano di dare un’impronta che lo contraddistinguesse. Si impegnavano ad essere brillanti, allegri e del tutto stereotipati; rispecchiando la filosofia di pensiero della Bad Taste, ovvero la loro casa discografica, cercarono di immergere la loro musica e la loro immagine in generose quantità di colore, sottile ironia ed umorismo. Uno stile fatto di canzoni molto aggressive, ma anche melodiche. In breve tempo, essi diventarono un piccolo caso senza neanche essersi sforzati più di tanto, nessuno si aspettava un successo del genere.
I passaggi in radio erano piuttosto consistenti, ma i concerti dal vivo non erano così numerosi. Uno dei brani più noti della band fu “Birthday”, uscito nell’agosto del 1987.
Mentre i componenti del gruppo si sforzavano per evitare che nascesse la figura di un leader, i media cercavano sempre e solo Bjork. Questo è da considerare uno degli aspetti che porteranno alla disgregazione del gruppo e quindi all’inizio della carriera solista dell’artista che conosciamo attualmente. Inoltre, Bjork, avvertiva sempre di più i limiti del pop elettrico, era spinta dalla passione per i suoni sperimentali verso nuove dimensioni. Quest’ impeto che la portava verso l’esplorazione non sarebbe stato di sicuro soddisfatto dagli altri componenti della band.
Era affascinata dal jazz, dall’hip pop, dalle nuove invenzioni digitali che provenivano dalla nuova scena emergente inglese. I tentativi di Bjork per interessare gli altri membri del gruppo verso il variopinto ventaglio dei suoi gusti, si dimostrarono del tutto futili. Nonostante questa sorta di insoddisfazioni musicali maturate, le interviste e gli incontri con i fan d’oltremare divennero frequentissimi; insomma, il gruppo andava avanti brillantemente. Tutto lasciava intendere che gli Sugarcubes sarebbero stati il primo grande gruppo che l’avrebbe lanciata in modo definitivo e duraturo nella scena musicale mondiale. Tuttavia, questo gruppo, non fu l’ultimo passaggio della formazione pre-solista di Bjork.
Dobbiamo accennare alla formazione jazz notevolissima che diede come risultato un unico album dal titolo “Glig Glò”, un album inciso in soli tre giorni. Lo spirito che accompagnava Bjork nella registrazione di quest’album era opposto a quello che era associabile al lavoro con gli Sugarcubes. Innanzitutto dal punto di vista sonoro, si trattava di una risposta alle sonorità pressurizzate e artificiose degli Sugarcubes, spirito opposto anche dal punto di vista metodologico: non più cadere nella trappola di lavorare per mesi e mesi a ogni singolo pezzo, ma sfruttare la forza della musica scaturita dalla spontaneità. La formazione era detta precisamente “Trio Gudmundar Ingolfssonar”, un gruppo jazz che Bjork aveva ascoltato dopo la fine dei Kukl.
L’unico album inciso con questa formazione comprendeva una serie di brani tradizionali islandesi rivisitati in chiave jazz, un progetto che la Bad Taste, ricolmi fino all’orlo dei fondi racimolati con gli Sugarcubes, potevano permettersi finalmente di finanziare. Un prodotto finito, uscito per questa casa discografica nel 1990.
Si può ritenere questo un album di transizione, in quanto segna la fine degli Sugarcubes e l’inizio della carriera solista, rappresentata dall’uscita di Debut, nel 1993.
Temi filosofici generici
Non possiamo scindere le radici islandesi da Bjork, soprattutto dal punto di vista culturale, bisogna fare un discorso ben preciso sul valore che la natura ha sia per gli Islandesi che per l’Artista in particolare.
Il tipo di natura islandese è estrema, fatta di geyser, vulcani, ghiacciai, del clima impervio; a tal punto da essere ricondotta al concetto di religione.
La natura dell’Islanda fa oggettivamente paura ai suoi abitanti, dunque si ha per essa un atteggiamento di venerazione come se ci si volesse auto-preservare dai suoi repentini sconvolgimenti. La venerazione verso di essa, ovviamente, la si ha per la bellezza fuori dall’ordinario di un paesaggio che risulta essere affascinante, non solo per gli autoctoni, ma anche per i suoi visitatori. Tutto ciò si può verificare in tutto il percorso artistico di Bjork, soltanto che la grandezza di quest’artista, sta nel fatto che questo concetto viene espresso in modi molteplici, non solo musicali o letterari, ma anche ontologici.
Ecco che qui entriamo nel campo più specificamente filosofico – musicale.
Il discorso sulla natura è tanto quanto importante al discorso sull’amore, in quanto i due temi, spesso e volentieri, coincidono. È vero che l’amore è spesso l’argomento centrale di molti brani, ma raramente si parla di un amore tra un ragazzo e una ragazza. Si può parlare dell’amore per la montagna, per una pietra, per un luogo in particolare, si può parlare dell’amore in generale, come ad esempio in “All is full of love”, “Tutto è pieno d’amore”, un brano che sembra voler essere un scintillante e ben strutturato elogio in chiave elettronica alla beatitudine dell’esistenza, il brano ci mostra la cantante impegnata a offrire soccorso e consigli a un’anima solitaria e confusa che sente su di sa tutto il peso del mondo. Molto incisivo il videoclip, dove due robot androgini dalle sembianze bjorkiane, si animano e provano dei sentimenti, si baciano, fanno l’amore.
Si può parlare anche di amore per la vita o meglio per se stessi, in “Isobel”, una fiaba particolarmente intensa e commovente, come una falena che è costretta a rimanere nella selva, “sposata a se stessa”. Ricorro a questa metafora, in quanto nel videoclip le falene sono un vistoso elemento visivo di apertura.
La natura è così determinante dal punto di vista filosofico che va ad intersecare vari campi, come quello antropologico, psicologico, anatomico (riferimenti nell’album “Medulla”, in “Unravel”: “mentre tu sei via, il mio cuore si sfibra”), sessuale.
Un esplicito riferimento a quest’ultimo campo a livello testuale, lo abbiamo in “Venus as a boy”, dove vi è un tentativo in musica di descrivere un cunnilingus.
”Lui esplora/ Il sapore dell’eccitazione di lei/ con grande accuratezza”.
In questo caso, la sua testarda determinazione nel rappresentarlo come un semplice atto d’amore all’interno di una relazione carica d’intensità risulta semplicemente incantevole.
Si potrebbe andare avanti con altri esempi : è il caso di “Harm of Will” che ritrae un musicista libertino alla ricerca esclusiva di piacere sessuale senza coinvolgimenti affettivi di nessun tipo, i versi contengono anche un riferimento a un rapporto orale, che difficilmente riuscirebbe a turbare l’artista, capace di descrivere in altri brani, un risveglio con il pene del proprio compagno addormentato ancora dentro di lei.
Già il primo brano del primo album solista di Bjork, “Debut”, dal titolo “Human Behaviour” (“Comportamento umano”), funge da introduzione all’ottica del nuovo percorso dell’artista, una strepitosa e perfetta introduzione alla sua carriera solistica, fino a “Volta” del 2007 o addirittura al brano “Nattura” del 2008, titolo emblematico e che rende valido il discorso filosofico appena iniziato.
Il discorso sulla natura è così radicato nel percorso artistico che va considerato anche nel modus operandi. Alcuni album sono appositamente registrati restando fedeli a questi principi, si parla di incisioni effettuate in isole tropicali, fili del microfono lunghissimi che nell’immaginario dei fans, sono trascinati lungo spiagge deserte da una Bjork in estasi mentre corre.
Spesso la natura include anche l’anti-natura, come in “Crying” ad esempio si inserisce in un contesto specificatamente metropolitano. ”Viaggio per tutta la città/ Entro ed esco dalle locomotive/ Tutta sola…”. Ci sono temi su cui ritorna con ossessività ai limiti del compulsivo; condividendo ad esempio la prospettiva filosofica di “Big time Sensuality”, si sofferma sul brivido d’anticipazione, ovvero l’eminenza di eventi decisivi caratterizzata da una carica emotiva senza pari, come un sogno ad occhi aperti delicato e pensoso. In questo caso, il campo è letterario – antropologico, un discorso sulle sfumature della vita dell’uomo. In particolare stiamo parlando di “One day”, dove questo senso di attesa è accompagnato da un canto acuto e quasi infantile e da un sintetizzatore che cresce gradualmente.
È molto importante considerare l’aspetto descrittivo della musica che va di pari passo al teso per quanto riguarda la concezione filosofica d’insieme:
”Un giorno accadrà/ Un giorno tutto si avvererà”. Possiamo anche riscontrare temi di filosofia classica elaborati in musica, è il caso di “Undo” in “Vespertine”, un’esortazione quasi taoista ad assecondare il destino senza opporre resistenza rivolta a un personaggio innominato.
Al tema dell’attesa, si associa quello dell’insaziabilità, stiamo parlando di “Aeroplane”, in particolare si accenna al concetto di desiderio e ai modi per esplicitarlo, un tema caratterizzante tutto l’album “Debut”; un desiderio che può essere definito frustrato in “I Miss you” in “Post”, una straordinaria evocazione.
La naturale comicità del pezzo ha ispirato un video a cartoni animati, in cui l’artista è alle prese con i suoi eroi preferiti, Ren & Stimpy. A questi temi si associano spesso melodie ad ampio respiro.Al tema del desiderio, si collega inevitabilmente quello dell’amore.
Bjork si chiede cosa mai possa essere l’amore. Com’è possibile che uno spirito libero possa cadere completamente tra le grinfie di qualcosa completamente irrazionale.
Impiegando le sue stesse parole: “Come può essere/ Che fra tutte le persone al mondo/ Solo una/ Può farmi sentire completa?”. Questo tema ricorre ossessivamente, si può riscontrare in “Pagan poetry” : ovvero l’attrazione misteriosa che spinge un essere umano a scegliere un proprio simile come compagno. Nell’impressionistica “Possibly Maybe” in “Post”, Bjork ripone la propria attenzione sul fascino e lo stupore suscitati dalle dinamiche sentimentali.
Il tema dell’amore viene scandagliato a fondo, sia nel lato spiacevole che in quello positivo. È il caso di “Come to me”, una sorta di elegia delicata e intensa, sostenuta da un basso pulsante e cosparsa da tenui bagliori elettronici, funge da una promessa di sostegno e amore incondizionati. Si ritiene che quest’amore sia quasi materno, da far pensare che tali versi siano rivolti al figlio Sindri.
I temi trattati possono anche toccare punte estreme, come in “Violently Happy”, dove passionalità e liberazione dalle inibizioni raggiungono i massimi estremi. Già i primi versi del brano esprimono estraneità, ansia e tensione nei confronti dell’ambiente circostante: “Da quando ti ho incontrato/ Questa piccola città/ Non ha stanza/ Per le mie grandi sensazioni”. Questo brano è da ritenersi un tumultuoso e quasi evangelico elogio dell’eccesso e dell’avventura come fondamentali componenti della quotidianità. Esattamente l’essenza della personalità di Bjork.
Ed ecco il ritorno al polo opposto dopo l’eccesso: “The Anchor Song”, come volesse rappresentare il ritorno alla normalità. Il soffermarsi al contesto ambientale è più che ricorrente: il selvaggio, aspro paesaggio islandese e soprattutto l’Oceano sono per la cantante un elemento poetico costante. L’album “Post” successivo a “Debut”, per quanto riguarda le sequenze vocali, fu inciso alle Bahamas.
Il produttore avrebbe voluto evocare le atmosfere da ritorno alla natura volute dalla musicista per il suo secondo album, progettando di registrarne una buona parte in ambienti esterni. Tale idea fu fortemente condivisa da Bjork.
La sua voce veniva consegnata a un nastro mentre passeggiava lungo l’Oceano o si immergeva nei lussureggianti scenari naturali dei Caraibi, con in mano un piccolo microfono. A testimonianza di ciò, le parole della stessa cantante raccontate a “Interview”: ”Correvo lungo la riva senza che nessuno sapesse dove fossi finita”(…). “Nei paesaggi più quieti sedevo e mi rannicchiavo, mentre in quelli più eccentrici correvo tutt’intorno. Era la prima volta in vent’ anni che lavoravo a una canzone a quel modo e ho pianto di gioia tutte le mie lacrime, perché era ciò che avevo desiderato ardentemente per tutto quel tempo”.[2]
In “Post”, l’inclinazione antropologico – esortativa all’autosufficienza, è ben manifesta sia nell’universo sonoro (s’impossessa infatti delle atmosfere dance, impiegando le note sontuose dei sintetizzatori) che nella stesura dei testi.
È il caso di “Army of me” (“L’esercito di me stessa”) : “Alzati in piedi, devi affrontare la situazione/Non mostrerò più comprensione, mai più” (…) “Se osi lamentarti ancora una volta / Avrai a che fare con l’esercito di me stessa”.
Questo slancio tematico positivo, emerge anche in “Hyper Ballad”, una sorta di saggio poetico sulla capacità di rendere romantica la vita di tutti i giorni, come un autentico trionfo delle capacità evocative della cantante islandese, un inno al momento presente, un gioioso inno in cui è celebrata l’appartenenza alla condizione umana. Lo sguardo alla natura è ossessivo, l’ispirazione proveniva dai paesaggi estremi e selvaggi dell’Islanda, dove è naturale riferirsi alla sopravvivenza del più forte.
I temi filosofici a volte risultano essere del tutto rivoluzionari e bizarri, abbiamo a che fare con postulati di pura invenzione, è il caso di “The Modern Things”.
Il contenuto di questo brano è una fiaba per bambini vagamente ingenua, ma di fatto ironicamente profonda, in cui si afferma che la moderna elettronica e le apparecchiature meccaniche abbiano trovato riparo nelle viscere delle montagne sin dalla preistoria, attendendo che arrivasse il momento giusto per venire alla luce.
Di fatto, è un brano anti-luddista, contro coloro che non riescono ad accettare il progresso e la modernità. Una posizione più vicina a quella di Marcuse che vedeva nel progresso la possibilità di liberarsi dall’alienazione che caratterizza la vita lavorativa di ogni individuo e, di conseguenza, la sua vita personale.
A tal proposito, Bjork si schiera dalla parte del progresso nell’ambito della musica, dibatte contro i detrattori delle nuove sonorità, sostiene a spada tratta l’uso del computer in musica, sottolineando quanto non ci fosse una sostanziale differenza tra l’uso dell’elettricità o del legno, quanto alla modalità d’uso di qualsiasi strumento esso sia. Insieme al tema dell’autosufficienza spesso reclamato, si fonde la classica spinta filosofica positiva del “Carpe diem”, è il caso di “Enjoy”. ”Questo è come fare sesso senza sfiorarsi…assaporalo”.
A proposito del discorso sulla natura, non dobbiamo tralasciare ciò che Bjork ha detto a proposito di “Post” nel libro in lingua francese di Heric Frank “A-Z Bjork”. Da una personale traduzione: “La gente deve per forza dire che Post rappresenta un “ritorno alla natura”. Io non so cosa vogliano dire. Io sono dentro la natura, io sono con il sole, le stagioni, il pianeta. La gente è ugualmente dentro la natura. Andate in Thailandia, in Turchia o alle Bahamas: voi incontrerete dappertutto lo stesso contatto con la natura e la gente.
La tendenza naturalistica si avverte molto nelle sonorità descrittive di Homogenic, album del 1996. E’ il caso di “Hunter”, prima dell’album, austera e glaciale, capace di celebrare il cupo, splendore primordiale dell’Islanda. Per questa traccia vengono impiegati dei musicisti islandesi, in grado di cogliere quello stato naturalistico da lei ricercato. Bjork volge l’attenzione a quei musicisti islandesi che scrivono musica “islandese”, capace d’imitare vulcani e geyser zampillanti, così come “Joga” simula perfettamente smottamenti tellurici. Questa linea filosofica dell’album viene sviluppata anche nel videoclip che vede una Bjork in perfetta solitudine circondata da uno spettacolare paesaggio innevato, mentre la macchina da presa posizionata su un elicottero si abbassa rapidamente su questo scenario sbalorditivo, estremo e capace di evocare uno “stato di emergenza”. La ricerca sonora della cantante era volta a ricreare l’aspro suono del vento, delle tempeste, del paesaggio, non un suono “europeo”, che alle sue orecchie risultava piatto.
Allo stesso tempo, se l’attenzione sonora è rivolta a temi naturalistici, di pari passo non vengono trascurate le vicissitudini amorose private della cantante. Accenni sonori techno, efficaci per rendere alcuni paesaggi sonori, sono altrettanto efficaci per descrivere le sensazioni scaturite da amori strazianti recentemente conclusi. L’attenzione all’uomo e alla natura è costante, così come in “Human Behaviour”, in “Alarm Call” sentenzia: ”Ho percorso questo pianeta e ho osservato i suoi abitanti/ come se provenisse da un altro pianeta/ e in tutta sincerità devo dire che mi piacciono”.
Questo capitolo toccherà quasi tutti gli album, ad eccezione di “Selmasong”, ovvero i brani che fanno parte della colonna sonora del film “Dancer in the Dark”.
Il motivo di questa esclusione è palese: seppur non trascendendo dal proprio stile (si fa un utilizzo massiccio dei suoni dell’ambiente e la sperimentazione musicale è diffusa), si tratta di un album in cui il punto di vista è esterno, ovvero quello del personaggio principale del film.
Per quanto riguarda l’album “Vespertine”, il tema della natura è racchiuso già nel titolo, il cui significato può indicare lo schiudersi della corolla di un fiore, l’ora che precede il tramonto, l’approssimarsi della sera e le preghiere del vespro.
Molte canzoni di questo album sono state registrate nell’immersione della luce crepuscolare islandese, durante solitarie passeggiate lungo l’Oceano.
Il brano “Aurora” ( la dea delle prime luci dell’alba venerata dai romani), descrive Bjork all’alba mentre cammina dolcemente attraverso i ghiacciai islandesi in cerca dell’aurora boreale. Il paesaggio sonoro vuole riprodurre il fruscio e l’incresparsi della neve che cede sotto il passo pesante (realizzato pestando i piedi su una scatola di ghiaia).
Con l’album “Medulla”, invece, dobbiamo affrontare un capitolo nuovo nella filosofia musicale di Bjork. In questo album si ha una vera e propria esplorazione delle potenzialità sonore del corpo umano. Bisogna ricordare che questo tema sarà presente anche nei testi, già il titolo dell’album dice tutto: “Medulla” in latino significa midollo, dunque l’elemento del corpo umano o anche la parte bassa del nostro cervello. Il nome per l’album scelto precedentemente era: “Ink”, un nome che ricordava l’inchiostro, come il sangue che ci scorre dentro dalla notte dei tempi.
Uno spirito antico, passionale, oscuro e che resiste in noi.
”Voglio star lontana dagli strumenti e dall’elettronica” spiegò Bjork ad Alex Ross della rivista New Yorker, “voglio vedere cosa si riesce a ricavare dall’intero spettro emotivo della voce umana: una voce sola, un coro, voci impostate, voci pop, voci folk, voci strane. Non soltanto melodie ma qualsiasi rumore venga prodotto da una gola.”[3]
“Medulla” è il primo disco in assoluto di Bjork che parla di politica: “Mouthcradle”è una fantasticheria a occhi aperti in cui si fondono le preoccupazioni di una madre e lo stato del mondo dopo l’11 settembre 2001, dunque uno dei momenti più ambiziosi dell’album. L’immagine di una madre, o forse di un amante che dona incondizionato amore, è del tutto centrale, c’è da precisare che Bjork tende sempre ad utilizzare più immagini in una volta sola, anziché una. In questo insieme figurativo di canto, ballo e sentimenti materni pieni di gioia, un verso in particolare spinge l’ascoltatore a cercare rifugio “lontano da tutti i Bush e gli Osama”.
Lo stato di tensione nel mondo dopo l’11 settembre è fortemente percepito dall’artista, tant’è che ha dichiarato a XFM: “Anche la gente più improbabile, tipo me, ha cominciato d’improvviso a interessarsi di politica”.[4] In alcune affermazioni, Bjork sembra comprendere le ragioni del “passionale” Bin Laden contro il “fastidioso” Occidente, tuttavia non giustificando le sue azioni. Il verso di cui abbiamo parlato è stato spesso considerato di cattivo gusto, anche se rappresenta comunque una presa di posizione verso degli avvenimenti così importanti. Tali affermazioni si riscontrano anche nel tipo di sonorità: sequenze di invocazioni ricucite e campionate, armonie del coro islandese, impiego di percussionisti brasiliani e una parte vocale dove la cantante si pone in netto contrasto nei confronti di tutte le altre tracce.
Come abbiamo precisato precedentemente, Bjork non affronta mai temi politici nei testi, a parte rare eccezioni. Una di queste eccezioni è “Declare Indipendence” contenuta in “Volta”, album del 2007, si tratta di un brano con una lunga storia, eseguito da Mark Bell che lo eseguiva nei suoi vari concerti. Bjork rimase molto colpita da quella melodia ipnotica e decise di aggiungerla nel suo nuovo album, immettendo il proprio contributo vocale e un testo dedicato a una piccola etnia della Groenlandia. Il video è nel classico stile della cantante, dove niente è scontato e ogni cosa è lasciata alla creatività e all’originalità. Da non sottovalutare la collaborazione con il regista Michel Gondry con cui aveva già lavorato in passato, dando vita a dei veri e propri capolavori nel campo dei videoclip.
Tale brano ha investito totalmente la questione – Tibet, da tanti ignorata e vecchia di decenni, affrontata dalla cantata durante il suo concerto allo Shangai International Gymnastic Centre. I suoi fan, dicono i media italiani, pare non abbiano gradito il gesto che ha comportato la sua messa al bando dalla Cina. Sui principali motori di ricerca cinesi, addirittura, è ora impossibile trovare informazioni su Bjork.
Ogni riferimento alla cantante, su internet, è stato fatto sparire e i media di Stato hanno completamente ignorato l’accaduto. I blogger cinesi ne discutono comunque, infrangendo in questo modo la coltre di silenzio che vorrebbero le istituzioni governative.
L’artista non è nuova a certe azioni durante i suoi concerti. A Bogotà, Colombia, ha sventolato la bandiera colombiana, gridando : “Justice”, in Giappone ha parlato dell’indipendenza del Kosovo e il concerto che doveva tenere in Serbia, all’Exit festival, è stato cancellato. Azioni che saranno approfondite minuziosamente nel paragrafo sulla performance, ma che non si potevano tralasciare per via dei riferimenti politici, seppur sparuti. Credo che non ci sia disciplina più conforme della filosofia della musica per poter fare un discorso completo su Bjork che include tutti gli aspetti analizzabili.
Tra natura e tecnologia
Teorie ormai obsolete, pongono la natura in antitesi con la tecnologia e ciò non può essere costruttivo. Se l’uomo non considerasse le loro creazioni tecnologiche come parte della natura, allora non vi sarebbe alcuna buona predisposizione nel raggiungere un equilibrio con il mondo circostante. In prima posizione, bisogna considerare quella conosciuta come filosofia dell’Umanesimo, la natura che diventa opposizione all’uomo, la forza che deve essere controllata ed eventualmente modellata in nome della sopravvivenza umana. La tecnologia diventa lo strumento di controllo della natura, uno strumento in cui i possibili pericoli sono trascurati egoisticamente dall’uomo, convinto che ciò che crea sia sempre utile e sempre più facilmente controlla la natura stessa. Il vecchio Illuminismo poggia su questa idea, così come il concetto cristiano di Dio che avrebbe creato il mondo ad uso dell’uomo.
Una citazione dell’umanista Ralph Waldo Emerson spiega succintamente
la sua posizione: “questo grande selvaggio paese dovrebbe essere
solcato dall’aratro e pettinato dall’erpice”. Nel frattempo, nella Bibbia cristiana è scritto che Dio disse: “facciamo l’uomo a nostra immagine, a nostra somiglianza e domini sui pesci del mare e sugli uccelli del cielo, sul bestiame, su tutto il pianeta e su ogni cosa che si insinua strisciante sulla terra” (Sacra Bibbia, Gen. 1,26).
In entrambi i casi, una gerarchia esiste e prevede l’uomo in alto e il resto del pianeta, in fondo.
La seconda posizione ideologica crea complicità tra la natura e la tecnologia, ed è caratterizzata dal timore che la tecnologia intacchi un certo romanticismo insito nella natura. Questa “difesa della natura” è una posizione appoggiata da molti sul fronte New Age, tra gli hippie e varie comunità, così come da ecologisti radicali come EarthFirst e Greenpeace. Questi gruppi, almeno nella retorica, fuggono le nuove tecnologie come una minaccia per la “Madre Terra”, uno dei sostenitori di queste teorie è il radicale ecologista Tim O’Riordan.
Per Bjork, il binomio ecologia-natura / tecnologia e le relative gerarchie sono una vera e propria limitazione, l’Artista è molto contraria alla filosofia umanista e cristiana che vede l’uomo come padrone della natura e della tecnologia.
Tuttavia, a differenza di alcuni attivisti ambientali che la pensano allo stesso modo, ovviamente non è affatto una luddista, mentre i radicali ecologisti del “ritorno alla terra”, oppure gli hippies vedono nella tecnologia una forza distruttiva.
Bjork ha abbracciato la tecnologia considerando che la natura comprende non solo la vita animale e vegetale del deserto, ma anche l’uomo e la loro tecnologia.
Dopo essere passata dalla tradizione pagana della filosofia scandinava, dove tutta la natura (compresa la tecnologia) è intrinsecamente spirituale, Bjork considera come intrinsecamente falsa, una gerarchia con gli esseri umani al vertice nei confronti della natura, allo stesso tempo reputa inutile ed irrealistico il timore nei confronti di una nuova tecnologia se è impiegata con responsabilità. Impiegando come mezzo espressivo la combinazione visiva e musicale della natura con la tecnologia, manifesta la sua resistenza agli argomenti di autenticità tra musica rock e techno, nonostante la sua grande esperienza in entrambi i campi, cerca di andare sempre le categorizzazioni, mantenendosi razionale così nella scienza come nella mitologia.
Possiamo recepire da queste congetture riguardanti il pensiero dell’artista, che la natura e la tecnologia coesistono armonicamente e non devono essere considerate così scisse, come è uso comune intendere. Bjork ha grande rispetto per il passato e per il primitivo, ma anche liberamente abbraccia le nuove tecnologie e non ha alcun interesse al “ritorno alla terra”. Mentre ha abbracciato decisamente la simbologia di un ritorno ad una semplice origine, in particolare in “Medulla” e “Volta”, Björk non è interessata a un vero e proprio ritorno al passato, crede fermamente che continuando ad andare avanti ed evitare correnti reazionarie e conservatoriste, l’umanità è molto in linea con la natura. Haraway sostiene che la vera opportunità per l’uomo non è nel recupero di una irrecuperabile origine, ma piuttosto nel prendere il rischio di esplorare l’immaginazione in molteplici identità che trasgrediscono i confini tra umano, naturale, la meccanica ed aprendo così un’inaspettata alternativa al percorso mortale forgiato dalla società tecnologica.
Bjork, come Haraway, non abbracciano un futuro tecnologico e ciecamente
senza etica, tuttavia non vede alcun punto nel tentativo di vivere nel passato. Esso è semplicemente una sintesi di vecchio e nuovo che cerca di coesistere armoniosamente.
Come musicista e produttrice, Bjork è spesso raffigurata come una delle ultime progressiste nella musica popolare, nonostante la sua formazione classica , Bjork è piuttosto critica nei confronti del classico approccio per l’apprendimento della musica. Molti popolari musicisti jazz come Miles Davis o come la luminare icona punk Mike Watt, ritiene che si dovrebbe curare molto di più la naturale capacità di “sentire” la musica, piuttosto che focalizzarsi su una formazione per acquisire certe professionalità tecniche. Bjork è dell’idea che l’educazione musicale dovrebbe essere molto diversa da quella che ha ricevuto durante la sua infanzia.
Per Bjork, l’uso della tecnologia nelle sue composizioni non significa l’abbandono della natura, infatti non trascura totalmente la strumentazione tradizionale, né ritiene le nuove tecnologie come intrinsecamente migliori. L’artista è della posizione che il progresso tecnologico è semplicemente un nuovo modo di stimolare il processo creativo e quindi di portare avanti una data tradizione e allo stesso tempo l’innovazione musicale che ha segnato lo sviluppo della musica a partire dalle origini: il tutto deve essere visto come una serena commistione, piuttosto che una sfida.
Per Bjork, la tecnologia le è stata d’aiuto in molti modi per ripristinare e aggiornare alcune buone idee tradizionali. Il “making of” del 2001, riguardo l’album “Vespertine” è un esempio. Bjork stava lavorando alla musica che veniva prodotta appositamente al momento per l’ascolto su minuscoli altoparlanti, nel caso specifico di un portatile. I suoni sono stati scelti per il loro specifico timbro e risonanza in base alle frequenze. Per Bjork, il progredire in avanti ci porta allo stesso tempo indietro, in quanto non vede alcuna contraddizione nel vedere il tempo in maniera essenzialmente circolare.
Purtroppo, non tutti sono ottimisti su come andare avanti come Bjork e Adric.
Lo studioso Simon Frith osserva che quando una nuova tecnologia viene alla luce nel mondo della musica, questa è vista come una minaccia da parte del sistema prestabilito, considera quindi “falsa e mezzo di falsificazione” e “contraria alla natura e la comunità” (cit in. Thornton, 29). Questo pensiero simile a quello radicale degli ecologisti che richiama l’idea del “ritorno alla terra” e alle teorie degli hippies, si manifesta nella costante paura delle nuove tecnologie.
Per l’anarco-ambientalista Giorel Curran e altri, per esempio, la preoccupazione principale è “l’elevazione del modernismo ad una strumentale e tecnocratica razionalità come la suprema realizzazione della cultura umana” (Curran 104).
Nei circoli di Rock ‘n’ roll, questa stessa paura di “razionalità tecnocratica” si è molto manifestata con l’aumento dell’elettronica nella musica popolare.
Molti etnomusicologi hanno avuto la stessa reazione negativa per l’uso dell’elettronica da parte di molti musicisti rock, la filosofia di Bjork sostiene che la natura e la tecnologia non sono in contrasto e permette l’utilizzo in libertà di strumenti acustici, strumenti elettronici, intercambiando le due tipologie senza preoccupazioni. Per l’Artista, anche qualcosa di naturale come un sasso non può essere rimosso dalla tecnologia, la sfida per Bjork è stata poi quella di lavorare con i nuovi vincoli che non comportano una gerarchia tra il tradizionale e la più recente tecnologia, ma una perfetta sintesi tra i due campi, che implica in realtà il tradizionale e il nuovo in maniera intercambiabile. Per gran parte della sua musica, in realtà, è difficile dire che cosa è programmato elettronicamente e ciò che è biologico, in questo modo, ha dimostrato che l’elettronica può veramente “democratizzare” il suono e che tali compositori, critici e appassionati che hanno scelto di limitare l’elettronica, hanno perso un’opportunità unica. L’artista desidera visualizzare il passo verso una maggiore comprensione che l’uomo e la tecnologia sono natura e che un uso responsabile della tecnologia arriva insieme a questa interconnettività.
Bjork abbraccia la tecnologia quindi come naturale ed è fortemente critica nei confronti del concetto umanista che tale tecnologia dovrebbe essere utilizzata per dominare il mondo che cicirconda. Negli ultimi anni è stata particolarmente esplicita contro la moderna religione organizzata, che scade nell’antropocentrismo, dove il resto del mondo è considerato semplicemente come una risorsa per la sopravvivenza umana.
Agli inizi del Cristianesimo, “la Chiesa si adatta al mondo moderno, sostiene e applaude il moderno progetto di addomesticare la natura” (Kinsley 140).
Il teologo Francesco A. Schaeffer osserva che oggi, mentre non tutti i Cristiani condividono l’opinione che la natura è al di fuori delle persone e deve essere dominata, sicuramente ci sono molti che ancora sostengono questa teoria (40). Lo storico medievale Lynn White, nel suo trattato “Le radici storiche della nostra crisi ecologica”, concorda con Bjork che “in particolare nella sua forma occidentale, il Cristianesimo è la religione più antropocentrica del mondo ed è in assoluto contrasto con l’antico paganesimo e le religioni dell’Asia”. Per Bjork, il suo scetticismo che circonda il Cristianesimo dal punto di vista naturalistico, è qualcosa che è cresciuto con quella sorta di paganesimo islandese in lei insito. Spiega che in Islanda, rispetto agli Stati Uniti, o anche all’Europa, Dio non è una grande parte della loro vita.
“Io non conosco nessuno qui che si reca in chiesa per un divorzio o sta attraversando la depressione o qualcosa del genere. Andiamo invece incontro alla natura. La natura è il nostro tempio” (Bjork cit. in Gunnarsson). Per un’islandese come Bjork, è ironico che i Cristiani costruiscano cattedrali in contesti urbani con alti soffitti come a voler imitare la natura. Ritiene sia molto più semplice compiere un viaggio nella Tundra.
Se la natura è un tempio per Bjork, il corpo umano può essere visto come un elemento di grande importanza, lungi dal considerare l’uomo come una sorta di divinità, lo ha invece trasportato nel contesto di una macchina simile alla natura. “Medulla” non è l’unico lavoro di Björk capace di mescolare l’uomo con la macchina.
Bjork sarebbe probabilmente d’accordo con Haraway che sostiene la non distinzione tra uomo e macchina, dove ontologicamente l’uomo si assimila a una macchina, regolata da ferree leggi tecniche, nonostante sia composta da materiali organici.
Bjork e Haraway, quindi, complicano la nozione riduttiva che gli esseri umani sono separati in qualche modo dalla tecnologia, essendo parte della natura.
Entrambi ritengono che l’uomo, così come le macchine, non sono al di sopra della meccanica scrupolosa della natura, come noi avremmo spesso, creduto. Piuttosto, sfocando i confini tra umani, macchine e la natura stessa, possiamo deporre a favore di una visione del mondo che è sostenuta dalla scienza moderna, ma affonda le sue radici in una sottile consapevolezza dell’unicità di ogni vita.
Le immagini in molti video di Bjork riflettono il concetto che l’uomo e la natura sono inestricabilmente collegati da un punto di vista meccanico in simbiosi e l’artista, in tutti i casi, è vista come profondamente collegata al suo ambiente naturale.
Nel video, del 2004, “Where is the line?”, diretto dalla scultrice Gabriela Fridriksdottír, ha dato vita alla scena estremamente inquietante che vede Bjork come come una sorta di carciofo in un pascolo, dando vita ad un verde pallido umanoide.
Nel video di Spike Jonze, l’unico non incluso in “Vespertine”, “It’s in our hands”, Bjork è una donna incinta che viene vista camminare insieme ad insetti, rane e altre creature della notte. Allo stesso modo, anche se forse in un modo meno oscuro, Alexander McQueen nel video di “Allarm Call” del 1998, raffigura Bjork mentre abbraccia una zattera di legno in una palude. In tutti e tre i video, il messaggio sembra consistere nel fatto che molti cristiani, umanisti ed ecologisti radicali, siano in qualche modo, spesso grotteschi nell’idea di natura e sono semplicemente vittime di un’illusione. Bjork abbraccia tale realtà e pone l’uomo non ad un rango superiore o inferiore rispetto alla natura, ma, ritiene esso rivesta un ruolo assimilabile a un semplice ingranaggio della sua meccanica, come un filo d’erba, un bruco o qualsiasi altro elemento. Sebbene Bjork fosse particolarmente critica nei confronti dell’antropocentrismo del Cristianesimo, non è una cieca seguace della scienza, ma condivide la responsabilità di tale antropocentrismo, tanto quanto di tale religione organizzata.
L’importanza della cultura unica in Islanda e la filosofia relativa non può essere del tutto sottovalutata da Bjork, ci riferiamo alle saghe norvegesi, oggetto di riferimento da parte dell’islandese Snorri Sturluson durante la fine del dodicesimo e agli inizi del tredicesimo secolo, sono ancora altamente considerati da islandesi e incidono fortemente sulle loro opinioni sulla natura e la tecnologia.
I miti sono pieni dell’allusione pagana alla immanenza del divino nella natura, con ogni elemento della natura rappresentato da un dio o dea.
Queste divinità spesso rappresentano il potere della natura e la sua potenziale distruzione, ad esempio: il danneggiamento da parte delle onde di un oceano,
le tempeste di un tuono, i lupi, le aquile giganti, la terra e il vento, tutte le immagini che caratterizzano visivamente l’Islanda. Ciò che rende unica l’Islanda, in termini della moderna concezione della natura e della tecnologia e in particolare della religione e della scienza è che i miti delle saghe svolgono ancora una funzione forte nella loro cultura. Non a caso, l’Islanda è tra le nazioni del mondo tecnologicamente più avanzate. Bjork osserva che questo è in realtà comune non solo per l’Islanda, ma per molti altri paesi occidentali che sono diventati civilizzati negli ultimi cinquant’anni.
Questo spontaneo connubio tra natura e tecnologia, tra mitologia e scienza, ha permeato la musica di Bjork sin dall’inizio.
Si rileva che già i Kukl erano molto consapevoli di non voler dimenticare la natura, la mitologia, elementi molto forti nella loro cultura.
Lo studioso David Toop aggiunge che l’attenzione di un Islandese per il mondo pagano non si limita alle nozioni tradizionali occidentali della natura, ma ritiene che la musica di Bjork sembra essere legata fortemente sia all’idea sciamanica che il mondo è pieno di spiriti, sia al mondo dei cellulari, dei computer portatili come se anch’essi facessero parte di questo universo filosofico-mitologico.
Questa miscela unica di tecnologia e mitologia pagana all’interno della cultura islandese può essere meglio verificata attraverso una recente esibizione live a Detroit, in cui Bjork ha eseguito un brano da “Medúlla”, “Desired Constellation”, insieme al programmatore Damian Taylor. La strumentazione è stata solo un nuovissimo campionatore digitale e un sequencer (noto come Reactable) e naturalmente la voce di Bjork, l’artista non promuove né un vero e proprio ritorno a un primitivo “naturale” passato, né a un’arrogante convinzione di “tecnologico” futuro.
Invece è dell’opinione che l’uomo, la natura e la tecnologia sono in realtà la medesima cosa. Abbiamo il diritto di utilizzare la tecnologia, ma anche la responsabilità di prenderci cura del pianeta in cui viviamo.
Opposizione tra il concetto del basso e dell’alto
La divisione, sia tra individui che tra gruppi, può essere considerata un importante capitolo della storia dell’umanità. Le divergenze che non riusciamo a cogliere, riguardo a persone o a ideologie, che siano inerenti alla razza, alla cultura, alla classe, al sesso, hanno creato o addirittura amplificato le nostre differenze e quindi hanno oscurato le cose che abbiamo in comune. In questi ultimi anni, questi quesiti sono stati sempre più dibattuti, in particolare da leader dei diritti civili, femministe e attivisti in generale, che insistono su quest’argomento in modo piuttosto accanito.
Il mondo dell’arte e l’industria che la circonda, è un esempio perfetto del contesto in cui si sviluppano maggiormente questi quesiti, in cui i confini nazionali e le gerarchie di stili, le categorie, i generi, sono considerati come valore assoluto, anche se contestati.
Certamente, queste categorie e generi, spesso rivestono un utile ruolo e ci permettono di esprimerci nel mondo dell’arte, dell’estetica e di fornire il nostro apporto teorico personale nei confronti delle circostanti opere d’arte.
Queste distinzioni diventano pericolose quando ciò che è esteticamente gradevole per noi, diventa un modo di definire la nostra estetica come intrinsecamente migliore rispetto ad altre. Questo è un classico problema del pensiero modernista, che si avvale della fiducia nella nostra cultura che quindi tenderebbe alla perfezione, grazie al pensiero razionale, alla scienza e al progresso nel tempo e quindi spesso denigra gli altri modi di indagine al di fuori della scienza e della filosofia occidentale.
Nel mondo dell’arte, questo accade fin troppo spesso, la creazione di una categoria del “buono” e “dell’arte cattiva” , viene spesso impiegata dagli artisti e dai loro seguaci e si usa per definire se stessi nei confronti di ciò che vedono come una minaccia della propria estetica. I concetti di “alto” e “basso”, di “mainstream” e “underground” sono strettamente legati al settore dell’arte.
Pierre Bourdieu definisce “l’arte per l’arte”, “un’arte pura” che non è guidata dalle forze di mercato e che persegue il diritto a definire i principi per sè della sua legittimità, mentre rifuggono la fama e il riconoscimento. Il contrario sarebbe quindi essere associati al contesto popolare e comunque alle esigenze della stampa, perseguendo quindi onori e privilegi dai loro coetanei e dal pubblico.
Nel tardo ventesimo secolo, vale a dire l’epoca postmoderna, questo binario è stato complicato dalla comparsa della sovrapposizione delle categorie del “mainstream” e “underground” a cui abbiamo precedentemente accennato. Questa nuova dicotomia, rispecchia le categorie dell’ “alto” e del “basso”, strettamente emerse nel mondo dell’arte bassa o nella musica popolare. I difensori dell’arte “underground”, elogiano l’artista che lavora al di fuori delle forze di mercato e che non coltiva il desiderio di fama.
Il mondo dell’arte alta definisce la loro estetica rigorosamente individualista e aotonoma, mentre gli operatori dell’arte bassa che preferiscono un approccio più populista, condannano come “egoista” l’arte dei sostenitori dell’ “arte per l’arte”, e si pongono la domanda se l’arte deve svolgere o meno una funzione sociale e politica.
L’”underground” si definisce anche nel regno dell’arte popolare, mentre si dice che gli artisti del “mainstream”, abbracciano tutto il mondo dell’arte destinata ad assere commercializzata e sono asserviti alle esigenze dei grandi interessi delle imprese e dei media, ciò che i teorici Max Horkheimer e Theodor Adorno definiscono “arte industriale”.
Bjork ci offre un’occasione unica per vedere cosa succede quando queste gerarchie, in modo molto comune nel mondo della musica, sono ignorate.
Con l’attraversamento delle linee di “autenticità”, ridefinendo la musica pop e ingorando le barriere di ogni genere, rifiutando quindi ogni classificazione, che precedentemente aveva offuscato la distinzione tra arte bassa ed arte alta e tra le nuove categorie del “mainstream” e “underground”. Questo processo è percepito anche tra le distinzioni culturali, di razza, di classe, sessuali e dal punto di vista gerarchico.
Nel regno della musica popolare, molto dipende dai binari del “mainstream” e dell’“underground”. Questi termini sono più comunemente utilizzati per distinguere l’autentico dall’inautentico e la musica popolare ci ha aiutato a focalizzare maggiormente questo concetto. La storia ci dice che un tipo di musica che si sviluppa nel sottosuolo culturale, al di fuori di intenzioni e influenze commerciali, dunque gli artisti che hanno sviluppato il loro percorso in tale maniera vengono considerati autentici e “cool”, fanno parte di un’unica sottocultura della società.
Questo tipo di autenticità può cambiare le cose, ovvero quando questa diventa nota agli altri esponenti della sottocultura stessa, dunque al “mainstream”, alle masse. A questo punto, la storia continua, la musica diventa secondaria alla produzione e alla notorietà e, pertanto, l’artista che diventa popolare diventa inautentico e “uncool”, un ciarlatano nei confronti di ciò che la sottocultura veramente rappresenta.
Pur riconoscendo che il denaro e la fama spesso corrompono la musica e i musicisti, questa costruzione di binari non è mai così chiara e definita, riducendosi a una semplice distinzione tra un gruppo ed altri che si definiscono contrari al gruppo opposto.
Il teorico Sarah Thornton impiega come dicotomie: mainstream/underground e commerciale/alternativo. Questi sono dunque i mezzi con i quali molti giovani e le culture immaginano il loro mondo sociale, misurare quindi il loro valore culturale e la loro pretesa capitale/sottoculturale. Questo concetto di capitale sottoculturale è un’estensione della teoria dello studioso francese Pierre Bourdieu.
Il capitale sottoculturale viene definito quindi come “la conoscenza che viene accumulata attraverso l’educazione e l’istruzione che conferisce lo status sociale. Per Bordieu, il capitale culturale sembra riferirsi più alle conoscenze necessarie per essere una parte di avanguardia nel mondo dell’arte, mentre Thornton, della nozione di capitale sottoculturale, sottolinea la funzione analoga di acquisire il proprio status, anche se nel mondo sotterraneo della sottocultura.
Thornton rileva che un aspetto fondamentale del capitale sottoculturale, che lo separa dal capitale culturale, è che esso è strettamente legato ai mezzi di rappresentazione, come quanto è appreso attraverso l’educazione e l’istruzione.
Il capitale sottoculturale è legato anche alle questioni di genere.
Tipicamente, le caratteristiche associate con l’”underground” della sottocultura giovanile, sono stereotipi maschili, come l’azione e la ribellione, la crudezza, quello che si potrebbe definire “hardcore”. Allo stesso tempo, quelle connessi con il “mainstream”, sono comunemente caratteristiche femminili, quali: la passività, l’attinenza al regno domestico secondo gli stereotipi classici, il decoro, dunque quello che si potrebbe definire “softcore”. Il giornalista Chirs Sharp fornisce ottimi esempi di questo genere dal punto di vista terminologico, dove egli richiama le linee tra ciò che autentico o inautentico, come potrebbe essere considerato il genere della musica dance elettronica. Mentre i grandi artisti erano impegnati ad utilizzare i campionatori per simulare strumenti reali o emulare i “mood” di grandi musicisti, ovvero il tentativo di ricreare il virtuosismo di Lonnie Liston-Smith o Herbie Hancock, nell’ “underground”, i produttori sono occupati dall’essenza della musica, avvicinandosi a quella che è la metafora di “giungla”, dove le sezioni ritmiche sono marcatamente più percussive e le sezioni di basso, più “sotterranee”. È soprattutto il termine “buzz” ad essere utilizzato dal giornalista. Termine che indica un brusio, un cicalio; suggerendo in maniera più efficace la metafora a cui abbiamo accennato. Quest’associazione dell’”underground” agli stereotipi maschili è particolarmente interessante quando si considera che sono state le donne a contribuire maggiormente a queste sottoculture. Dove si inseriscono e come? Bjork, in gioventù, è stata un’ esponente relativamente importante nel suo ambiente culturale o se meglio vogliamo dire, “sottoculturale”. Nel suo caso, ha semplicemente adottato lo stesso attegiamento maschile “hardcore”, come i suoi coetanei maschi. Secondo i giornalisti Simon e Joy Press, questo è più comune di quanto si creda nella musica rock della sottocultura, dove le donne si appropriano dell’identità maschile stereotipata relativa all’attegiamento di ribellione.
Bjork, come membro della cricca “Medusa”, animata dal cattivo gusto collettivo, si è fatta strada, come sappiamo, attraverso i Tappi Kitarras e poi i Kukl ed è stata coinvolta in una sorta di anarco-punk di sottocultura. Bisogna guardare Rejkiavick come in aperta sfida con il “mainstream”, il simbolo di una band ben integrata nel “mainstream” è firmare un contratto con un’importante casa discografica.
La paura di queste band (ben fondata ed è la storia del rock a confermarlo) è quella che le grandi aziende arriveranno a compromettere la loro musica.
Di conseguenza, una parte dell’ ”underground” fai-da-te è di appoggiarsi ad etichette discografiche indipendenti, piuttosto a grandi organizzazioni aziendali.
Per i Kukl, questo significava la firma con l’etichetta di punk britannico Crass.
Allo stesso modo, il gruppo successivo di Bjork, gli Sugarcubes, nonostante fosse corteggiata da importanti etichette come la Warner e la Polygram, ha scelto di firmare con l’etichetta britannica “One Little Indian”. Questa etica “fai-da-te” ha però i suoi limiti.
A causa della mancanza di fondi, a causa di una scarsa promozione e distribuzione, la band non può ottenere il riscontro desiderato da parte dei fans.
Questo quindi porta alle forze indipendenti ad allearsi con le major per la distribuzione e la promozione dei loro gruppi, compromettendo quindi il fai-da te dell’etica “underground”. Sono situzioni di questo tipo che spinsero gli Sugarcubes ad appoggiarsi, alla London Records, un’affiliata della Polygram, una grande etichetta. Lo scopo era quello di ottenere una distribuzione negli Stati Uniti, a costo di fare il patto col diavolo con una major, potenzialità operative che la “One Little Indian” non poteva mai avere. Per quanto riguarda invece della registrazione di “Life’s to Good”, gli Sugarcubes sono stati introdotti alla Elektra Records A & R da Howard Tompson in persona. Arni Matthiasson, il biografo degli Sugarcubes, prende in considerazone il fatto di firmare per l’Elektra in America, indicando il disagno nel compromettere l’etica “underground”. Il successo della band continua a crescere, soprattutto nel 1987, ma è ancora relativamente limitato, siamo quindi sempre nella sfera della musica alternativa. Il vero successo di Bjork inizia con Debut, dove si può identificare un complesso rapporto tra “mainstream” e “underground”, dove questi binari opposti confluiscono simultaneamente. Un tipo di lavoro relativamente nuovo e sperimentale in genere “electro” che vanta produttori del Regno Unito come Nellee Hooper.Un lavoro che sembrava inizialmente una scommessa nella categoria del settore “underground”. Addirittura, una delle tracce contenute nell’album, arriva al terzo posto nel Regno Unito della pop charts. La domanda è: come risponde la sottocultura?
Secondo il teorico Dick Hebdige, “La creazione e la diffusione di nuovi stili, è indissolubilmente legata al processo di produzione, la pubblicità e l’imballaggio che deve inevitabilmente alla diffusione della sottocultura di potere sovversivo” (Hebdige 95) . Nonostante l’etichetta in questione fosse indipendente, la massiccia popolarità di Debut nel Regno Unito e in Europa, sembrava portare alla diffusione di un potere sovversivo appartenente all’ex-scena degli anarco-punk, così come ha attinto alla tecno-house della sottocultura. La sua vasta tavolozza musicale e l’indifferenza verso le barriere di genere, la sua storia come anarco-punk, la sua popolarità con gli Sugarcubes, le sue collaborazioni con musicisti jazz e classici e a cavallo di più culture musicali, hanno permesso di evitare la volgare etichetta di “venduta”.
Musicalmente il suo lavoro è da ritenersi talmente diverso, che non si può pretendere faccia parte di una sottocultura. Il giornalista musicale del Regno Unito, Paul Lester sottolinea diverse volte come “Debut” abbia venduto milioni di copie, influenzando così la moda di milioni di persone. Questo è importante per analizzare la dicotomia mainstream/underground che Bjork ha eluso in questa maniera. È chiaro che Bjork va collocata al di fuori di qualsiasi sottocultura, anche se profondamente collegata all’”underground” elettronico.
Tornando alla dichiarazione di Hedbdige, si potrebbe supporre che la sua popolarità dovrebbe erodere il valore della musica sovversiva e implicitamente anche la sua qualità e quindi Bjork potrebbe venire considerata come una visione edulcorata dell’ “underground”. Tra “Debut” e “Volta”, Bjork ha venduto quindici milioni di album e guadagnato dodici nomination ai Grammy. La tabella seguente, mostra il suo successo riportato nei grafici del Regno Unito e degli Stati Uniti.
Björk Album Chart Peaks.
Album UK chart peak U.S. chart peak
Debut #3 #61
Post #2 #32
Telegram #59 #66
Homogenic #4 #28
Selmasongs #34 #41
Vespertine #8 #19
Medúlla #9 #14
Drawing Restraint 9 #141 N/A
Volta #7 #9[5]
C’è da stabilire se i principali interessati al successo musicale di Bjork hanno soprattutto motivazioni economiche, oppure fanno leva sulla sua capacità di sovvertire i confini sociali stabiliti, così come Hebdige asserirebbe. In realtà non parliamo di un successo che investe tutte le tipologie di persone, i suoi album sono diventati più politici e sperimentali nel corso del tempo ed inoltre il suo status “underground” non è diminuito nella comunità relativa e ha continuato a ricevere entusiastiche recensioni da critici sia indipendenti, sia facenti parti di organizzazioni aziendali. Questo complica gravemente il mito che la qualità della potenza del sovversivo, diminuisce con l’esposizione mediatica. In realtà, Thornton prende atto del fatto che l’esposizione mediatica è sempre presente e importante, anche per il livello “underground”. Contrariamente alle ideologie sottoculturali dei giovani, scrive che la sottocultura non è un seme che germoglia con la forza della propria energia misteriosa, ma ha bisogno anche dei mezzi di comunicazione, anche se quest’ultimi assimilano queste forme culturali in ritardo. Sono soprattutto i media di nicchia che hanno particolare attenzione alla sottocultura e creano dei “movimenti”, da non confondere con la “moda”, ciò che per questi presenta una valenza negativa, mentre per i media popolari, un aspetto importante da tenere in considerazione.
Pertanto, sia i mezzi di nicchia, sia quelli popolari, all’inizio contribuiscono alla creazione della sottocultura. Per quanto riguarda il potenziale sovversivo della musica “underground”, Thornton sottolinea che non si dovrebbe presumere la presenza di sovversione politica solo perché una cultura giovanile ha una predisposizione negativa nei confronti dei media. Questo processo di approccio ai media non dovrebbe essere represso, nonostante essi siano dominati all’ordine del giorno dalle esigenze delle imprese che intendono mantenere alti i loro introiti.
Si mette quindi in discussione l’idea stessa che la sottocultura o sotterraneo è intrinsecamente sovversiva per definizione. Bjork, malgrado la sua connessione con la comunità sotterranea anarco-punk di Reykjavik, ha rifiutato di essere vincolata dalle sue regole estetiche o politiche. Come nota il giornalista musicale Alex Ross , “è stata scettica nei confronti del punk dell’ideologia purista: subito si ribellò contro la ribellione”.
Dal debutto di “Volta”, che ha rotto nei confronti dell’etica maschile “hardcore”, ha tenuto il suo forte spirito indipendente. Un colloquio con il New York Times nel 2007, dimostra ciò abbastanza bene. Hanno sottolineato come “The Dull Flame of Desire”, sia una canzone di sette minuti che va completamente contro alla sua educazione punk, così come “Volta” stesso . Bjork risponde perfettamente alle critiche che provengono dal mondo “underground”: “ho appena deciso di avere una sorta di cronologia emotiva. . . perché c’è un sacco di improvvisazione e le frasi si esprimono in un dato luogo, sono voluta andare in questo luogo, che sia o no la Terra, ed è accaduto di percepire qualcosa di sette minuti”.
Per Bjork, la musica è sempre stata più importante e piacevole di qualsiasi etica “underground” della comunità.
Ma perché Bjork non ha ritenuto necessario rispondere a tali domande?
Il mito di un “mainstream” negativo è stato un potente simbolo musicale della comunità per un lungo, lungo tempo. E’ stato perpetuato, non solo dall’“underground” e dai loro musicisti appassionati, ma anche da esponenti del mondo accademico: “piuttosto che fare un confronto, il peso sociale e i
fattori economici e di affrontare i problemi etici e politici coinvolti nella celebrazione della cultura di un gruppo sociale rispetto ad un altro, bisogna invocare la chimera di un “mainstream” negativo”. (Thornton). È davvero giusto per rendere tali sentenze qualitative sulla musica, basandoci sulla base di vendite record, la fama e altri parametri simili? Ovviamente, non è così, ma il capitale sottoculturale è una potente parte di status e di identità, e anche Bjork, nonostante la sua rottura di molte delle norme dell’ “underground”, ha avvertito ancora enorme pressione per evitare di essere classificata “sell-out” (o volgarmente “venduta”, come abbiamo precedentemente accennato), soprattutto nelle prime fasi di carriera. Nel 1994, il “mainstream” improvviso abbatutosi su di lei ha messo a dura prova la sua anarchica sensibilità “indie” e il suo sforzo di mantenere una certa identità. Nonostante certe affermazioni di disagio nei confronti della nuova condizione di “mainstream”, chiaramente, la pressione di non “vendere” è altrettanto forte, anche per colei che si pone oltre i confini. Come rileva Thornton, questo è insito nella filosofia “underground”, perché la logica del capitale sottoculturale, si rivela più chiaramente in quello a cui si oppone. È nota la risposta di Bjork in materia della collaborazione/relazione con Goldie nel 1995: “la gente mi chiede il motivo per cui sto sulla strada con Goldie e non capisco la domanda. Dovrei avere a che fare con quei cazzo di Camberries, o suonare con i REM? Non mi interessa “(cit. in Gittins 86).
Nel 2008 è stata chiamata alla nomination per il Grammy e le hanno chiesto se non significa nulla per lei. La risposta è stata : “Non lo so. Non mi preoccupo dei premi, ma non penso che potrei mai vincere un Grammy. […] Credo che probabilmente abbiano un po’ paura di me “(Bjork, Pitchfork, 1 feb 2008).
Il “mainstream” , certamente, è un mito riduttivo, un gusto popolare sul livello di Hollywood o della musica a livello di produzione aziendale.
Tali grandi imprenditori della musica devono cercare di rivolgersi al più ampio pubblico possibile e Björk è sempre una cosa complicata con la sua
stravaganza e originalità. Ad esempio, nonostante la CNN e Paolo Tatara nel 2000 affermino che le prestazioni di Bjork in “Dancer in the Dark “, meritino pienamente un Academy Award , sono comunque saltate le candidature. Bjork è stata eletta come migliore attrice , ma non ha vinto come migliore canzone, nell’unica categoria per la quale era stata nominata. Ovviamente, c’è ancora qualcosa di misterioso nel rapporto tra Bjork e la sfera della popolarità rappresentata dai media, tuttavia non è poi una faccenda così poco limpida, in quanto si identifica principalmente con lo stile “underground”, è semplicemente perché esige la piena libertà artistica oltre la sua musica, e quindi si prefigge di non produrre musica in sintonia con gli stereotipi del “mainstream”.
Si consideri il fatto che nel 1994, Madonna ha chiesto a Bjork una co-produzione quindi di scrivere delle canzoni per il suo disco successivo.
Bjork ha deciso di scrivere una sola canzone, il singolo“Bedtime Story”, che è stato per Madonna il primo posto in unaTop 40 dopo molti anni (Pytlik 83). Nonostante il nome di Madonna e la sua voce, dal punto di vista testuale e musicale, il brano non ha funzionato per il largo pubblico.
Non è certamente soprendente notare come Bjork, nonostante tutti i suoi successi, non sarà mai come popolare come potrebbe essere Madonna, ma questo sembra più il risultato del suo sperimentalismo musicale, che della sua etica musicale.
Oltre all’aspetto musicale, ciò che rende diversa Bjork da una famosa celebrità è che in lei non rappresenta totalmente una delle due sfere opposte (mainstream/underground), pur risultando un’artista valida e rispettata in
entrambi i mondi. Per Hebdige, la sottocultura può esprimere “una fondamentale tensione tra chi è al potere e tra quelli che sono condannati a una posizione subordinata e a una vita di seconda classe”(132). Bjork non vede una reale distinzione tra il “potere” che può rappresentare Madonna e qualcuno dei Bad Taste, collettiva a Reykjavik. La sua band, per esempio, è stata spesso composta da musicisti “underground”, come la tastierista Leila Arab ad esempio che per la prima volta ha sperimentato con Bjork l’esperienza di un tour da solista.
Nel 2001, il duo elettronico Matmos, facente parte della corrente dell’ ”underground” sperimentale, è stato invitato da Bjork a unirsi al suo tour di Vespertine.
Un componente dei Matmos ha detto, quando ha appreso la notizia, di non pensare che il suo gruppo fosse abbastanza professionale per un tour del genere.
Ragnheidur Gestadóttir giovane regista, nella realizzazione del suo primo film, un documentario sulla realizzazione dell’album “Medulla” di Bjork, è stato ugualmente complementare a lei: lavorare al suo primo progetto con qualcuno in modo generoso e coraggioso così come è successo, senza dubbio lo ha ispirato e gli ha permesso di essere sè stesso e di fare ciò che voleva.
È piuttosto insolito ottenere la massima libertà durante una collaborazione.
Nessuno, secondo quanto dice il regista, ha mai fornito istruzioni tanto precise o una cornice così esauriente del lavoro da svolgere e ritiene sia qualcosa di straordinario il fatto che ogni collaborante riconosce gli spazi dell’altro, rispettandone l’essenza.
La classe di Björk, come ritiene Hebdige, non ha mai permesso la nascita di particolari tensioni nel momento in cui “l’underground” ha incontrato il “mainstream”.
Thornton ritiene che lui e altri teorici hanno considerato la sottocultura, in modo riduttivo nella loro analisi. Nel libro di Hebdige, ogni riferimento al “sistema” della sottocultura, tocca più punti verso direzioni diverse, sviluppatasi secondo la sua teoria, come per “colpire” la “borghesia” la all’interno della storia.
La sottocultura si diffonde prevalentemente tra i giovani della classe operaia, come a voler rendere giustizia alla maggior parte dei giovani che sono stati lasciati fuori dal quadro sociale complessivo. Bjork non è chiaramente parte di entrambe le fronti delle categorie che Hebdige e altri teorici come Thornton cercano di imbastire.
Si è sicuramente arricchita, ha raggiunto la fama e un diffuso riconoscimento, ma ha mantenuto un certo margine per difendere la sua musica e si è rifiutata di far arrivare
a certi compromessi a cui invece sono arrivati i suoi colleghi musicisti, tuttavia è consapevole di come soldi e fama possono aiutare la sua musica.
Forse questa avversione per la fama è quello che ha permesso a Bjork di mantenere la sua musica mai datata ed unica. Shlomo, un collaboratore di Bjork, mette la sua musica in un’unica categoria e ritiene che molti artisti, anche a livello di fama pari di Bjork, spesso soffrono di dittatura musicale, gravano sul loro capo le maggiori case discografiche e questo si ripercute in modo disastroso, sul prodotto finale e si avverte che loro musica non è affatto autentica, questo non avviene con Bjork, che è molto responsabile della musica che produce. Tutto questo discorso non ha nulla a che fare con l’essere parte del “mainstream “ o dell’”underground”, è la capacità di comporre in libertà la musica che ama.
Come ha detto al giornalista Liz Evans nel 1994, “alla fine della giornata l’unica
cosa che può essere giusta o sbagliata nella musica è l’atteggiamento”.
La posizione di Bjork vede i confini tra stili musicali come molto arbitrari di fatto, perché l’infinito frazionamento e la categorizzazione di parti della musica parti, non hanno al suo centro, lo stesso materiale sonoro?
Come abbiamo visto, il sottoculturale capitale ha delle obbligazioni nei confronti della percezione del “mainstream”. Generalmente, la classificazione è un metodo fondamentale per queste sottoculture, in modo tale da marcare il confine tra di loro e tutto l’esterno. Dire che sono una parte della scena hardcore, per esempio, significa distinguere che non vi è un genere chiamato “hardcore-jungle” e, cosa più importante, si conoscono le norme riguardo a ciò che è o non è “hardcore-jungle”.
Un secondo motivo per identificare quel genere è che l’industria musicale utilizza questo parametro come strumento di marketing per individuare il suo pubblico.
Come sociologo e musicista, Keith Negus ha osservato che il genere è la base stessa di quasi tutte le decisioni di marketing che vengono prese presso le più importanti case discografiche. Finché ci saranno queste nette distinzioni nei pressi di generi musicali, la società continuerà ad avere dei chiari termini di riferimento.
Una terza ragione per la prevalenza del genere è che gli artisti, spesso creano musica con un genere già in mente. Infine, vi è il semplice fatto che le etichette discografiche cercano di creare un linguaggio comune all’interno di un genere, in modo tale che i fan e i critici possono comunicare la stessa cosa.
Questi sono tutti motivi validi per la categorizzazione, ma quando questo potrebbe diventare controproducente? Quando è stato chiesto una volta a Bjork quale sarebbe la sua band ideale, ha risposto che potrebbe essere un gruppo dalla mentalità aperta che considera musicalmente ogni possibilità, in modo tale da creare qualcosa di nuovo.
Si potrebbero utilizzare tranquillamente sassofoni, cucchiaini, drum machine, o qualsiasi cosa capace di comunicare un’idea, che si tratti di musica sperimentale, pop, o semplicemente una filastrocca . Eumir Deodato, arrangiatore prevalentemente di musica classica e musica orchestrale in genere, collabora proficuamente con Bjork, abbracciando questa tendenza lavorativa: se si guarda da vicino il suo materiale, quando e come lavora, si puà constatare che si riferisce a tutti i tipi di settori della musica. Deodato non è il solo a far parte di questa categoria. Thomas Knak, ricorda che la prima volta che ha incontrato Bjork, prima di collaborare con lei per “Vespertine”, hanno discusso su tutti i compositori dagli anni venti fino ad allora.
Drew Daniel dei Matmos è stato anche colpito dalla sua conoscenza musicale: “siamo stati con lei a Los Angeles, nella sua camera d’albergo e ha iniziato a rivestire il ruolo da DJ per noi con il suo piccolo impianto stereo, facendoci ascoltare i Cylob,i Tomita, gli Ensemble, gli Arovane, i Mortiis. Un gruppo dopo l’altro, un’esperienza senza dubbio molto eccitante.” (Pytlik 157).
L’originale musica elettronica del collaboratore, Graham Massey, ha affermato che è degna di nota. Bjork aveva notato la loro curiosità in comune per i diversi stili musicali, come se fossero entrambi degli archeologi della musica.
A tal proposito, ricordiamo il brano “Headphones” a lui dedicato.
Il fatto che tanti suoi musicisti coetanei hanno preso atto della sua mentalità aperta, di quella peculiare curiosità per la musica di tutti i generi, porta ad un punto importante: Björk non è la norma. La verità è che la proliferazione della categorizzazione di genere, anche se viene impiegata in certi ambiti, è comunque sempre oggetto di divisioni e diatribe poco chiare. A persone come Susan McClary, musicologo, molti generi che sono considerati come aventi nulla in comune, effettivamente provengono dalla stessa fonte. Nella musica popolare americana, per esempio, converge quella africani ed europea, ma anche generi come il blues, il jazz, che begat, il r & b, il rock’n’ roll, ecc McClary va ancora oltre a sottolineare che per quanto riguarda la maggior parte del ventesimo secolo, la musica, indipendentemente dal genere, condivide le stesse caratteristiche della ripetizione e del ritmo, inoltre essa deve la sua nascita a innumerevoli momenti di fermento creativo nel corso della storia, di strane corrispondenze tra sensibilità distanti, contributi a lungo ignorate le minoranze, e molto di più. (McClary 296).
In altre parole, la musica ha effettivamente aggregato le persone, mentre le categorie di genere inerenti al mondo delle sottoculture, hanno contribuito invece ad una separazione tra le persone.
Per Bjork, Massey e Knak, questo avviene nella modalità in ci si riferisce a persone provenienti dallo stesso ambito, essi certamente sono in sintonia con la musica del teorico Ola Stockfelt che “gli stessi ascoltatori hanno la competenza di utilizzare quello stesso tipo di musica in una varietà di modi diversi in diverse situazioni” (Stockfelt 89). Massey ricorda che nella sua prima collaborazione con Bjork degli State 808, dove lei è stata molto coraggiosa a sperimentare in questa specifica situazione, in una band che si rivela tendenzialmente techno.
Bjork in particolare ha impressionato Massey con il suo jazz -scatting, non solo perché ha dimostrato che non era solo del pop techno, ma perché è stata la scelta perfetta per quella musica. Ci sono stati dei cantanti che hanno cercato di forzare il testo e la struttura della canzone più verso l’ambito pop, mentre Bjork ha sempre attinto ad un’ampia tavolozza musicale che ha consentito per il suo lavoro, una struttura più aperta. Allo stesso modo, è stato il produttore Nellee Hooper ad esprimere la volontà di trascendere il genere che ha originariamente Bjork ha esibito verso di lui e così ha portato alla loro collaborazione in materia di “Debut” e “Post”, rivelandosi un’esperienza davvero stimolante. Non tutti gli uomini sono così accondiscendenti verso questo spirito di apertura. Simon Reynolds avverte che la dissoluzione dei confini tra i generi tende ad erodere proprio ciò che li rende diversi e distinti e disabilita la funzione di distinguerli un modo specifico.
Tuttavia, la critica di Reynold è raccontare ciò che è veramente importante per lui, quando i confini di genere sono contestati, come nel sottoculturale capitale.
Spooky, che è noto per il suo tendenziale attraversamento stilistico dei confini, analizza il compito di Reynolds per il suo nomadismo culturale, avverte come una certa riluttanza ad essere ammanettati alle radici, un impegno a non essere impegnati.
Reynolds, quindi, sembra nutra un interesse a favore della subcultura, verso la sua musica, le sue regole e le funzionalità sono più importanti di ogni ramificazione.
La nuova e unica musica ignora i confini, il sottoculturale capitale supera la musica stessa.
Quando i puristi tracciano questo tipo di linee, tra ciò che costituisce la musica considerata propriamente corretta nello stile e quella considerata corretta nella modalità di ascolto, il risultato finale è che si perde la possibilità di riunire le due tipologie di fruitori. Ironia della sorte, ciò è anche in contraddizione con il fatto che la maggior parte delle sottoculture, vedono persino i loro stessi componenti come emarginati.
Bourdieu ricorda che l’atto di dare particolare valore culturale sia per i testi che per gli oggetti, richiede l’esercizio delle competenze di giudizio estetico, rispetto a quelli in cerca di espressione per il loro status e l’adempimento attraverso la competenza culturale. Il risultato di questo stato ricerca il giudizio estetico nelle sottoculture che, considerate o no emarginate, in realtà finiscono esclusi da ogni genere, confini e regole. Il giornalista Evelyn McDonnell aggiunge che la musica di compositori come Bjork, contribuisce a creare ulteriori divisioni.
A volte si sostituisce la descrizione con la coscrizione, con variazioni di etichette, quindi applicare pesantemente degli stereotipi: Bjork viene designata come un’ islandese con caratteristiche Inuit. Il filosofo e teorico Lambert Zuidervaart osserva che se gli artisti non hanno bisogno di insistere sulla specificità della propria identità culturale, allora si avranno più opportunità per allineare gli sforzi artistici con una visione maggiormente positiva della libertà, ovvero la libertà di comporre la musica liberamente e ciò è estremamente importante per Bjork: “voglio che ogni giorno cose nuove. . .un mese suono jazz con un sacco di gente, sei mesi più tardi, sto lavorando da sola con i computer ed i sintetizzatori, quindi sono una cantante in un gruppo…“(cit. in Evans 89). Il giornalista Alex Ross ha potuto constatare in prima persona come fosse importante questa libertà di genere per Bjork nel processo creativo.
In studio, lei e l’ingegnere Mark “Spike” Stent nel 2004, durante una sessione di missaggio per “Medúlla”, ha osservato il tentativo di Stent per arrivare a capire il suono che stava cercando: lui ha usato un clip del pop di Justin Timberlake seguito direttamente da un clip del compositore tedesco d’avanguardia Karlheinz Stockhausen, insomma un pò di Justin e un po’ di Karlheinz, ma non stiamo parlando
di “world music”, non di pop, non d’avanguardia, non di classica, non di musica sacra.
Bjork opta per un linguaggio che permette di trasmettere emotivamente ai suoi collaboratori la stessa libertà di genere e i quei vincoli che vengono da lei considerati la medesima cosa.
Per quanto riguarda “I Miss You”, per esempio, Bjork ha detto al produttore
Howie B, che pensava di ottenere “un brano energico, fisico”.
Sapeva che sarebbe stata completamente , ed è questa la libertà di esprimersi pienamente che ha attirato molti di collaboratori a lei ed è l’insistenza di Björk a lavorare al di fuori delle categorie di genere che ha permesso di lavorare con musicisti e artisti di ampie frequenze. Il produttore hip-hop dell’ RZA constata che una grossa quantità di persone ha paura a volte di gravitare intorno a loro, ma
Bjork è incurante ed è per questo motivo che ogni collaborazione con diversi tipi di musicisti provenienti da diverse parti del mondo, ha prodotto soddisfacenti risultati, seguendo una determinata logica in modo coerente.
Bjork è un ottimo esempio di come diversi gruppi musicali possano lavorare produttivamente insieme.Per il tour di Debut del 1993-1994, nella sua formazione figurano: un indiano, ovvero Talvin Singh per quanto riguarda le percussioni, Brit Guy Sigsworth per la programmazione, l’iraniana Leila Arab alle tastiere, Brit Dan Lipman al sassofono, al flauto e ad altri strumenti, Ike Leo dei Caraibi al basso e il batterista turco Tansa Omar. Per le performance relative all’ MTV Unplugged del 1994, ha aggiunto il sassofonista Oliver Lake, l’arpista Corky Hale, il percussionista sperimentale Evelyn Glennie. Si trattava di eseguire gli stessi brani acusticamente, scomponendoli quindi totalmente nell’arrangiamento. Per lei lungo il tour di “Post”, il gruppo si è sfoltito e si è trasformato in una formazione puramente piu’ elettronica, utilizzando soprattutto programmatori , ha quindi aumentato il numero di elementi “techno” con la sorprendente aggiunta del fisarmonicista giapponese Yasuhiro “Coba” Kobayashi, Sigsworth all’organo e il batterista Trevor Morais. Più tardi, i tour furono caratterizzati dalla combinazione di suonatori da fanfara con strumentisti elettronici e addetti a computer portatili. Trascendendo i confini di genere, Bjork ha fatto ciò che gli studiosi come McClary
hanno tanto dimostrato, ovvero che la musica ha il potenziale per portare la gente ad un vasto insieme geografico e culturale. Per Bjork, è forse un’idea quasi scontata la necessità di rimanere liberi, piuttosto che seguire qualsiasi sforzo per inseguire una certa utopia: “odio quando le persone cercano di classificare la mia musica e mi irrita quando la gente cerca di separare la musica dance dalla musica pop”. Per quanto riguarda la musica dance, dobbiamo tenere presente l’idea di immediatezza dal punto di vista percettivo, mentre per quanto riguarda la musica pop, si associa al concetto di “grave”, ovvere deve essere orientata verso un lirismo più riflessivo.
L’obiettivo finale di Bjork è quello di sperimentare tutte le combinazioni possibili ed inoltre categorizzare tutte le persone che amano la sua musica “personale” ed inimitabile.
Questioni sul femminismo e sulla femminilità
Il termine “femminista” è una parola diffusa, con significati molto diversi.
Alcuni la impiegano per indicare qualcuno che crede nella parità tra uomini e donne, in termini di diritti, per capire la complessità che circonda il femminismo, bisogna prima definire che cosa sia maschile e femminile nei ruoli tradizionali di genere.
L’uguaglianza di genere è più spesso considerata come un ruolo sociale
piuttosto che come facente parte del sesso in termini biologici.
Nella nostra società, è stato storicamente “normale” per gli uomini esporre
caratteristiche “maschili” come la durezza, l’aggressività, la distanza emotiva, la razionalità, ecc, mentre le donne esponevano i tratti “femminili” che sono essenzialmente il contrario, ovvero l’emotività, il romanticismo, la passività, la
fragilità,ecc. Accanto a queste caratteristiche di riferimenti visivi: classica distinzione cromatica che associa il blu agli uomini e il rosa alle donne.
Queste schematizzazioni si applicano anche alle attività quotidiane e lavorative:
gli uomini sono tradizionalmente associati con il commercio e gli affari, le donne con
la casa e la famiglia, gli uomini sono interessati alla meccanica e alla tecnologia, le donne alla letteratura e al giardinaggio, gli uomini sono presumibilmente ingordi di sesso, mentre le donne dovrebbero essere selettive, in merito ai loro partner e così via. Oltre a questi ruoli, ci sono anche le gerarchie, nella maggior parte dei casi, gli uomini sono stati in cima a queste. Le donne hanno dovuto lottare per ottere i diritti liberamente dati agli uomini, come il diritto di voto, il diritto di lavorare fuori casa, il diritto alla parità di retribuzione, il diritto di abortire aborto, il diritto di essere considerato un individuo (piuttosto che proprietà del marito o del padre) e il diritto di essere prese sul serio per gli stessi tipi di posti di lavoro come gli uomini.
Tradizionalmente, i ruoli di genere maschile sono stati percepiti come positivi e lodevoli, mentre i ruoli femminili sono stati derisi da i loro opposti.
Le donne non venivano considerate adatte per la società al di fuori dell’ambito molto ristretto della casa,della famiglia, della sfera sessuale.
Come sottolineato da studiosi come la femminista Estelle B, Freedman e Ann Brooks, il femminismo, prende vita come una resistenza a questa disuguaglianza e si è sviluppato attraverso tre fasi generalmente convenute nella storia.
È la differenza tra queste fasi e la sovrapposizione tra loro, in parte, che ha
istituito confusione per quanto riguarda la definizione che sancisce che cosa esattamente è o non è una femminista oggi.
Le prime ondate di femministe sono spesso descritte come le prime lotte delle donne per ottenere la parità in politica con gli uomini. Possiamo sancire un inizio nella Convenzione di Seneca Falls del 1848, dove Elizabeth Cady Stanton e altre donne hanno chiesto la fine, attraverso ordinamenti giuridici e politici, delle usurpazioni da parte dell’uomo verso la donna.
Le seconde ondate femministe sono generalmente descritte come quelle del tardo 1960 e del 1970 che hanno lottato maggiormente per cambiare i ruoli femminili tradizionali, in particolare il loro ruolo delle madri e delle casalinghe.
Hanno insistito sul fatto che le donne potrebbero essere altrettanto efficaci quanto gli uomini, tradizionalmente dominate dagli uomini ed escluse da molte occupazioni.
La terza ondata femminista si colloca nel 1990, anche se a questa non viene data molta importanza. Queste femministe credono che le donne dovrebbero contremplare il ruolo tradizionale femminile e considerarlo altrettanto importante rispetto a quello maschile e quindi reclamare i simboli del potere e dell’orgoglio.
Un altro gruppo, spesso etichettato anch’esso come terza ondata femministe, vuole mettere in discussione l’identità politica in primo luogo, tendendo di utilizzare la teoria che critica le idee di sesso e genere nella nostra società.
Inoltre, vi sono stati importanti movimenti tra donne di colore e lesbiche ad esempio. Le divergenze tra i diversi feminismi hanno creato ad alcuni livelli, scismi condiderevoli. La più intensa e reazionaria forma di tale dibattito, pur chiarendo i termini del femminismo, ha anche contribuito a creare etichette rigide che hanno portato a confusione ideologica.
Bjork, essendo una donna, spesso si è trovata costretta a navigare in questi controversi confini, ma non si è curata troppo di queste disquisizioni e polemiche, anche perchè il suo rapporto con la femminilità è complesso, essendo maschile e femminile al tempo stesso, sessuale ed asessuale, ragazza e donna.
Si è posta fortemente a favore della difesa della donna, mentre al tempo stesso ha accuratamente evitato l’etichetta femminista, condiderando anche la sua condizione di mamma con due figli, nonché superstar internazionale e icona della moda.
La linea di fondo è che Bjork ha scolpito la sua versione propria di femminilità, saltando liberamente la polarità acquisita e in un certo senso è diventata così l’ultima
femminista: si rifiuta di essere oggetto di questa classificazione e mette in discussione l’identità politica in primo luogo; quindi la definizione di per sé, significa essere donna ed essere una donna. Ancora una volta si è mossa tra le linee del post-moderno, sfumando i confini sociali percepiti e mettendo in discussione le gerarchie, tuttavia, risulta essere perfettamente una splendida icona femminista, anche se rifiuta di esserlo.
Nonostante il fatto che Bjork sia stata una forte celebrità, indipendente, innovativa e femminile e il suo rapporto con il movimento femminista è stato tutt’altro che agevole.
Una delle caratteristiche della tradizionale femminilità è stata un forte interesse nel campo della moda e del mondo esteriore. Non sorprende, quindi, che la moda è stato il pomo della discordia della disquisizione a cui abbiamo accennato fin’ora.
Per molte femministe degli anni Settanta, ritenevano che la moda tradizionale delle donne, vale a dire il trucco, vestiti, tacchi alti, gioielli, ecc è stata qualcosa associabile a un certo desiderio di fuga, hanno visto in questa come una funzione di patriarcato, come un interesse per attrarre gli uomini e quindi contribuire a diventare oggetti sessuali. Questo non sminuisce la sua immagine di donna di moda che non è in contrasto con il suo essere un’icona femminista.
Corrispondenze tra il bello e il popolare
Una canzone di Bjork potrebbe stare accanto a un brano di Schubert.
Paul Cassidy è dell’opinione che non c’è alcuna differenza qualitativa.
Che cos’è la cultura? Il termine viene spesso utilizzato, ma raramente definito e ciò dipende anche da chi viene posto tale quesito.
Ad esempio, nel 1882, il poeta britannico e critico culturale Matthew Arnold, nel suo lavoro sulla cultura e sull’anarchia, ha definito la cultura come “la migliore che sia stata pensata e detta nel mondo”. Mentre nel ventesimo secolo, il critico letterario britannico F.R. Leavis, ritiene che almeno lui sapeva ciò che non è stato il meglio, ovvero la cultura della “civiltà di massa”. Leavis ha proposto la tesi secondo cui vi sono stati due tipi di cultura, una “di minoranza” o “alta cultura” oppure “civiltà di massa” o “bassa cultura”. Chiaramente, ciò ha avuto una forte distinzione relativamente alla classe, alla razza, al genere e a dei pregiudizi.
Per Horkheimer e Adorno, nel settore della cultura (vale a dire la cultura popolare), il divertimento diventa un ideale.
Nel 1950, lo studioso britannico Richard Hoggart, ha parlato di una “autentica” cultura della classe operaia, che non ha valore, ma che è stata considerata (in modo dispregiativo), facente parte della cultura popolare. Hoggart si può collegare a Raymond Williams che poi è andato oltre, individuando che la cultura è stata non solo semplicemente “la migliore” di una società, ma che in tutte le società dove si produce, può anche significare un modo di vita, non solo l’arte o la letteratura, ma le attività quotidiane di sopravvivenza. Questa distinzione, tra l’arte alta e l’arte bassa è senza dubbio ancora nella mente del pubblico, nonostante l’ampliamento della definizione di cultura fornita da Williams e l’aumento di interesse per lo studio della cultura popolare. Quando si dice “Arte” nella società occidentale, di solito ci si riferisce ad una forma tradizionale occidentale, come musica classica, musica sinfonica, opere, dipinti rinascimentali, scultura greca, ecc.
Consideriamo i due termini “Folk” o “Pop” nell’arte che spesso fanno riferimento a l’arte del “popolo” e di consumo, arte acquistata o venduta per scopi di divertimento e di evasione. In questo caso il virtuosismo non è così importante, ciò che conta è il
funzionalismo della tecnica, l’unicita’ di cio’ che si produce. Nel mondo della musica, questa distinzione tra arte e arte popolare è estremamente chiara, anche se cambia nel corso del tempo. La musica classica sinfonica, quella lirica e quella da camera sono stati a lungo i bastioni della musica “alta” , mentre il jazz, una volta considerata da Adorno ed Horkheimer come spazzatura per il cervello, ma recentemente è un tipo di musica passata ad opposta considerazione.
La musica rock, il rhythm and blues e tutti i derivati di questi stili e forme non hanno ovviamente la stessa reputazione. Basti guardare ai corsi di studi universitari offerti in qualsiasi scuola di musica per rendersi conto che la musica classica e jazz sono inserite nel versante “serio”, mentre le altre forme musicali sono piu’ relegate nel campo dell’etnomusicologia, nello studio dei media oppure riguardo gli studi di cultura popolare. Gruppi rock come Emerson, Lake, e Palmer o gruppi come Weather Report e Mahavishnu Orchestra, sono stati spesso considerati troppo arroganti dai fan del rock e troppo “amatoriali” dagli intenditori d’arte.
Entrambe le parti hanno subito questo processo di fusione all’arte popolare, una musica oggetto di forti dispute da entrambi i lati.
Nel caso della musica popolare, molti studiosi, critici, artisti e appassionati hanno abbracciato questo concetto dei “binari” e sono giunti alla conclusione che ciò che vedono come musica popolare e “populista” , senza la pretesa di radici.
Hebdige offre una breve versione di questo punto di vista quando afferma
che il genere della “garage band” potrebbe rinunciare a pretese musicali.
Per Hebdige ed altri che celebrano il genere punk e l’etica del garage band, l’arte del rock è sentito come qualcosa di lontano, cosi’ come la musica classica è meglio lasciarla ai conservatori.
All’interno della precedente discussione riguardante la musica popolare, Bjork, si interisce perfettamente ancora una volta in questo contesto e a tal proposito rifiuta di riconoscere questa opposizione “binaria” tra musica colta e pop.
Tornando al concetto che vede Bjork come “postmoderna”, ovvero un personaggio che può inglobare mondi apparentemente disparati, lo studioso Nigel Wheale osserva che “uno dei modi con cui l’arte postmoderna rimuove le barriere culturali è
con l’introduzione di temi e immagini di massa, popolari, insieme al prestigio del consumatore di usufruire dell’alta cultura, come la letteratura e le belle arti” (Wheale 34). Bjork ha ripreso questa idea, rielaborandola, sfruttando moltissimo gli schemi della musica popolare per poi stravolgere ogni dettame compositivo prestabilito.
Un aspetto fondamentale di Bjork riguardante la sua capacità di fusione è che non ha la pretesa di ottenere a tutti i costi la da dignità riconosciuta alla musica classica.
Per Bjork, la musica è migliore è quella che impegna a livello emozionale, mentre molti critici hanno sostenuto che vi è una mancanza di emozioni nella musica classica, ma Bjork non è d’accordo. Si oppone probabilmente perché ha iniziato gli studi in una scuola di musica in giovanissima età, dispone quindi di una formazione prettamente classica. Björk è decisamente critica nei confronti della rigidità della formazione classica, ma non disdegna memorizzarne intere e numerose opere.
È questa capacità di vedere la musica al di fuori di queste distinzioni alte e basse che risulta naturale per Bjork, al fine di integrare l’arte alta alla musica pop.
Essa rileva che ha iniziato questo processo sin dalla più tenera età a causa della sua permanenza in più ambienti e avendo a che fare con diverse sensibilità musicali.
Il suo attegiamento è sempre quello di aprire la mente di qualcuno: i suoi genitori non facevano che ascoltare molto Janis Joplin e Jimi Hendrix, pensando che il resto fosse musica non valida e la stessa cosa si pensa nelle scuole di musica classica.
La tendenza è quindi di centralizzare il tipo di musica con cui si ha familiarità ed escludere tutto il resto, per Bjork è sempre sembrato naturale far coesistere questi mondi nella sua musica. Fin dall’inizio della sua carriera da solista, risulta facile notare il gusto di Bjork costante nell’affinare le sfumature all’interno del pop.
Quando ha incontrato per la prima volta Massey e ha ascoltato il pezzo degli 808 States, Björk rimase sorpresa dalla loro demo. Ne segue che le prime versioni strumentali di “Airplane” e “The Anchor Song “, che sono state realizzate da studenti di musica islandese, impiegando una tromba, un trombone e due sassofoni.
Il giornalista Ross, che ha scritto ampiamente sulla musica classica, è stato sorpreso dalla voce di Bjork, dicendo come la maggior parte delle cantanti liriche, Bjork combina precisione esecutiva alla capacità di esprire emozioni intense.
Bjork ha ritenuto che l’arpista Zeena Parkins rispecchiasse esattamente le esigenze espressive da lei ricercate.
Per il tour “Homogenic”, ha riunito l’islandese Stringa Ottetto e il programmatore Mark Bell, per il tour di “Vespertine”, dunque la sua band è composta da una completa orchestra (condotta da Simon Lee), formata dall’arpista Zeena Parkins, dal duo “electro” Matmos e di un coro amatoriale di donne Inuit della Groenlandia, che ha raccolto tramite un annuncio in dei negozi di generi alimentare, mentre era in vacanza lì. Con “Selmasongs”, ha scritto un album di jazz tendente al “musical” che comprendeva battiti elettronici creati da Bell e la voce del cantante dei Radiohead Thom Yorke. “It’s Oh So Quiet” è uno dei pochissimi jazz standard degli anni quaranta ad ottenere un videoclip su MTV in vasta rotazione.
Naturalmente, la maggior parte dei musicisti non si trovano a loro agio a metà tra il pop e la mentalità da conservatorio, il che significa che Bjork deve essere in grado di comunicare con tutti loro in un linguaggio musicale ampiamente comprensibile. Fortunatamente, grazie al fatto di essere apprezzata da entrambi i mondi, questa è qualcosa che rende più facile l’impresa.
Il pianista Meredith Monk, nel 2004 ha spiegato in una intervista che grazie agli sforzi dei musicisti, si trova a suo agio, adattandosi ad ogni personalita’ musicale.
Durante la realizzazione di “Vespertine”, accennando al suo sostegno durante il tour, ricorda ad esempio, Bjork che ride dicendo di voler essere in piedi di fronte a un’orchestra chiedendo se poteva suonare con piu intensita una data misura, oppure una data sezione del brano, esigendo un suono che si avvicinasse ai mirtilli.
Martin Schmidt dei Matmos, nel frattempo, non era inizialmente sicuro dell’intero esperimento, rifletteva sul fatto che l’orchestra con cui stava lavorando, aveva una sessantina di musicisti di formazione classica, mentre qualche altro componente era in grado di suonare a stento la chitarra. Si può solo immaginare come deve essere stato bizarro quell’esperimento, così per le donne Inuit che hanno risposto all’annuncio in negozio. La cosa più incredibile della carriera di Bjork è forse il suo strordinario successo riscontrato, nonostante la sua estraneità a categorizzazioni che che riguardano il “mainstream” e l’“underground”, il suo completo disprezzo per i confini, tra i generi e tra i concetti di alta e bassa arte.
Come abbiamo visto, questi binari hanno un enorme effetto su tutti i livelli del processo musicale, l’industria, i media, il pubblico: questi concetti sono spesso presi come verità assolute. Come conseguenza, ci si aspetterebbe un percorso difficile per coloro che desiderano segnalare la falsità di questi assiomi.
Il violinista Paul Cassidy ritiene che potrebbe essere eccitante che Bjork ha trasferito la musica pop in un’intera nuova dimensione perchè non è di tutti la mentalità aperta negli artisti di sperimentare con le forme (Cassidy 53).
Il Filosofo Zuidervaart Lambert ritiene che coloro che sperimentano forme preesistenti, dovrebbero essere lodati piuttosto che criticati: “se l’arte non è imbrigliata a una logica del progresso storico e se gli artisti non fanno niente per difendere la purezza delle proprie tradizioni, allora il processo di creazione e di godere delle arti diventa aperto a molte voci, con molti passati
e molti possibili scenari futuri”.
Per Zuidervaart e altri critici come Reynolds, questo processo sembra bloccato in
un atteggiamento difensivo e reazionario che serve solo a limitare le possibilità musicali.
In questo clima di difesa, sembra che l’autore e critico musicale Marco Pytlik è
corretto quando punta a Bjork come una delle poche populiste sperimentali a livello sperimentale.
In qualche modo, Bjork è riuscita a sperimentare continuamente .
Ha mantenuto sempre viva la sua sfida, conservando l’appoggio dei sostenitori e continuando a vendere i dischi nonostante ogni nuovo cambio di direzione.
Sperimentare quindi non è mai un rischio, ma una necessità fondamentale.
Il suo approccio alla musica è stato sperimentale fin dalla sua infanzia.
Sulla base di suoni provenienti da una macchina di popcorn, ha composto delle battute musicali, oppure utilizzando il suono del russare del nonno.
Bjork dice che è la musica sperimentale che ha ispirato il suo spirito di ascoltatrice.
“Penso che su tutti gli album che ho trovato nei negozi di seconda mano, non erano propriamente famosi quando sono usciti, ma hanno totalmente salvato la mia vita”. (Ross; Ali e Björk 64). A differenza delle opere di altri sperimentatori come Mos Def dei Black Jack Johnson project o Neil Young, che sono stati fortemente criticati in generale da parte dei media, abbandonati dai fan o soffocati dalle etichette discografiche, la musica di Bjork ha ricevuto una schiacciante risposta positiva da parte dei contemporanei. A Bjork bisogna riconoscere la sua capacità di amalgamare interamente il coraggio della sua complessa identita’ al rapporto equilibrato con gli altri collaboratori, cosi osserva il giornalista Neil Drumming.
Graham Massey è colpito dal suo coraggio, sostenendo che è una delle poche artiste capace di attribuirsi simili rischi. Nonostante fosse stata facilitata dal far parte del circuito Mtv e conseguentemente dall’incarnazione di icona pop, ha cercato sempre di seguire successivamente strade non facili, contrastanti con i percorsi precedentemente seguiti. Il percussionista Evelyn Glennie ama lavorare con Björk “perché è disposta a provare qualsiasi cosa ed è sempre pronta a vedere che cosa viene fuori di questo esperimento”(Glennie 56).
A volte, con i collaboratori, lancia delle sfide nel tentativo di comporre più tradizionalmente, Drew Daniel dei Matmos ricorda la sfida di lavorare sul materiale per “Vespertine” . Il collaboratore Martin Schmidt osservava in proposito che non avevano mai affrontato certe stutture piuttosto inusuali e non potevano fare altro che constatare la sensazione di non familiarità nell’affrontare un certo tipo di elementi musicali.
Tuttavia si è complimentato, ha lodato e rispettato la sua indipendenza artistica, non è sempre facile agire all’interno della prudenza. A tal proposito uno dei problemi da affrontare, sono i costi nel mondo dell’industria musicale, Björk utilizza spesso un esempio per mostrare come le sue case discografiche non sempre hanno gli stessi suoi obiettivi o motivazioni.
“Quando vai a occhi bendati verso l’ignoto e sei stato in una missione dove il mondo ha bisogno di nuova musica e che hai sperimentato con tutti i tipi di persone e hai vissuto questa eccellente avventura, dedicando tutta te stessa alla composizione per dieci anni e avendo a che fare con certe persone sono capaci di dire : “oh, dimentica tutto ciò che hai sempre fatto. L’unica cosa che vale la pena è “It’s Oh So Quiet”. ”
(Cit. in Pytlik 184)
Il regista Michel Gondry, un collaboratore di lunga data di Bjork, ha avuto fin troppa
familiarità con tali reazioni da parte dei membri del settore quando ha incontrato per la prima volta Bjork. Gondry ha avuto esperienza di pochi anni nel campo dei videoclip per conto dell’etichetta di grandi artisti pop come Lenny Kravitz, ad esempio, ma è stato sempre frustrato perché nelle sue opere, a causa delle case discografiche, la sua essenza artistica non è rimasta molto impressa.
Egli afferma che Bjork è stata la prima pop star con cui aveva lavorato con piacere e con cui ha potuto godere di notevole libertà.
Quando le aveva proposto lo storyboard a lei, ha accolto la proposta con molto entusiasmo, reazione inaspettata, grazie a queste condizione, constatiamo come il suo video per “Human Behavior” è diventato immensamente popolare e non poteva non nutrire gratitudine nei suoi confronti. Gondry ha diretto anche molti altri video di Bjork.
Mentre è chiaro che Bjork ha avuto successo come “populista sperimentalista”, ed ha
ha aiutato gli altri (come Gondry) ad acquisire maggiore autonomia nel settore della musica, la questione ancora rimane: perché lei ha avuto cosi tanto successo, mentre altri gruppi con gli stessi principi, che abbracciano vagamente la stessa mistura di “generi”, sono stati relegati a una piccola nicchia di mercato?
Il sociologo Keith Negus rileva che ciò è dovuto al fatto che spesso, una grande etichetta conserverà alcuni artisti che hanno insita una certa spinta creativa, come
mezzi per attrarre grandi nomi. Bjork, quindi, potrebbe essere utilizzata dall’Elektra come un esempio di come aprire il marchio verso la sperimentazione.
Un altro possibile motivo potrebbe semplicemente essere che Bjork è un’artista di sconfinato talento e, come tale, può utilizzare il suo genio a ritagliarsi spazi all’interno del settore che gli altri con meno talento non potevano.
Negus osserva che, mentre il talento è un innegabile fattore importante per il successo di un artista, è più realistico di guardare le condizioni in cui le persone saranno avanti nel proprio percorso e quindi in grado di realizzare ulteriormente il loro talento “, che tiene conto di un più ampio rapporto tra talento, etichetta discografica, e certamente un po’ di fortuna . Al di là della fortuna e del talento, una possibilità è quella che Bjork non vede realmente una differenza tra musica pop e musica sperimentale e dato che per lei sono la stessa cosa, il suo lavoro di sperimentazione risulta più naturale.
Esaminando il suo album “Medúlla” , abbiamo il reale ed automatico offuscamento del pop sperimentale ad opera di Bjork. Questo album è stato una risposta politica da parte di Bjork nei confronti dell’amministrazione reazionaria di Bush, collegata anche al momento personale che stava attraversando, legato al proprio corpo, e la potenza di esso per la fornitura di vita nuova.
Una figlia da Matthew Barney alla fine del 2002, come sappiamo.
La combinazione del potere del corpo femminile, della fisicità in generale, della sua rabbia, sono concetti utilizzati dagli americani per utilizzare la religione come
retorica di guerra.
Tutto ciò ha ispirato il suo concentrarsi a un ritorno verso il corpo fisico, al fine di sfuggire agli effetti negativi della politica e della religione nel mondo moderno.
Dopo le prime stesure del lavoro globale, ha iniziato a pianificare un sistema per tornare a riflettere sul fatto che la magia e la semplicità del corpo umano, in modo tale da decidere di comporre l’intero lavoro soltanto utilizzando la voce.
Bjork aveva previsto l’album come un progetto organico e popolare che ha messo al centro l’uomo e il corpo, in questo caso, simboleggiato dalla voce.
I prodotti della voce, sono stati utilizzati, non solo per la melodia e per l’armonia, ma per tutte le sezioni ritmiche e altri intrecci di tipo sonoro.
Ha ingaggiato una varietà di specialisti della voce, capaci di portare la sua visione di vita: lo sperimentale roccheggiare di Mike Patton, lo stile hip-hop di Rahzel, il giapponese uomo-banda Dokaka, la cantante di gola Inuit Tagaq, un coro islandese, e un coro di Londra, per citarne solo alcuni. La reazione dei media è stata quella di considerare l’album come l’opera più sperimentale e di grande distacco rispetto a quello che aveva fatto in precedenza. Bjork ricorda molti scetticismi che inquadrarono il suo futuro lavoro come un’orribile esperenzia alla Yoko Ono, ma ha voluto dimostrare che un album vocale non deve essere necessariamente per pochi eletti. Björk è stata fraintesa dai media che insistevano nell’idea che l’album sarebbe stato una sorta di metodica avanguardia, come un lavoro di Arnold Schoenberg . Quando “Medúlla” è uscito, è stato lodato sia da una copiosa schiera di fan, sia dai critici, allo stesso tempo anche da musicologi e dai docenti universitari che sono stati affascinati dal virtuosismo e dall’originalità dovuta alle modalità di registrazione.
Il pianoforte in un’unica traccia, è l’unico strumento impiegato nel disco. Se con questo lavoro, ha acquistito molti nuovi sostenitori, altri non riuscivano a trovare un collegamento con il percorso precedentemente seguito. La cosa più interessante di questa reazione è quella di Bjork che considera “Medulla” come qualcosa di più di un semplice esperimento di registrazione folk, sottolineando che la propria musica è rivolta a tutti e non soltanto a persone istruite. Alcuni hanno addirittura sostenuto che lei aveva lasciato il pop e la dance alle spalle, ma è chiaro quando la compositrice si rifiuta di distinguere ciò che è pop da ciò che non lo è. Pop: il significato della parola viene da “popolo”, “persone”. Niente è più popolare della voce, un elemento che tutti possediamo e che ci rende tutti partecipi. Il materialismo ha distorto pesantemente questo termine con “ciò che è vendibile” e non ciò che e’ del popolo. (Bjork, Drownedinsound.com). Bjork sembra di sentire la necessità di un equilibrio tra il popolare e lo sperimentale. Lamenta, infatti, come la musica pop fosse diventata così stagnante. Per Bjork, “pop” non si traduce semplicemente in essere popolare, ma significa che la musica è apprezzata da una grande varietà di persone. Bjork si rende conto che essere etichettata come strana, eccentriche, sperimentale e allo stesso tempo continuare ad essere una grande pop star capace di registrare vendite record, è un dono che pochi hanno ricevuto. Concludendo, la trascendenza di Bjork blocca concetti come genere, mainstream, “underground”, arte alta e arte bassa, pop, musica sperimentale .Tutto ciò ha permesso di creare la propria identità ben connotata, un mondo in cui la musica può unire le persone piuttosto che dividerle in opposti distinti.
Come si continuerà a vedere nei prossimi capitoli, Bjork ha solo un obiettivo: essere libera di esprimere se stessa
Bjork e il cinema
Bjork non è un’attrice.
In questa affermazione, possiamo condensare tutta l’essenza di questo paragrafo.
Il primo periodo non ha valenza oggettiva perché di fatto l’Artista, sin da piccola, ha dato prova di non disprezzabili attitudini all’arte del recitare.
Sarebbe più corretto affermare che queste attitudini non hanno mai ricevuto un’importanza tale dall’Artista stessa, da trasformarla in un’attrice professionista, per questo motivo il periodo che apre questo paragrafo può essere ricondotto all’auto-coscienza di Bjork che rifiuta l’idea che la assimila ad atti recitativi. L’idea di recitare non le sembrava naturale, non quanto la musica perlomeno.
Il suo essere attrice in piccole parentesi artistiche della sua vita, la porta a diventare il personaggio che si prefigge di restituire allo schermo.
Sin da piccola, l’Artista ha contatti con il cinema, prende parte al film “Juniper Tree”.
“The Juniper Tree” (“L’albero di ginepro”) è basato su di una storia dei fratelli Grimm.
Il film venne girato in Islanda nel 1990 in bianco e nero e recitato in inglese.
La storia parla di due sorelle che posseggono poteri magici. Björk interpreta il ruolo della sorella più giovane Margit, la strega buona. Le due sorelle sono costrette a scappare perché la loro madre è stata bruciata sul rogo e loro rischiano di essere le prossime. Nella loro fuga incontrano una famiglia in cui la madre era morta e la sorella maggiore inizia ad interessarsi al padre. Ma l’orfanello con l’aiuto dei poteri di Margit riesce a parlare con la madre defunta. La sorella maggiore di Margit sentendosi in pericolo gettò il bambino giù per una scarpata ma il bimbo torna sotto forma di corvo e Margit riesce a mostrare le azione malvagie della sorella mandando su tutte le furie il futuro consorte, e così…[6]
Dobbiamo precisare che Bjork prende costantemente i panni dell’attrice ogni qualvolta partecipa ad un videoclip, trasmettendo la sua fisicità e il suo incontenibile carisma, attraverso la sua mimica. Proprio da queste indiscutibili doti, l’enfant terribile del cinema indipendente, il regista danese Las Von Trier, fu rapito e si convinse che Bjork era ciò che stava cercando e nessun ’ altra potesse essere l’attrice protagonista.
L’alto tasso di emotività e la sincera fascinazione per la musica di Selma suggerirono a qualcuno che Bjork sarebbe stata adatta alla parte.
Anche se non aveva molta esperienza come attrice di lungometraggi, quelli della comunità di Von Trier che avevano fiducia nelle naturali capacità di Bjork erano abbastanza numerosi da far sì che ben presto iniziò a circolare il suo nome. “Quando la vedi nei videoclip ti rendi conto di quanto può essere magnetica”, dice Fridrik Pòr Friedriksson, coproduttore di” Dancer in the dark” e regista di ”Rokk I Reykjavik”.
È come se la macchina da presa fosse innamorata di lei, per cui sul video c’è sempre qualcosa che è degno di essere guardato”.[7]
Gran parte di questo paragrafo, sarà dedicato a “Dancer in the dark” che è il film più celebre e significativo a cui Bjork abbia mai partecipato, un’esperienza che ci riserva infiniti aneddoti e particolarmente emblematica per chiarirci definitivamente quale sia il rapporto effettivo dell’Artista con il mondo del cinema.
Las Von Trier, regista del film sopra citato, era uno dei fondatori del famoso movimento del Dogma 95, contrario agli orpelli hollywoodiani come scenografie, cineprese su cavalletto, musica che non ha niente a che fare con la scena.
Il progetto che coinvolse Bjork in prima persona, si proponeva di stravolgere il genere del musical americano. Siamo nell’America degli anni Sessanta.
“Taps” era il nome provvisorio della sceneggiatura che aveva come figura di riferimento un’emigrata dalla Cecoslovacchia di nome Selma, in pessimo stato e mal pagata, che lavorava in una fabbrica in una zona rurale.
Selma ha un figlio di nove anni che sta per perdere la vista, proprio come lei.
Il suo unico scopo della sua vita è riuscire a raccogliere abbastanza fondi in modo tale da permettersi un’operazione per il figlio, affinché non sia preda dello stesso destino.
Il filo conduttore di tutto il film sarà la passione di Selma per i musical degli anni Cinquanta, sicuramente lo spunto per la colonna sonora inedita composta appositamente da Bjork per il film. Il progetto, nel suo insieme, non sembrava direzionarsi verso l’estetica di un semplice musical, ma verso qualcosa di particolarmente e sensibilmente diverso, ciò dovuto anche all’ossessione perversa di Von Trier per la tragedia. La progressione verso un climax di raccapriccio, sempre più angosciante, fatto di canzoni sempre più forzate, appare quasi spontanea.
Si dice che Von Trier abbia scritto il film come un tributo a Bjork, ma non è così.
Solo dopo aver guardato il video di “It’s oh so quiet”, il regista penso bene di convincerla ad accettare la parte. Non ci mise molto, ma non subito fu convinta della sua partecipazione, in quanto appunto, non un’attrice professionista.
A differenza dei suoi colleghi, Bjork non aveva la capacità di entrare e uscire dal suo personaggio con fluidità. Si era già affezionata a Selma durante la fase della composizione delle canzoni. […] Per supplire alla tecnica, entrò nella parte di Selma. “Quando Lars mi convinse a recitare la parte, mi chiese di non recitare”. “La recitazione era una brutta cosa, è quello che fanno i professionisti. Io dovevo diventare quella ragazza. Per me andava bene, perché non mi interessava imparare la tecnica”.[8]
La particolarità globale di tutto il progetto era l’incontro-scontro di due personalità umane e artistiche piuttosto forti, tutti pensavano a un incontro sicuramente interessante e probabilmente privo di problemi, ma non è esattamente quello che accadde.
La mancanza di esperienza contro la quale aveva combattuto in ruoli meno impegnativi come “Juniper Tree” stavolta le avrebbe dato del filo da torcere.
C’è chi pensava che a Lars avrebbe fatto bene lavorare con Bjork perché ha la tendenza di plasmare le persone, come a volerle distruggerle e ricrearle a sua immagine e somiglianza, insomma, una sorta di psicomanipolatore.
Bjork era al corrente di tali reputazioni, ma era tutto sommato incoraggiata dall’idea che questa cosa potesse costituire una sfida, incoraggiata dalla sua nutrita esperienza in fatto di collaborazioni e proprio per questo motivo, accetta il film con uno spirito a metà tra ottimismo e incoscienza.
Bjork stessa ha dichiarato: “Credo che in un certo senso, dal momento che avevo lavorato con tante persone, e finora era sempre andata bene, che forse sono stata troppo sicura di me stessa”. “Probabilmente quella è stata una delle ragioni per cui ho accettato di fare il film. Perché c’era una persona con la quale notoriamente era impossibile collaborare, per cui, sai, se io fossi riuscita a lavorarci, avrei quadrato il cerchio”.”Il mio istinto è cinquanta volte più saggio della mia testa”.”Fin dall’inizio il mio istinto mi diceva:’ vattene, vattene, vattene’ , ma la testa mi diceva ‘ Sarebbe la cosa più ridicola che tu possa fare in vita tua’. Dovevo seguire il mio istinto”.[9]
La prima manifestazione di forte personalità artistica da parte di Bjork fu l’imporre una condizione importantissima, determinante a tal punto da poter rinunciare alla collaborazione stessa in caso di inadempimento.
Bjork pretendeva, giustamente, il controllo totale di tutti gli elementi musicali del film; dalla produzioni, ai testi, dagli arrangiamenti all’aspetto totale delle canzoni, ecc. Scrisse un vero e proprio manifesto: “Voglio mixare la mia musica, voglio esserci quando qualcuno cambia qualcosa e voglio partecipare alle decisioni sulle mie canzoni, voglio poter gestire le vendite del mio Cd quando uscirà nei negozi, voglio decidere che immagine mettere sulla copertina del Cd”.[10]
Ovviamente, tutto non era così semplice e da qui nacquero non pochi contrasti.
Pare che all’inizio non ci fosse nessun accordo di questo genere, si parlava del fatto che, se da un lato Bjork fosse libera nella creazione della colonna sonora, dall’altro, Von Trier, fosse libero di utilizzare a suo piacimento tale lavoro, senza nessuna intromissione. L’accordo ribadito di Bjork era fondamentalmente di natura verbale.
Formalmente Von Trier non doveva intromettersi nell’operato privato di Bjork, ma nonostante rimanesse in Danimarca, faceva sentire la sua presenza anche nel corso di questa fase di lavoro. Allo stesso tempo, se Bjork aveva fatto capire che avrebbe tenuto al corrente Von Trier del suo operato, spedendo i suoi lavori appena pronti, di fatto evitava volentieri questo passaggio. È anche capitato che fosse Lars stesso a fornire dei testi da musicare a Bjork e che tali testi non fossero a lei molto graditi in quanto non li riteneva in sintonia con la tipologia emotiva dei personaggi.
Gli sforzi furono davvero tanti, alternati da arrese, da prese di posizione e da slanci di buona volontà in cui i due giganti erano d’accordo che le cose dovevano funzionare.
“Dancer in the dark “ fu per Bjork un grossissimo impegno, non solo dal punto di vista emotivo, ma anche da quello artistico, tale collaborazione toglieva a Bjork la possibilità di buttarsi a capofitto solo ed esclusivamente alla musica, anche dal punto di vista dei concerti dal vivo. Addirittura, a causa di questa situazione, nel Regno Unito circolava la voce che non volesse suonare più in giro, fu per questo motivo costretta a fare una serie di date per smentire queste voci.
Le tracce di “Selmasong”, ovvero l’album che contiene la colonna sonora del film, fuorono incise ai Greenhouse Studios in Islanda. Lo scheletro di quest’album fu scritto prima dell’inizio delle riprese, dunque prima dell’estate, iniziavano ufficialmente a maggio i lavori per il film; Bjork sognava da tempo di lavorare con un’orchestra intera per ogni canzone. Le riprese avvennero in Svezia; la nota paura degli aerei di Von Trier impedì la produzione del film di spostarsi altrove.
Si trattò di utilizzare zone della Svezia come si trattasse dell’America degli anni Settanta. Una rappresentazione in qualche modo discutibile, a tratti kafkiana, ma spesso compiaciuta dal piacere perverso della constatazione dell’inautenticità dello scenario.
Altre riprese furono invece effettuate in Danimarca e proprio qui l’affinità umana tra i due giganti cominciò ad affievolirsi sempre di più rispetto al soggiorno in Svezia, a tal punto da arrivare al massimo degli scontri. Solitamente quando Bjork ha un problema o passa un brutto periodo, chiede a qualcuno dei vecchi amici di raggiungerla. In Danimarca, abitava infatti, insieme a circa tre amiche.
Il culmine dei contrasti, avvenne quando il suo manager Scott Rodger ha indetto una riunione e ha ribadito che se Bjork non avesse avuto l’ultima parola su tutti gli aspetti musicali, allora avrebbe lasciato il set del film. La diatriba si concluse con una soluzione piuttosto diplomatica, ovvero un emendamento che prevedeva l’approvazione da entrambe le parti per quanto riguarda le scene musicali.
Questa soluzione non fu certamente definitiva, i due giganti rimasero a lungo vittime di una costante incomunicabilità, con punte di frustrazione estrema o di gioviale cooperazione.
Nonostante gli insormontabili contrasti, si ritiene tuttavia che Bjork non abbia mai pensato realmente di abbandonare il film, anche perché non vedeva l’ora di fuggire per tornare a qualcosa di più familiare, ovvero la musica.
Questo grande progetto cinematografico incrementò anche collaborazioni importanti di tipo musicale. Era da molto tempo che Tom Yorke e Bjork sognavano di mettere insieme le proprie idee a scopo musicale, ma non si era mai verificata l’occasione giusta.
E così fu per “I’ve seen it all”, canzone in cui si diede adito allo storico duetto.
Nonostante il calibro degli artisti, si trattò di una collaborazione piuttosto informale, lungi dai modi artificiali dello show business. I due si incontrarono in studio a marzo del 2000 e per una settimana lavorarono insieme alle loro parti, un lavoro che diede i suoi frutti. ”I’ve Seen It All” fu una delle cinque canzoni nominate per la Miglior Canzone Originale, l’attaccamento all’aspetto musicale rispetto a quello cinematografico, da parte di Bjork, si può evidenziare in questo aneddoto a cui si sta per accennare.
“Von Trier si portò a casa l’ambitissima Palma D’oro della Gran Giuria come Miglior Film. E Bjork dal canto suo coronò la sua sporadica carriera d’attrice in grande stile ricevendo la Palma d’Oro per Migliore Attrice Protagonista.
Accettò il premio con molta grazia ma non potè fare a meno di sentirsi un po’ sconcertata della reazione generale al suo lavoro su Selma. Ai suoi occhi, il contribuito principale al film era di natura essenzialmente musicale, quindi non si sentiva molto a suo agio ad accettare un premio come Miglior Attrice Protagonista.
Diverso tempo dopo, in segno di ringraziamento per il sostegno ricevuto, Bjork diede il premio a un’amica. “Dancer in the dark” non è l’ultimo lavoro, seppur il più importante, a cui ha partecipato in veste di attrice.
Recentemente nel 2005, con il compagno Mathew Barney, ha preso parte a un’opera che non può essere ritenuta propriamente un film.
Si tratta di “Drawing Restraint 9”, un’opera di straordinaria potenza visiva tra cinema sperimentale e videoarte, girata con un linguaggio visivo sofisticato ed esteticamente impeccabile. La sua performance come attrice nel capolavoro di Lars Von Trier “Dancer in the dark” è rimasta negli annali della storia del cinema. Così come nella storia della musica è rimasta “Selmasongs”, la colonna sonora della pellicola.
Bjork proprio in occasione della premiazione al Festival di Cannes dichiarò che mai più avrebbe calcato le scene cinematografiche, ma si sarebbe dedicata esclusivamente alla musica. Evidentemente le lusinghe del compagno regista Matthew Barney le hanno fatto cambiare idea ed ecco che il folletto islandese torna a recitare nella pellicola “Drawing Restraint 9”. È stato il progetto continuo di Barney dal 1987. L’ispirazione è nata dall’idea della resistenza – secondo le sue stesse parole – «come prerequisito per lo sviluppo e veicolo per la creatività». L’episodio 9 vede il debutto professionale della coppia Barney – Bjork, la loro prima collaborazione artistica. Al largo della baia di Nagasaki, sulla baleniera giapponese Nisshin Maru – unica nave/fabbrica attualmente operante al mondo –, si celebra un matrimonio di tradizione scintoista tra l’artista statunitense e la musicista/attrice islandese. Una immensa scultura in vaselina liquida, nelle sue trasformazioni, funge da raccordo con la vicenda dei due protagonisti. Una teatralità onnipresente, i nuclei tematici elaborati nelle differenti sequenze, la sofisticata scenografia, l’assenza dei dialoghi, la musica composta ed eseguita da Bjork conferiscono al film lo statuto di opera totale. Una pellicola senza dialogo, visionaria, un mondo rarefatto in cui fotografia e musica disegnano immagini ispirate alla cultura giapponese. Due protagonisti e quattro tappe rituali: il trasporto, il lavaggio-vestizione, il tè, la mutilazione. Il mutare di una forma in cerca di una definizione, un’enorme enigmatica scultura di vaselina su una baleniera giapponese, un lavoro sulla destrutturazione e ricostruzione di un corpo.
Il film analizza in pratica le auto-limitazioni, racconta delle relazioni tra Giappone e Stati Uniti d’America dopo le bombe su Hiroshima e Nagasaki, quando il generale MacArthur, permise ai giapponesi la caccia alla balena quale fonte di sostentamento per il paese in ginocchio. Il progetto è stato commissionato dal governo giapponese.
Resistenza e creatività vengono simbolicamente rappresentati attraverso la creazione e la trasformazione della vasta scultura di vaselina liquida di cui abbiamo parlato precedentemente, chiamata “The Field”, che viene modellata, tagliata in due e riformata sul ponte della baleniera giapponese Nisshin Maru nel corso del film. I mutamenti di forma fisica della scultura si riflettono nel racconto ‘Gli ospiti’. Due visitatori occidentali vengono accolti a bordo per unirsi in matrimonio secondo la tradizione scintoista. Durante la cerimonia del tè vengono a conoscenza della storia della nave ma un potente lampo irrompe nella tranquilla atmosfera della cabina. Quando questa inizia ad essere allagata dalla vaselina liquida, emanata dalla scultura stessa, gli “Ospiti” si abbracciano e iniziano a respirare attraverso dei fori sulla schiena e come in un rituale mistico si tagliano gli arti a vicenda.
Attraverso i resti dei loro corpi si vedono tracce di code di balena in via di sviluppo che simboleggiano la rinascita, la trasformazione fisica e la possibilità di nuove forme.
La scultura, completamente distrutta, viene poi ricostruita e la nave riemerge dalla tempesta navigando in mezzo ad un gruppo di iceberg verso l’oceano aperto. Nell’ultima sequenza, due balene nuotano una accanto all’altra verso l’Antartide.
Il progetto, seppur ottenendo sapienti apprezzamenti dalla critica, riesce anche a suscitare sferzanti giudizi negativi, se non catastrofici e la reazione di totale abbandono da parte del pubblico, mentre la maggior parte delle recensioni relative alla colonna sonora sono quasi tutte unanimi, dirette più verso la valutazione positiva.
Una delle recensioni più disastrosa all’opera visiva:
Non c’è nulla di più fastidiosa di un’ estetica vuota, di quella cura meticolosa per l’immagine ma senza una minima rielaborazione del livello di significazione.
È il caso di questo Drawing Restraint N.9, un film talmente brutto che potrebbe avere del geniale, un film di un’ambiguità significativa che sicuramente genera interesse e studio ma che rischia di far scappare pubblico e critica dalla sala dopo 20 minuti.
Un’opera dove sinceramente non succede e dove non si capisce nulla (ma forse non c’è nulla che debba succedere e che debba essere capito), probabilmente una provocazione contro il nuovo cinema post-moderno, una sorta di urlo che supera le voci di un De Oliveira o un Von Trier. Perché altro che dogma o pseudo tali, “Drawing Restraint” è puro stupro, non dell’immagine ma dello spettatore, che viene sfidato a subire dei veri trip senza connessioni temporali per quasi 3 ore di seguito.
Il regista Matthew Barney farcisce ogni fotogramma di simbologie nascoste, metafore di qualcosa di assolutamente indefinito e che solo l’autore stesso conoscerà (o forse nemmeno lui). Insomma, parole della protagonista Bjork: “Drawing Restraint” è il trionfo della creatività”. Ma così come Barney è capace di creare, è anche capacissimo di distruggere, non solo le immagini, ma anche e soprattutto il sistema nervoso degli spettatori, che come cavie, si sottomettono ad un esperimento sadico sulle emozioni che le immagini vuote sanno (non) trasmettere.
In un certo senso un film Kubrickiano, per una messa in scena e inquadrature plasticamente geometriche, curate in ogni minimo dettaglio spaziale, con la differenza che Kubrick dava comunque direzioni interpretative e significazioni di sottofondo alle sue scelte registiche ed immaginifiche, mentre in Barney sembrerebbe permanere un vuoto interiore che perciò disintegra ogni scelta della costruzione per immagini.
Forse ci ritorneremo ancora su questo film “caso”, forse un giorno lontano capiremo il vero progetto creativo di “Drawing Restraint N.9” e Matthew Barney. Forse tutta la critica che era presente all’anteprima veneziana il 1° Settembre 2005 si rimangerà le brutte parole contro quest’opera, cogliendo finalmente la genialità celata.
In quel caso, ci risentiamo tra una decina d’anni. Forse. Per ora continuiamo a rimanere perplessi.[11]
In netto contrasto, una recensione tipo relativa strettamente al lavoro musicale:
È uscito un nuovo album di Bjork. Solo che nessuno sembra essersene accorto. Si tratta della colonna sonora di “Drawing Restraint 9”, di Matthew Barney, marito della cantante islandese, presentato a Venezia ’62. Il film probabilmente non uscirà in Italia, ma è ancora viva la speranza di vedere sugli scaffali dei negozi di dischi questa straordinaria soundtrack. Già in “Dancer in the dark” Bjork era sia interprete che compositrice della colonna sonora, ma in questo caso viene abbandonata l’orecchiabilità delle “canzoni di Selma”, poiché l’approccio compositivo di “Drawing Restraint 9” sembra essere orientato verso le ultime produzioni della poliedrica cantante. Se nell’opera di Lars Von Trier venivano studiate le potenzialità del campionamento di macchine industriali o dello sferragliare del treno sulle rotaie, che svolgevano la funzione di loop elettronici, l’orecchiabilità di alcuni brani, ora con una struttura coerente alle songs dell’album Homogenic, ora ripescaggi dal background artistico della compositrice (con particolare riferimento al suo primo album solista, il jazzistico “Glin-glò” e a “It’s Oh so quiet”, presente nell’album “Post”), hanno caratterizzato la OST di Dancer in the Dark come un album “bjorkiano” a tutti gli effetti. Nella colonna sonora di “Drawing restraint 9” invece, non solo ravvisiamo la non centralità dell’artista islandese in fase di composizione ed arrangiamento, ma anche il forte desiderio di spaziare tra generi musicali di diversa estrazione temporale e culturale, tentando allo stesso tempo di rimanere coerente alla ricerca musicale di “Vespertine” e “Medulla”, e facendo tesoro dei suoi celebri unplugged ante litteram. Un flusso musical-rumoristico continuo quindi, in cui per una volta non si avverte l’invisibile (ma spesso più che mai presente) pressione dei discografici, e che diventa la “voce” di un film in cui la parola viene sostituita dalla musica e le immagini rafforzate da audaci sperimentazioni sonore.
Il fatto che questo lavoro sia scevro da compromessi commerciali e aperto ad ogni tipo di influenza e sperimentazione, è subito dimostrato da Gratitude, pezzo che apre l’album. L’ispirazione all’album “Vespertine” è più che evidente, anche se Bjork preferisce lasciare che il brano prenda forma, tramite l’improvvisazione, con l’arpa di Zeena Parkins (celebre per il suo personalissimo stile e per un minuzioso lavoro sul suono tramite arpe elettriche ed arpe preparate), e la voce di Will Oldham, che canta, in linea con l’atonalità delle parti vocali del già citato penultimo album dell’artista islandese, un testo tratto da una lettera indirizzata al generale MacArthur da parte di un cittadino giapponese, riconoscente per la sospensione della moratoria alla caccia alle balene. Il brano quindi scorre lento, evocativo ; il coro ‘stonato’ di voce bianche nel finale, ne intensifica la dolce disarmonia. Le balene nel film divengono metafora dell’uomo, animale imprigionato da se stesso, che vorrebbe distruggere la sua gabbia di tessuti e liquidi organici per poter nuotare libero in acqua, come un cetaceo appunto. La colonna sonora, dunque, diventa coerente sia per quanto riguarda il modo con cui accompagna le immagini, sia per la totale libertà compositiva e strutturale.
Il secondo pezzo, “Pearl”, è formalmente più vicino ai brani di “Medulla” : la voce viene sfruttata in tutte le sue potenzialità, ribaltando completamente i codici della tecnica del canto tradizionale. Non c’è una melodia che sovrasta la ritmica del brano : entrambi gli elementi sono intrecciati indissolubilmente fra loro, come il respiro affannoso delle donne nel film, che tornano a galla dopo essere state a lungo in apnea a caccia di perle. Il brano però non è da considerarsi un semplice outtake di Medulla, perché le voci sono accompagnate dalle dissonanze dello “sho”(strumento a fiato di tradizione nipponica, ad ancia, formato da una serie di canne di bambù, con cui è possibile produrre note singole o accordi e con un suono simile a quello dell’armonica a bocca) suonato da Mayumi Miyata, scelta questa che testimonia il tentativo di fusione dell’opera bjorkiana, in questo caso tramite la sperimentazione vocale legata al suono di strumenti tradizionali orientali. “Ambergis March”, il pezzo successivo, evidenzia la coerenza nel far coesistere diverse tendenze musicali nello stesso brano, data la presenza di un classico tempo di marcia che funge però da sezione ritmica che accompagna ardite melodie armonizzate di campanellini e clavicembalo. “Bath”, invece, è il primo brano dell’album effettivamente cantato da Bjork : la sua voce sussurrante sembra rispondere ai cromatismi di un pianoforte i cui tasti sono appena sfiorati ; pur mantenendo un incedere suadente, la canzone raggiunge il suo climax nel finale, quando diverse melodie miste a sospiri creano un reticolo di note che generano un unico, dissonante tappeto sonoro.
Si passa ad un altro strumentale con Hunter Vessel, brano in cui la sezione degli ottoni calca ossessivamente i battere, in alternanza con dei rallentati in cui gli stessi fiati formano un magma sonoro fortemente debitore delle tendenze della dodecafonia post schoenberghiana. Il brano più occidentale dell’album (per via dell’influenza musicale europea e dell’utilizzo sistematico di ottoni, tipico delle soundtracks statunitensi) precede un breve pezzo eseguito esclusivamente con lo sho, “Shimenawa”, che ridireziona Drawing restraint 9 verso le armonie tradizionali giapponesi, per poi ritornare con un reprise del pezzo precedente, “Vessel Shimenawa”. Il trittico manifesta la scelta stilistica di Bjork e dei musicisti che hanno collaborato con lei (tra cui spiccano i nomi di Akira Rabelais e Valgeir Sigurosson) di ideare una colonna sonora che percorra a trecentosessanta gradi universi sonori lontani tra loro, riuscendo a mettere sullo stesso piano tradizione e innovazione.
Storm è sicuramente uno degli episodi più riusciti dell’album, nonché brano che sembra rispettare la forma-canzone nel senso bjorkiano del termine. Impressionante e straordinario è il modo in cui viene rappresentata la furia della tempesta : un arpeggio di tastiere in sottofondo accompagna gli acuti della cantante, spesso alterati con alcune distorsioni e montati in modo tale da simulare vento, pioggia e l’infrangersi delle onde del mare sulla baleniera. Oltre ad un uso alternativo della voce (che ricorda molto la canzone Pluto dell’album Homogenic), ravvisiamo in questa traccia una certa intelligenza nell’uso dei synth e delle potenzialità del missaggio in digitale come parte integrante della creazione musicale, tanto far tornare alla mente alcune composizioni di musica concreta. È abbastanza frequente ritrovare tra un brano e l’altro di una colonna sonora battute o interi dialoghi del film da cui è tratta, ma anche in questo caso “Drawing restraint 9” dimostra di essere un’opera assolutamente anomala con la decima traccia, “Holographic entrypoint”: quasi dieci minuti di un testo scritto da Barney fatto tradurre in giapponese, recitato secondo le regole del tradizionale teatro Noh. Questa traccia rappresenta l’unico scivolone dell’album, perché se nel film ci era sembrato che questo fosse funzionale ad integrare le immagini che scorrevano sullo schermo, non significa che su disco l’inserimento di un recitato così lungo assolva a qualche funzione in particolare se non a quella di irritarci e di farci pensare che si tratti di un modo per riempire dieci minuti di buco. A parte questa nota stonata, gli ultimi due brani, “Cetacea” e “Antartic return”, sono la summa di tutto il lavoro : il primo, che ricorda le atmosfere di “Vespertine”, è ancora legato alla metafora della trasformazione in balene ; il secondo riguarda il ritorno da parte degli animali, ormai liberi, verso lidi sperduti, irraggiungibili, accompagnati ancora una volta, in lontananza, dal suono dello “sho”. Opera in cui diversi musicisti e arrangiatori mettono del proprio per cercare di azzerare le differenze e i pregiudizi culturali tra musiche differenti, o effettivamente questa OST può essere considerato un nuovo album di Bjork ? Entrambe le affermazioni hanno il loro fondamento. Ma crediamo che la caratteristica più importante di “Drawing restraint 9” sia quella di andare oltre il limitativo concetto romantico di melodia e di centralità della musica occidentale, grazie alla sua capacità di saperci catapultare in spazi in bilico tra passato e presente, tra sperimentazioni moderne e rispetto per le tradizioni musicali di paesi non occidentali. E questo, per una colonna sonora, è davvero un risultato incredibile.
Il propendere della bilancia per la sfera musicale rispetto alla sfera cinematografica, sembra essere una costante. Il pubblico e la critica sembra avvalorare questa affermazione, seppur si tratti di un pubblico d’elite, soprattutto per gli ultimi lavori di Bjork.
Questo tipo di progressione che vede l’Artista passare dall’icona di pop-star ai vertici a sperimentatrice di nicchia (ma non troppo, è sempre un personaggio di fama mondiale) è stata graduale. È proprio questo aspetto ad essere sviluppato con maggior attenzione nel prossimo paragrafo.
I mass media e l’impatto con il pubblico
Per affrontare questo argomento, nulla è più conveniente che ricorrere ai dei fatti di cronaca legati a Bjork, così rappresentativi da risultare esplicativi.
Tali avvenimenti hanno molto influenzato la condotta dell’Artista, cambiando radicalmente il suo rapporto con il pubblico e di conseguenza con i media.
Il suicidio di un folle in America fa scattare l’ allarme alle poste di Londra: bloccato all’ultimo momento l’ esplosivo dal titolo: “Bjork, ti amo e ti ucciderò .” La cantante islandese sfugge al pacco bomba di un fan privo di ogni razionalità.
Aveva escogitato per la sua cantante favorita una morte atroce e dolorosa, spedendole un libro esplosivo che l’ avrebbe persino sfigurata, cancellandole dal volto quella bellezza esotica che era diventata il chiodo fisso della sua breve e travagliata esistenza. Ad evitare che la pop star islandese Bjork Gudmonsdottir abbia fatto la fine sognata dal suo ventunenne ammiratore americano Ricardo Lopez è stata una fortunata coincidenza. L’ intempestivo suicidio del giovane, che ha portato la polizia sulla pista del suo folle disegno, bloccandolo prima che andasse in porto.
L’ incredibile vicenda che ha gettato nuovi brividi di terrore tra le star in America costantemente sotto il mirino di fan squilibrati, si è consumata all’ interno di un asfittico monolocale di Hollywood, a trenta chilometri da Miami dove il disoccupato Lopez ha vissuto gli ultimi mesi della sua vita consumato dall’ ossessione per l’ ex leader degli Sugarcubes. Notissima in Europa, dove ha vinto il premio di “miglior artista donna” agli “MTV Europe Awards” del ‘95. E negli ultimi tempi sempre più popolare anche in America grazie ad un altro ambito premio: “migliore coreografia” per il disco “It’ s Oh So Quiet” assegnatole un mese fa dagli “MTV Video Awards” versione Usa. Una cantante amata dal pubblico più giovane, che adora il suo “look” da esquimese tutta pepe e la sua musica “new wave”, alternativa ed anti-violenza.
Come una doccia fredda è così giunta la macabra scoperta del terribile complotto che si stava consumando a sua insaputa a migliaia di chilometri dalla sua tranquilla vita londinese. Avvertita da un inquilino turbato dall’orribile lezzo proveniente dall’ appartamento di Lopez, la polizia di Hollywood ha fatto irruzione nel suo appartamento e lo trova cadavere, tra ritagli di giornali dell’ adorata Bjork e la collezione completa dei suoi dischi. Dentro la cinepresa puntata contro di lui emerge una videocassetta dal titolo “Ricardo Lopez: L’ultimo giorno”. All’interno le immagini terrificanti del suicidio in diretta: il revolver calibro 38 che il giovane si punta alla tempia e il sangue che schizza da ogni parte. Si diffondono come sottofondo le dolci note di “I Miss You”, dall’ ultimo album di Bjork, “Post”.
Più in là , sullo scaffale della libreria, gli agenti trovano altre undici videocassette, di due ore ciascuna, realizzate da Lopez: il suo diario filmato in cui immortala la preparazione del libro bomba (un cocktail micidiale di acido solforico) mentre discute da solo la vita e l’ arte di Bjork e i motivi per cui merita di morire. “Non le ha mai perdonato di avere avuto una relazione con un nero”, spiega Todd DeAngelis, portavoce della polizia di Hollywood . Un “peccato” che, sono parole sue, definisce inaccettabile. A mettere le autorità sulla pista giusta è il gesto plateale fatto dallo stesso Lopez in una delle videocassette, dove mostra alla telecamera il libro esplosivo con l’indirizzo londinese di Bjork, spiegando in modo trionfalistico agli agenti “cosa, quando e dove cercare”. Avvertita dalla polizia della Florida, Scotland Yard riesce ad intercettare immediatamente il pacco nell’ ufficio postale di Londra dove era già arrivato, distruggendolo prima che venisse consegnato all’ignara destinataria. Raggiunta dalla scioccante notizia, Bjork si è barricata nella sua villa a East London, delegando ogni commento al suo manager Derek Birkett. “Anche se non ha mai incontrato o parlato con quell’uomo, la sua morte l’ha profondamente scossa, ha spiegato Birkett, non riesce proprio a capacitarsi come mai possa aver attratto quel tipo di persona”. Il tragico episodio è avvenuto il 12 settembre del 1996 ed è considerato il fatto più eclatante che vede al centro una Bjork al massimo della sua fama e della popolarità, capace di suscitare ossessioni nel pubblico.
A cambiare il rapporto con il pubblico e con i media, hanno contribuito anche avvenimenti più lievi, ma oltremodo fastidiosi: “Posso accettarlo per l’effetto che può avere sulla mia vita [la celebrità], ma il fatto che mia nonna riceva delle telefonate per fare delle rivelazione al “Daily Mirror” o che chiedono a tutti i miei amici se è vero che esco con il Tal dei Tali…è stata una prova molto dura”. […]
“C’erano quaranta giornalisti davanti a casa mia con l’obiettivo puntato sul mio cesso. […] quanto a me, ha distrutto la mia casa. […]Uno di loro (maniaci patetici) era venuto in Islanda, in qualche modo aveva scoperto dove viveva Bjork e un sabato mattina è andato a casa sua. Lei è arrivata alla porta, credo con un asciugamano alla testa, dopo essere appena uscita dalla doccia” […]
Qualcuno una volta ha mandato una cosa che sembrava un vibratore di gomma con la forma di Bjork lungo una trentina di centimetri”. […] “Aprivi certe lettere ai primi tempi… ce n’era uno in particolare che ricorreva, che scriveva una lettera di odio e una lettera d’amore e la metteva nella stessa busta”[12]
Ricardo Lopez non fu l’unico fan di Bjork a suicidarsi.
L’episodio a lui legato colpisce per la particolare efferatezza, l’organizzazione del tentato omicidio, la logica perversa che stava ad ogni singola azione.
Un secondo episodio è legato a un tizio austriaco, come riferisce ai giornali la Walker, manager di Bjork, la manager riceveva continue telefonate da parte di questo misterioso individuo: “Voglio aiutare Bjork. Devo aiutarla. Non può farcela da sola”. Queste le accorate parole del molestatore telefonico. Quel tizio, seppur cessando la sua azione disturbatrice, portò a termine la sua ossessione con il suicidio.
Questi episodi hanno modificato profondamente la psiche di Bjork, era come se qualsiasi cosa facesse avesse un’influenza su queste persone e anche se consapevole che non fosse colpa sua, sentiva un oppressivo senso di responsabilità.
Come sintesi di questi avvenimenti vorrei riportare un episodio di cronaca significativo che coinvolge Bjork in primo piano e che non sarà l’unico.
È successo tutto nel 1996, “l’anno dello schianto”. A Bangkok, in preda a una crisi di nervi, ha aggredito una troupe televisiva che stava riprendendo il figlio Sindri.
Sarà la cantante stessa a porgere personalmente le sue scuse alla giornalista che ritirerà la denuncia nei suoi confronti. Alla giornalista aggredita, proporranno addirittura di girare uno spot per una lacca per capelli con uno slogan alquanto bizzarro che verteva sulla potenza di quel tale prodotto, capace di proteggere i capelli persino dall’attacco di una pop-star. La giornalista rifiutò la partecipazione a questo tipo di pubblicità. Questo tipo di episodi non sono certamente isolati e il lato umano violento dell’Artista si ripropone. La cantante islandese Bjork salta addosso a un paparazzo che aveva osato fotografarla insieme ad un uomo sconosciuto e la polizia aeroportuale si impossessa degli scatti incriminati. Brutta avventura all’aeroporto di Auckland in Nuova Zelanda per Bjork che era accompagnata da un uomo. Un fotografo ha scattato alcune foto senza alcuna autorizzazione e la cantante non ha esitato a compiere la violenta aggressione. Glenn Jeffrey, fotografo del New Zealand Herald, che ha pubblicato la storia, ha detto di aver “scattato quattro o cinque foto, con tre o quattro primi piani di Bjork. Poi mi sono girato per andarmene, ma lei mi si è avventata addosso, afferrandomi per la felpa e strappandola da dietro”, ha dichiarato Jeffrey. “Mentre mi strappava la maglia, è caduta a terra. Io non l’ho mai né toccata, né le ho detto alcunché”, Jeffrey ha precisato che Bjork era in compagnia di un uomo che gli avrebbe chiesto di non scattare fotografie. Le immagini dell’aggressione sarebbero in possesso della polizia dell’aeroporto di Auckland.
Dopo questi avvenimenti di cui abbiamo parlato, l’attuale rapporto con i fan è totalmente cambiato rispetto ai tempi dei Kukl che risultava essere diretto e pregno di disponibilità.
Avvicinare Bjork per un autografo è assolutamente impensabile e fotografarla è addirittura rischioso, le interviste risultano piuttosto rare così come i passaggi televisivi. La cantante, come riportano molte testimonianze, non concepisce il concetto del divismo in musica. Bjork, in prima persona, afferma di apprezzare la musica di un dato artista, ma trascura tutti gli elementi legati all’artista stesso, da un autografo a una foto, agli avvenimenti legati alla sua vita privata.
Allo stesso modo, come spesso ha dichiarato, non riesce a comprendere la venerazione dei fans nei suoi confronti, provando spesso dispiacere, se non disprezzo.
A proposito di rapporto con i media e impatto con il pubblico, non possiamo tralasciare un fatto di cronaca a cui avevamo accennato per via del pensiero filosofico-politico.
La cantante islandese Bjork rischia di essere bandita dalla Cina a tempo indefinito dopo la sua performance di domenica allo Shanghai International Gymnastics Centre, quando, al termine del concerto, ha inneggiato al Tibet. Sui blog cinesi è subito scattata la polemica. Silenzio invece sui media ufficiali.
“Raise your flag” – Le ultime parole del concerto dell’eccentrica cantante islandese nella sua unica data cinese sono state infatti “Tibet, Tibet, raise your flag” (Tibet alza la tua bandiera), prima di lasciare il palco e salutare i suoi fan. Precise parole. Secondo quanto testimoniato dalla Deutsche Presse Agentur e da varie testimonianze sui blog e forum cinesi di persone che hanno assistito all’evento, sulle note finali della canzone “Declare Independence”- testo scritto per l’indipendenza delle Isole Far Oer e inserito all’ultimo momento nella scaletta del concerto – tutti avrebbero udito le sue parole. Tra i tremila spettatori immediate sono scattate le reazioni, mentre nessuno tra i giornalisti cinesi accreditati ha riportato la notizia. Bjork era giunta a Shanghai per una vera e propria toccata e fuga: niente incontri con i giornalisti, nessuna intervista. I media cinesi avevano sottolineato, non senza una punta di polemica, la mancata concessione della cantante a taccuini e fans (a differenza di quanto probabilmente sarà il comportamento di un’altra star attesa in Cina ad aprile, Celine Dion). Bjork aveva minacciato: “se verrò assalita all’aeroporto, torno indietro, subito”. I fan hanno resistito. Da queste parti è stata per lungo tempo celebre e amata, tanto che una famosa pop star cinese, Faye Wong, deve il suo successo proprio per lo stile così simile alla quarantatreenne islandese. Ora qualcosa è cambiato. Per Bjork la causa del Tibet non costituisce una novità: aveva già partecipato, nel 1996 e nel 1997 a San Francisco, a concerti per l’indipendenza della regione. Non solo: nelle scorse settimane la cantante, a Tokyo, aveva dedicato la sua ultima canzone alla fresca indipendenza del Kosovo, creando non pochi grattacapi all’organizzazione del suo futuro concerto in Serbia, il prossimo luglio. Dagli organizzatori del concerto a Shanghai invece, nessun commento. “Non abbiamo sentito”, si sono limitati a dire. La questione del Tibet, con le Olimpiadi alle porte e l’inizio dell’Undicesima Sessione dell’Assemblea Politica Consultiva del Popolo Cinese (Cppcc), è un tema troppo caldo per la Cina: le informazioni al riguardo sono ancora più controllate e censurate. Tra i fan cinesi di Bjork, invece, impazza la discussione nella maglie della Rete. Commenti negativi, che stigmatizzano l’ingerenza occidentale in affari cinesi: «il Tibet è o non è un nostro territorio? Perché gli occidentali sono così interessati alla sua indipendenza? Evidentemente il Dalai Lama ha un ottimo ufficio stampa. Qualcuno riporta la propria percezione, da spettatore: Bjork avrebbe annunciato che, anziché terminare con “Encore”, avrebbe cantato “Declare Independence”. Il pubblico ha applaudito. Alla fine l’amara sorpresa: “molti non hanno capito, perché non sanno l’inglese e non hanno percepito l’aggiunta delle parole Tibet, Tibet. Forse per questo motivo non è stata chiamata la polizia. Se tutti avessero capito, non ci sarebbero stati applausi alla fine”. “Per un po’ Bjork, è meglio non si faccia vedere in Cina”, sentenzia qualche giornalista. Tutto ci fa pensare che un personaggio come Bjork non può suscitare indifferenza e seppur non si possa paragonare propriamente ad un’artista commerciale, il rapporto con i media e con il pubblico risulta essere puntualmente devastante, a volte travagliato, spesso fonte di polemiche.
Ovviamente, non si parla soltanto di vita privata, ma anche dal punto di vista artistico.
Seppur non si possa dire che Bjork sia un’artista collegabile direttamente alla censura, qualche videoclip è riuscito addirittura a suscitare scalpore nel pubblico.
È il caso di “Pagan poetry” ad esempio, Il controverso video che, come afferma il regista Nick Knight, rappresenta una donna in procinto di sposarsi e di donarsi completamente al suo uomo, mostra immagini, fortemente distorte al computer, che sembrano alludere al sesso (anche orale), seguite da inquadrature di Björk, che indossa una veste fatta di perle (che le lascia il seno scoperto), nell’atto di introdursi nella pelle spilli e perline.
Bjorkiani, testimonianza di un esponente
“Tutto iniziò così: un collega di università con cui facevo uno scambio culturale di tipo musicale, insistette affinché mi prestasse un disco di Bjork.
La conoscevo soltanto vagamente, mi ricordavo soltanto qualche immagine, per via di video trasmessi in televisione, oppure di foto sui giornali.
Credo che ad essermi rimaste impresse, siano state le copertine dei suoi dischi, molto particolari. Di fatto però non avevo mai ascoltato niente.
Insisteva affinché mi prestasse “Homogenic”, ma l’aveva già prestato.
Intanto in quel periodo era uscito da poco “Vespertine” e il mio collega l’aveva già acquistato.
Fu il primo disco che ho ascoltato. È stato amore.
In quel periodo ascoltavo molta musica elettronica, mi incuriosiva, una musica possibilmente legata alla consueta forma-canzone. “Vespertine” è un disco pieno di musica elettronica. Nel giro di un mese, avevo già tutti i suoi dischi, anche se mi rendevo conto che gli altri non erano uguali al disco che avevo ascoltato, mi rendevo conto che in ogni disco c’era qualcosa che mi piaceva, qualcosa che non avevo mai sentito prima. La cosa assurda è che se ho comprato “Debut”, che è dei primi anni Novanta, mi appariva comunque attualissimo, più attuale possibilmente di un disco uscito in quel momento. Ovviamente, non mi sono fermato alla pubblicazione dei dischi, ma ho approfondito la visione dei video, dei concerti dal vivo. Ogni volta era un’emozione diversa. Stessa cosa per quanto riguarda i videoclip, ci si può rendere conto di quanto fosse all’avanguardia all’epoca, per quanto riguarda l’uso dei colori, ad esempio. Fino a pochi mesi prima, mi lamentavo perché, nonostante fossi un grande appassionato di musica, non avessi un artista preferito in particolare.
Quell’artista per cui fai follie per andare ad un concerto, per cui ci si collega su internet per andar cercare notizie. Ascolto molti artisti, molti gruppi, molti cantanti, ma non seguo costantemente le loro mosse così come faccio per Bjork.
C’è da precisare che la fonte principale di informazioni è la rete.
Non c’è un sito che non abbia consultato, non c’è forum in qualsiasi lingua (tedesco, inglese, francese, italiano, addirittura anche in polacco o in russo) a cui non mi sia registrato.
A volte la lingua non è così importante se c’è da esaminare un file scaricabile liberamente. Il tutto per cercare delle informazioni che in un sito italiano sono essenzialmente difficili da reperire. In Italia non è seguitissima. Il mio discorso è relativo, infatti i fan esistono e sono anche tanti, il problema è che i media italiani non le danno lo spazio che invece ha in altre nazioni, dove è una delle artiste più amata.
Possiamo prendere ad esempio la Francia e il Giappone. In alcuni negozi di dischi, in queste nazioni, dedicano intere pareti a quest’Artista. Inoltre, nei negozi, non si trovano le uscite particolari, come i vinili, ad esempio.
L’unico modo per acquistare questi agognati oggetti è andare sul sito della casa discografica e ordinarli. Ad esempio, quando si tratta di oggetti che valgono una certa cifra, il negozio evita di trattare questo tipo di prodotti, temendo una mancanza di richiesta. Si parla anche di acquistare edizioni in altri formati, come mini-disc, dvd, videocassette, musicassette, mini-cd, picture-disc, flexi, ecc.
Tra un acquisto e l’altro, ho continuato i miei anni di assiduo ascolto, fino a quando non è arrivato il momento del primo concerto. Emozionante è dire poco.
Sono andato da solo, non conoscevo nessuno con cui condividere questa sfrenata passione. Nessun fan di Bjork era tra le mie conoscenze.
Mi sentivo raro, forse al concerto, iniziavo a capire che esistevano moltissime altre persone sconosciute che condividessero la mia passione.
Prima di Verona del 2003, mi sentivo più unica che rara. Non esisteva un libro su Bjork in italiano, soltanto da pochissimo sono in commercio. Dalla platea appariva piccolissima, un microbo, ma la voce era quella, inconfondibile. Sono stato in trance per tutto il concerto, solo dopo ho iniziato a realizzare di aver ascoltato Bjork dal vivo.
Non è che sia semplice seguirla, infatti se in Francia o in Giappone, riesce a fare quattro o cinque date, in Italia ne fa una. Per seguirla, mi sono spinto persino in Islanda.
A quel tempo non disponevo di una connessione internet, dunque cercai, armato di un portatile, una zona coperta di wireless libero. Mi collegai e lessi questa notizia: Bjork, dopo vent’anni dall’uscita del primo singolo con gli Sugarcubes, faceva una reunion a Reykiavick, unico e solo concerto. Inoltre, si diceva che i biglietti non sarebbero stati venduti online. Dal 2003 erano passati tre anni e non avevo visto altri concerti, anche perché per “Medulla” non aveva fatto tour per motivi familiari, anche se è qualche performance televisiva ha avuto luogo. Nonostante non potessi comprare i biglietti in rete, mi sono organizzato attraverso amicizie di amicizie, ci sono riuscito una settimana prima del concerto. Ho preparato tutto all’ultimo secondo, ma ne è valsa la pena, stupendo. C’è da considerare che gli Islandesi sono gente strana, non hanno molta attenzione per lei. Per loro è una cosa normale avere Bjork in Islanda. Di fatto, il pubblico (sparuto per un’occasione del genere, almeno quaranta volte inferiore rispetto a quello dell’Arena di Verona) era composto per la maggior parte da stranieri. Era una sorta di piccolissimo campo da basket.
Dopo quel concerto, ho visto altre tre date in Italia, una volta a Londra e un’altra in Svizzera. Sono quindi arrivato a collezionare sette concerti. Per quanto riguarda il collezionismo di tipo materiale, ad un certo punto è diventata una mania.
Quando guardavo la discografia sul sito ufficiale, mi soffermavo a scrutare tutte le edizioni di ogni disco, le varie collaborazioni. E’ diventata qualcosa fuori dalla mia portata. C’erano periodi in cui arrivava un pacco ogni giorno a casa.
Per comprare vecchie cose bisogna affidarsi a siti come E-bay. Gente che si disfa proprio di pezzi da collezione a cui sei interessato moltissimo.
Personalmente non sono un collezionista di gadget, anche se non mi vergogno a dire che ne possiedo alcuni. Mi interessano invece soprattutto libri, ne possiedo infatti in tutte le lingue possibili e immaginabili. Ho persino uno spartito con una fantomatica firma autografa. La mia collezione si spinge anche ad altri gruppi con cui ha collaborato, anche in qualità di back-vocalist. Si arriva a comprare in modo compulsivo.
Dispongo anche della registrazione del primo vinile (pubblicato solo in Islanda) del ‘77 in sette versioni diverse. Spesso si tratta di “bootleg”, ovvero delle registrazioni di concerti, poi disponibili in rete non proprio legalmente con tanto di copertina stampabile.A volte esistono vinili di colori di versi: rosso, bianco, blu, verde ecc…così come dispendiosi cofanetti o versioni – promo.
Stiamo parlando di promo giapponesi che arrivano fino a trecento euro l’uno.
Altri oggetti molto costosi che possono arrivare ai settemila euro, sono gli “Urnat”, ovvero dei libri disegnati a mano da Bjork stessa.
Per quanto riguarda invece l’aggregazione tra bjorkiani, un aspetto importante sono i forum in rete, uno in particolare a cui accennerò più avanti.
C’era prima un sito italiano su Bjork, molto scarno e non indicizzato più di tanto.
Esso si chiamava “Darkscorrents”. Conteneva poche informazioni, qualche foto, ma la parte viva di questo sito era il forum che prendeva il nome di “Kitten place”.
Le conoscenze erano limitative perché i concerti erano ancora pochi, inoltre veniva spesso utilizzato come pretesto per esporre i propri fatti personali che non disquisire sull’artista.
Successivamente è apparsa la notizia che tale sito sarebbe stato chiuso, in quanto i creatori di questo sito avrebbero comprato il dominio per bjork.it e quindi tutti gli utenti sarebbero passati all’altro forum dove sono registrata dal primo giorno, precisamente sono la numero tre, subito dopo i creatori. Parliamo di questo sito? Fa schifo.
Eppure è stato creato da due amanti di Bjork, ma non ci sono particolari informazioni soddisfacenti.
La parte interessante è il forum, pienissimo di iscritti, anche se, nonostante alcune migliaia di iscritti, quelli attivi sono sempre non moltissime decine.
Queste persone sono diventate la mia seconda famiglia, ho fatto con loro viaggi e raduni.
Vorrei sviluppare il mio penultimo punto di questa testimonianza, parlando dei miei pessimi incontri ravvicinati con Bjork. Si sa che lei è restia ai contatti con i fan.
Si deve partire dal presupposto che è una persona normale, quindi si suppone che a tutti darebbe fastidio essere braccati da un fan. Posso raccontarti un aneddoto accaduto ad alcuni miei amici durante un concerto a Codroipo che sono riusciti ad entrare all’after-party, hanno bevuto un bicchiere di vino insieme a Bjork. Il tutto stava andando liscio come l’olio, fino a quando uno dei due è andato a chiedere l’autografo. Da quel momento, li ha fatti andare subito via.
Per lei quello era un momento di festa come per tutte le persone normali.
Per quello che invece mi riguarda, quando sono stata in Islanda, sapevo dove abitasse e stavo vicino casa sua, non molto lontano da una spiaggia molto particolare per essere chiamata tale in quel tipo di contesto, infatti il mare era ghiacciato.
Ad un certo punto è arrivato un taxi davanti casa, io ero convinto che sarebbe prima o poi dovuto uscire qualcuno, o lei o il compagno, ma mi rendevo conto che in realtà non usciva mai nessuno, fin quando non ho visto il tassista al telefono e subito dopo è entrato dentro il giardino della casa. Soltanto quando la macchina mi è passata davanti, sulla strada principale, ho visto che c’era lei dentro. Suppongo che lei, vedendo persone davanti casa, abbia cercato di nascondersi il più possibile.
L’unica persona che conosco che ha avuto vari contatti con lei, si è finta assolutamente disinteressata. L’ha incontrata alla stazione a Roma, erano sullo stesso treno, a Udine che camminava per strada (e ovviamente non l’ha fermata), inoltre ha anche cucinato per Bjork in una circostanza relativa a un concerto, si sono trovati mezz’ora nella stessa stanza senza dire una parola. Il tutto dimostrando un distacco totale.
Se io avessi la fortuna di avere un contatto con Bjork durante un after-party, non mi azzarderei mai a chiedere un autografo o fare una foto, rischierei di rovinarmi quel momento, a costo di non conservare nessun ricordo fisico.
A meno che (questo è il sogno di tutti i bjorkiani), non sei un grande artista e allora hai la fortuna di essere chiamato da lei a collaborare, per il resto, non c’è alcuna speranza.
Per concludere, vorrei accennare a come gli altri vedono questa mia passione.
Pensano che io sia folle, non perché ascolto lei, ma perché ascolto troppo lei.
Quando andavo all’università, partendo da casa, oltre a raccomandarmi le classiche cose, mia madre diceva sempre: “non pensare troppo a quell’islandese!”, come per dire che questo mi portasse via tempo o razionalità.
Per non parlare dalle considerazioni semplicistiche di primo ascolto che assimilano la voce di Bjork a quella di una donna affetta da mal di pancia.
La gente che ti incontra per strada e ti chiede chi è il tuo cantante preferito, tu rispondi “Bjork” e nessuno sa chi è. Vuoto totale. Ultimamente c’è un incremento di fama, perché ascoltare Bjork pare faccia moda o come dicono le nuove generazioni “è figo”. Scrivere una tesi su Bjork “è figo”.
CONCLUSIONI
Ritengo che un discorso conclusivo che racchiude tutta la carriera di Bjork possa essere eccessivamente dispersivo, se non inutile. Mi focalizzerò quindi, compiendo delle riflessioni, sull’ultimo album prodotto, in quanto l’opera più recente di un artista è senz’altro di per sè una sintesi ideologica del proprio percorso.
Nel maggio 2007, è uscito “Volta” l’ultimo album di Bjork. Come gli album precedenti, è stato lodato dai fan e dalla critica, sia in materia di pop che dal punto di vista della musica sperimentale. Le donne come Bjork, tornando agli ideali pagani, tendono a risparmiare l’uomo dalla propria estinzione, viene quindi infuso in “Volta” un elemento tribale che riflette esplicitamentre il mantra pagano.
È come un voler ricordare che ci sono sempre stati altri mondi.
Il Cristianesimo può essere stato presente per due migliaia di anni, ma la Natura non ha mai abbandonato la sua essenza.
Björk cerca di ricordare al pubblico che tutto il pianeta fa parte di una tribù e sferra un attacco aperto alla religione organizzata, in particolare al Cristianesimo, uno spirito strettamente legato alla sua avversione per i confini e le gerarchie.
“Volta” dimostra che ciò che rende Bjork “Bjork” è molto reale: la sua fede in una tale visione ha permesso di creare un album che sfida la categorizzazione e fornisce uno sguardo su ciò che potrebbe sembrare un’utopia. “Volta” è un altro ottimo esempio di come Bjork ignora i confini di genere e quindi
crea musica al di fuori dei binari di arte bassa ed alta. Il suo cast di collaboratori in “Volta” è diverso come sempre, riunendo il produttore hip-hop Timbaland, il collaboratore di lunga data, ovvero il musicista elettronico Mark Bell, il suonatore di pipa cinese Min Xiao-Fen, l’unica voce del cantante Antony Hegarty (leader del gruppo pop Antony e Johnsons), Kora Maliana, Toumani Diabate, musicista e ingegnere elettronico, Damian Taylor e altri musicisti disparatissimi.
Bjork ha viaggiato in tutto il mondo per registrare “Volta”, accompagnata da Taylor, un Mac G4 PowerBook, un Mac G5, un disco rigido esterno, uno Shure SM58
(microfono) e il software Pro Tools (Björk e Taylor, Remix). In “Volta”, Björk mostra anche che, pur essendo una celebrità ancora contesa per quasi due decenni, la tensione tra “mainstream” e “underground” è inevitabile. Bjork dimostra costantemente una mancanza di interesse alla fama, nonché conserva quella valenza “underground”.
Durante la fase relativa ai videoclip, Bjork non ha esitato a coinvolgere artisti e
cineasti “underground” per la grafica del suo settimo album. “Volta” si inserisce perfettamente, anche acusticamente, nel discorso che ha come oggetto il binomio della natura e della tecnologia. Nonostante il messaggio pagano per tornare in armonia con la natura, si insiste molto sul fatto che “Volta” esplora molto nuove tecnologie e sonda panorami che mostrano che la scienza e la tecnologia hanno una dimensione molto naturale di per sè. “Volta” potrebbe benissimo simboleggiare una ricarica di energia per lo spirito umano. Anche se si tratta di speculazioni, molti sembrano dare credito a questa idea: “L’album “Volta” ha molto a che fare con la giustizia. Giustizia per le donne, per la femmina, per lo spirito, per la natura e per le persone in stato di bisogno in generale. “Volta” non è davvero così politico come si vuole descrivere, è solo emotivamente ansioso per la giustizia e non ha nulla a che fare con la politica, è qualcosa di molto impulsivo.
Nella penultima traccia di “Volta”si esprime un grido di giustizia, un voler “dichiarare l’indipendenza”.
Bjork vuole però sottolineare la sua non attinenza con la politica, ma essendo una musicista, vuole evidenziare la sua necessita nell’esprimere l’intera gamma delle emozioni umane. “Volta” è veramente il culmine di Bjork, la recente mossa verso la sua filosofia al livello successivo. Per questi ultimi anni, sembra come se Bjork fosse giunta a comprendere che la forza della sua capacità di sfocare i confini e distruggere le categorie, potesse arrivare al di là della semplice musica, della natura, della femminilità, della propria sfera personale, in materia di politica umanitaria e di una ricerca di la pace e la giustizia nel mondo.
Fonti consultate
-Adric, Daniel. Interview. Bjork: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
-Ali, Lorraine and Bjork. “Voices Carry.” Newsweek. 6 Sep. 2004: 64-65.
-Arnold, Matthew. Culture and Anarchy. 3rd ed. New York: MacMillan and Co., 1882.22 May2008 <http://www.library.utoronto.ca/utel/nonfiction_u/arnoldm_ca/ca_
titlepage.html>.
-Balsamo, Anne. Technologies of the Gendered Body: Reading Cyborg Women. Durham, NC and London: Duke University Press, 1996.
-Barzun, Jacques. “Introductory Remarks to a Program of Works Produced at the Columbia-Princeton Electronic Music Center.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed.Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International PublishingGroup, 2004.
-Baumgardner, Jennifer and Amy Richards. “Feminism and Femininity: Or How We Learned toStop Worrying and Love the Thong.” All About The Girl: Culture, Power, and Identity.Ed. Anita Harris. New York: Routledge, 2004. 59-68.
-Billboard.com. 8 May 2008. <http://www.billboard.com/bbcom/esearch/
searchResult.jsp?exp=yandNtt=BjorkandNtk=Keywordandan=bbcomandnor=10andNtx=mode+matchallpartialandN=36+4294122492>.
-Bjork. “5 Years.” Homogenic. Elektra, 1997.
—. “Aeroplane.” Debut. Elektra, 1993.
—. “All Is Full of Love.” Homogenic. Elektra, 1997.
—. “Army of Me.” Post. Elektra, 1995.
—. “Big Time Sensuality.” Debut. Elektra, 1993.
—. “Crying.” Debut. Elektra, 1993.
—. Debut. Elektra, 1993.
—. Drawing Restraint 9. One Little Indian, 2006.
—. Fashion advertisement. New York Times. 15 Aug. 2004. Bjork.com. 12 Mar. 2008
<http://unit.bjork.com/specials/albums/medulla/magz/img/NyTimes15aug_01-06.jpg>.
—. “Headphones.” Post. Elektra, 1995.
—. “Hidden Place.” Vespertine. Elektra, 2001.
—. Homogenic. Elektra, 1997.
—. Interview. “Antony Interviews Björk.” Interview. 8 Jan. 2007. 12 Mar. 2008
<http://www.bjork.fr/Interview-Magazine-2007.html>.
—. Interview. “Army of She: Planting Flags with Bjork.” Filter. 19 Apr. 2007. 12 Mar. 2008<http://www.filter-mag.com/index.php?id=14361andc=2>.
—. Interview. “Björk Discusses ‘Independence’, Videos, Grammys.” Pitchfork Media. 1 Feb.2008. 12 Mar. 2008 <http://www.bjork.fr/Interview-Declare-Independence.html>.
—. Interview. “Bjork Finds Her Personal in the Political.” Spinner. 30 Aug. 2007. 12 Mar.2008 <http://www.spinner.com/2007/08/30/bjork-finds-her-personal-in-the-political/>.
—. Interview. “Bjork Interview by Brandon Stosuy.” Pitchfork Media. 23 Apr. 2007. 12 Mar.2008 <http://www.pitchforkmedia.com/article/feature/42181-interview-bjrk>.
—. Interview. “Bjork Interview and Review On Volta.” Stereo Warning. 25 Jul. 2007.12Mar.2008 <http://www.stereowarning.com/2007/07/bjork_interview_review_
on_volta.html>.
—. Interview. Brooklyn Vegan. 9 Apr. 2007. 12 Mar. 2008
<http://www.brooklynvegan.com/archives/2007/04/an_interview_wi_18.html>.
—. Interview. Drownedinsound.com. 12 Mar. 2008
<http://www.drownedinsound.com/articles/1900868>.
—. Interview. “Half Child, Half Ancient.” Harp. 11 Jan. 2007. 12 Mar. 2008
<http://www.bjork.fr/Harp-Magazine-novembre-2007.html
—. Interview. “The Return of the Ice(land) Queen.” Instinct. 1 Sep. 2004. 12 Mar. 2008 <http://instinctmagazine.com/celebrity-interviews/bjork.html>.
—. Interview. “Sno-Koan.” Wired. 6 Jun. 1998. 12 Mar 2008
<http://www.wired.com/wired/archive/6.06/bjork_pr.html>.
—. Interview. Stylus. 26 Apr. 2007. 12 Mar. 2008
<http://www.stylusmagazine.com/articles/interview/bjork.htm>.
—. Interview. Uncut. 2004. 12 Mar 2008
<http://www.uncut.co.uk/music/bjork/interviews/16>.
—. “Jóga.” Homogenic. Elektra, 1997.
—. Medúlla. Elektra, 2004.
—. “Modern Things, The.” Post. Elektra, 1995.
—. “Oceania.” Medúlla. Elektra, 2004.
—. “Pagan Poetry.” Vespertine. Elektra, 2001.
—. Post. Elektra, 1995.
—. “Scary.” Bachelorette Single. One Little Indian, 1997.
—. Selmasongs. Elektra, 2000.
—. “Show Me Forgiveness.” Medúlla. Elektra, 2004.
—. “Sod Off.” Jóga Single. One Little Indian, 1997.
—. “Statement.” Online posting. 4 Mar. 2008. Björk.com. 6 Mar. 2008
<http://bjork.com/news/?id=779;year=2008#news>.
—. “Submarine.” Medúlla. Elektra, 2004.
—. “Sweet Sweet Intuition.” It’s Oh So Quiet Single. One Little Indian, 1995.
—. Telegram. Elektra, 1996.
—. “Undo.” Vespertine. Elektra, 2001.
—. “Unison.” Vespertine. Elektra, 2001.
—. Vespertine. Elektra, 2001.
—. Volta. Atlantic, 2007
— and Sjón Sigurðsson. Interview. Björk: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
— and Damian Taylor. Interview. “Gypsy Queen.” Remix. 1 Jul. 2007. 12 Mar. 2008
<http://remixmag.com/artists/electronic/gypsy_queen_bjork_volta/>.
-“Bjork Discography.” Wikipedia. 2 May 2008.
<http://en.wikipedia.org/wiki/Bjork_discography>.
-Björk: Greatest Hits— Volumen 1993-2003. Dir. Michel Gondry, Sophie Muller, Danny Cannon, Stephane Sednaoui, Jean-Baptiste Mondino, others. Perf. Björk, others. 1993-2002. DVD. One Little Indian, 2002.
-Bjork: Live in Cambridge. Dir. David Barnard. Perf. Björk, Mark Bell, The Icelandic Octet. 2Dec. 1998. DVD. One Little Indian, 2001.
-Bjork: Live at Royal Opera House. Dir. David Barnard. Perf. Bjork, Matmos, Zeena Parkins,Simon Lee, Greenland Inuit Choir, Il Novecento Orchestra. 16 Dec. 2001. DVD. OneLittle Indian, 2002.
Bjork: Live at Shepherds Bush Empire. Dir. David Barnard. Perf. Björk, Guy Sigsworth, Leila Arab, Plaid, Yasuhiro Kobayashi, Trevor Morais. 27 Feb. 1997. DVD. One LittleIndian, 2001.
-“Bjork, The Making of …‘Declare Independence’ Video.” Dir. Mike Spinella. Perf. Bjork, Mark Bell, Michel Gondry, others. Online video. 29 Nov. 2007.
<http://www.spinner.com/2007/11/29/bjork-the-making-of-declare-independence-videoexclusive/>.
-Bjork: MTV: Unplugged and Live. Dir. Unknown. Perf. Björk, Talvin Singh, Guy Sigsworth, Oliver Lake, Mark Bell, others. 1994, 1998. DVD. One Little Indian, 2001.
-Bourdieu, Pierre. The Rules of Art: Genesis and Structure of the Literary Field. Cambridge:Polity, 1996.
-Brockes, Emma. “The Emma Brockes Interview: Bjork.” The Guardian. 13 Feb. 2006. 12Mar. 2008 <http://arts.guardian.co.uk/print/0,,5397912-110428,00.html>.
-Brooks, Ann. Postfeminisms: Feminism, Cultural Theory and Cultural Forms. New York:Routledge, 1997.
-Cassidy, Paul. Interview. Bjork: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
-Cixous, Hélène. “The Laugh of the Medusa.” Feminisms: An Anthology of Literary Theory and Criticism. Ed. Robyn R. Warhol and Diane Price Herndl. Rev. ed. New Brunswick, NJ:Rutgers University Press, 1997. 347-362.
-Cowell, Henry. “The Joys of Noise.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed. Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Curott, Phyllis. Book of Shadows: A Modern Woman’s Journey Into the Wisdom of Witchcraft and the Magic of the Goddess. New York: Broadway Books, 1998.
-Curran, Giorel. 21st Century Dissent: Anarchism, Anti-Globalization and Environmentalism. Hampshire and New York: Palgrave MacMillan, 2006.
“Dark Moon, The.” Aquamoonlight Astrology. 2003, 2004.
<http://www.aquamoonlight.co.uk/lilith-dark-moon.html>.
-Davidson, H.R. Ellis. Pagan Scandinavia. New York and Washington, D.C.: Frederick A.Praeger, 1967.
-De Beauvoir, Simone. The Ethics of Ambiguity. Trans. B. Frechtman. Secaucus, NJ: Citadel Press, 1948.
-“Declare Independence.” Music video. Dir. Michel Gondry. Perf. Bjork, Mark Bell, others.2008. YouTube, 2008. <http://www.youtube.com/
watch?v=igOWR_-BXJU>.
-DeGregori, Thomas R. The Environment, Our Natural Resources, and Modern Technology.Ames, IA: Iowa State Press, 2002.
-Deodato, Eumir. Interview. Bjork: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
-“Desired Constellation.” By Bjork. Perf. Björk, Damian Taylor. Fox Theater, Detroit, MI. 11 Sep. 2007.
-Drumming, Neil. “Guided by Voices.” Entertainment Weekly. 3 Sep. 2004. 12 Mar. 2008 <http://www.ew.com/ew/article/0,,688723_3,00.html?print>
-“Earth Intruders.” Music video. Dir. Michel Ocelot. Perf. Björk. 2007. YouTube, 2008.<http://www.youtube.com/watch?v=igOWR_-BXJU>.
Egyptian Mythology. New York: Tudor Publishing, 1965.
-Eno, Brian. “The Studio as Compositional Tool.” Audio Culture: Readings in Modern Music Ed. Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Evans, Liz. Women, Sex, and Rock ’n’ Roll. London: Pandora, 1994.
-Freedman, Estelle B. No Turning Back: The History of Feminism and the Future of Women.New York: Ballantine Books, 2002.
-Friedan, Betty. The Feminine Mystique. New York: W.W. Norton and Co., 1963.
-Gittins, Ian. Björk: There’s More To Life Than This: The Stories Behind Every Song. New York: Thunder’s Mouth Press, 2002.
-Gleeson, Kate and Hanna Frith. “Pretty in Pink: Young Women Presenting Mature Sexual Identities.” All About The Girl: Culture, Power, and Identity. Ed. Anita Harris. New York: Routledge, 2004. 103-113.
-Glennie, Evelyn. Interview. Björk: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
-Gondry, Michel. Interview. Bjork: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
-Gudmundsdóttir, Bjork and Tríó Guðmundar Ingólfssonar. Gling-Gló. One Little Indian, 1990.
-Gunnarsson, Valur. “Waving a Pirate Flag.” Reykjavik Grapevine. 2004. Online Posting.Bjork.com. 12 Mar. 2008 <http://unit.bjork.com/specials/albums/
medulla/pirate/index.htm>.
-Handley, Ed and Andy Turner. Interview. Björk: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St.Martin’s Press Griffin, 1995.
-Haraway, Donna. “A Cyborg Manifesto: Science, Technology, and Socialist-Feminism in theLate Twentieth Century.” The Feminism and Visual Culture Reader. Ed. Amelia Jones.New York and London: Routledge, 2003. 475-496.
-Hebdige, Dick. Subculture: The Meaning of Style. London: Methuen and Co. Ltd., 1979.
-Hesmondalgh, David. “Bourdieu, the Media and Cultural Production.” Media, Culture, and Society 28.2 (2006): 211-231.
-Hoggard, Liz. “‘Maybe I’ll be feminist in my old age.’” The Observer. 13 Mar. 2005.
Guardian. 12 Mar. 2008 <http://arts.guardian.co.uk/print/0,,5146736-110428,00.html>.
-Hoggart, Richard. “The Full Rich Life and the Newer Mass Art: Sex in Shiny Packets.”Cultural Theory and Popular Culture: A Reader. Ed. John Storey. 2nd ed. Athens:University of Georgia Press, 1998. 42-47.
-Hollows, Joanne. Feminism, Femininity and Popular Culture. Manchester and New York: Manchester University Press, 2000.
-Holmes, Thom. Electronic and Experimental Music: Pioneers in Technology and Composition. 2nd ed. New York and London: Routledge, 2002.
-Holy Bible: Revised Standard Version. New York: Oxford University Press, 1962.
-Horkheimer, Max and Theodor W. Adorno. “The Culture Industry: Enlightenment as Mass Deception.” Dialectic of Enlightenment. 1944. Trans. John Cummings. New York:Herder and Herder, 1972. 120-167.
-Inner or Deep Part of an Animal or Plant Structure, The. Dir. Ragnheidur Gestadóttir. Perf. Bjork, Rahzel, Dokaka, Mike Patton, Valgeir Sigurðsson, others. 2004. DVD. OneLittle Indian, 2004.
-“Innocence.” Music video. Dir. Fred and Annabelle. Perf. Björk. 2007. YouTube, 2008.<http://www.youtube.com/watch?v=72RFO1YtLMg>.
-Inside Björk. Dir. ?. Perf. Björk, RZA, Joy Press, David Toop, Sean Penn, others. 2002. DVD.One Little Indian, 2002.
-Irigaray, Luce. “This Sex Which Is Not One.” Feminisms: An Anthology of Literary Theory and Criticism. Ed. Robyn R. Warhol and Diane Price Herndl. Rev. ed. New Brunswick, NJ: Rutgers University Press, 1997. 363-369.
—. “When Our Lips Speak Together.” Feminist Theory and the Body: A Reader. Ed. Janet Price and Margrit Shildrick. New York: Routledge, 1999. 82-92.
-Jeffreys, Sheila. Beauty and Misogyny: Harmful Cultural Practices in the West. London and New York: Routledge, 2005.
-Kealey, Daniel A. Revisioning Environmental Ethics. Albany: State University of New York Press, 1990.
-King Missile. “Muffy.” Fluting on the Hump. Shimmy Disc, 1987.
-Kinsley, David. Ecology and Religion: Ecological Spirituality in Cross-Cultural Perspective.Englewood Cliffs, NJ: Prentice Hall, 1995.
-Koltuv, Barbara Black. “The Book of Lilith: A Summary.” Which Lilith? Feminist Writers Re Create the World’s First Woman. Ed. Enid Dame, Lilly Rivlin, and Henny Wenkart.Northvale, NJ and Jerusalem: Jason Aronson Inc., 1998.
-Kristeva, Julia. Powers of Horror: An Essay on Abjection. Trans. L. Roudiez. New York:Columbia University Press, 1986.
—. “Women’s Time.” The Kristeva Reader. Ed. Toril Moi. New York: Columbia University Press, 1986.
-Kukl. The Eye. Crass, 1984.
-Kupelian, David. “Killer Culture.” Rereading America: Cultural Contexts for Critical Thinking and Writing. 7th ed. Ed. Gary Colombo, Robert Cullen, and Bonnie Lisle. Boston and New York: Bedford/St. Martin’s, 2007.
-Langsdorf, Antonia. “Introducing Lilith—the Black Moon in Horoscope.”
AntoniaLangsdorf.de. 21 Feb. 2002. 12 Mar. 2008 <http://www.antonialangsdorf.
de/dateien/astrologie-antonia-langsdorf-essay.php>.
-Laszlo, Ervin. The Choice: Evolution or Extinction?: A Thinking Person’s Guide to Global Issues. New York: G.P. Putnam’s Sons, 1994.
-Leavis, F.R. “Mass Civilization and Minority Culture.” Cultural Theory and Popular Culture: A Reader. Ed. John Storey. 2nd ed. Athens: University of Georgia Press, 1998. 13-21.
-Lee, Tong Soon. “Technology and the Production of Islamic Space: The Call to Prayer in Singapore.” Music and Technoculture. Ed. René T.A. Lysloff and Leslie C. Gay, Jr. Middletown, CT: Wesleyan University Press, 2003. 109-124.
-Lester, Paul. Björk: The Illustrated Story. London: Hamlin, 1996.
-“Lilith Shrine, The.” Lilitu.com. The Jewish Pagan Webring. 12 Mar. 2008
<http://www.lilitu.com/lilith/>.
-Lindow, John. Norse Mythology: A Guide to the Gods, Heroes, Rituals, and Beliefs. Oxford and New York: Oxford University Press, 2001.
-Luke, Timothy W. Ecocritique: Contesting the Politics of Nature, Economy, and Culture.Minneapolis and London: University of Minnesota Press, 1997.
-Lysloff, René T.A. and Leslie C. Gay, Jr. Music and Technoculture. Ed. René T.A. Lysloff and Leslie C. Gay, Jr. Middletown, CT: Wesleyan University Press, 2003.
-MacGregor, Sherilyn. Beyond Mothering Earth: Ecological Citizenship and the Politics of Care.Vancouver and Toronto: UBC Press, 2006.
-Marsh, Charity and Melissa West. “The Nature/Technology Binary Opposition Dismantled in the Music of Madonna and Björk.” Music and Technoculture. Ed. René T.A. Lysloff and Leslie C. Gay, Jr. Middletown, CT: Wesleyan University Press, 2003. 182-203.
-Massey, Graham. Interview. Björk: Post. Ed. Sjón Sigurðsson. New York: St. Martin’s Press Griffin, 1995.
-McClary, Susan. “Rap, Minimalism, and Structures of Time in Late Twentieth-Century Culture.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed. Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-McDonnell, Evelyn. Army of She: Icelandic, Iconoclastic, Irrepressible Bjork. New York: Random House, 2001.
-McNair, James. “Björk: Passions in a Cold Climate.” China Daily. 16 Aug. 2004. 12 Mar.2008<http://www.chinadaily.com.cn/English/doc/200408/16/content_365842.htm>.
-“Medúlla.”Bjork.com. 2004.12 Mar. 2008 <http://unit.bjork.com/specials/albums/medulla/>.
-Medúlla Videos, The. Dir. Lynn Fox, Dawn Shadforth, Spike Jonze, Ragnheidur Gestadóttir,Gabríela Fridriksdóttir. Perf. Björk, Spike Jonze, others. 2004, 2005. DVD. One Little Indian, 2005.
-Merchant, Carolyn. Earthcare: Women and the Environment. New York: Routledge, 1995.
-Milbrath, Lester W. Envisioning A Sustainable Society: Learning Our Way Out. Albany: State University of New York Press, 1989.
-Monk, Meredith and Bjork. Interview. Counterstream Radio. 2005.
<http://counterstreamradio.org/specialprograms/monk%5Fbjork/>.
-Muhly, Nico. Interview. “Nico Muhly: Pianist on ‘Oceania.’” Bjork.com. 2004. 12 Mar. 2008 <http://unit.bjork.com/specials/albums/medulla/nicomuhly/>.
-Mulvey, Laura. “Visual Pleasure and Narrative Cinema.” Feminisms: An Anthology of Literary Theory and Criticism. Ed. Robyn R. Warhol and Diane Price Herndl. Rev. ed. New Brunswick, NJ: Rutgers University Press, 1997. 438-448.
-Mymble. “Bjork and feminism and you.” Online posting. 16 Sep. 2002. Atforumz.com. 4 July2008 <http://www.atforumz.com/archive/index.php/t-152107.html>.
-Negus, Keith. Music Genres and Corporate Cultures. New York: Routledge, 1999.
-Newman, Beth. “The Situation of the Looker-On.” Feminisms: An Anthology of Literary Theory and Criticism. Ed. Robyn R. Warhol and Diane Price Herndl. Rev. ed. New Brunswick, NJ: Rutgers University Press, 1997. 449-466.
-“Oceania.” Bjorkish.net. Bjork.com. <http://specials.bjorkish.net/oceania/>.
-Pareles, Jon. “At Home Again in the Unknown.” New York Times. 29 Apr. 2007.
<http://www.nytimes.com/2007/04/29/arts/music/29pare.html?_r=1andadxnnl=1andoref=sloginandadxnnlx=1210269804-ZFZiUKX/Jx9+OWNR2o7X1g>.
—. “Bjork Grabs The World By the Throat.” New York Times. 29 Aug. 2004. 12 Mar. 2008<http://query.nytimes.com/gst/fullpage.html?res=9503E7D7153BC0A9629
C8B63>.
-Piku. “Björk and feminism and you.” Online posting. 13 Sep. 2002. Atforumz.com. 4 July2008 <http://www.atforumz.com/archive/index.php/t-152107.html>.
-Plaid. “Lilith.” Lyrics by Bjirk. Not for Threes. Warp, 1997.
-Pytlik, Mark. Björk: Wow and Flutter. Toronto: ECW Press, 2003.
Reactable. Music Technology Group, Pompeu Fabra University. Barcelona, 2003-2008. 28Apr. 2008 < http://reactable.iua.upf.edu/>.
-Reid-Bowen, Paul. Goddess As Nature. Hampshire, Eng. and Burlington, VT: Ashgate, 2007.
-Reynolds, Simon. Generation Ecstasy: into the world of techno and rave culture. 1998. NewYork: Routledge, 1999.
-Reynolds, Simon and Joy Press. The Sex Revolts: Gender, Rebellion, and Rock ’n’ Roll.Cambridge, MA: Harvard University Press, 1995.
-Ross, Alex. “Björk’s Saga.” The New Yorker. 30 Aug. 2004. Online posting. Alex Ross: TheRest is Noise. 19 Oct. 2004. <http://www.therestisnoise.com/2004/
10/alex_ross_bjrk.html>.
-Rubin, Mike. “Days of Future Past.” Modulations: A History of Electronic Music: Throbbing Words on Sound. Ed. Peter Shapiro. New York: Caipirinha Productions, 2000.
-Ruether, Rosemary Radford. Goddesses and The Divine Feminine: A Western Religious History.Berkeley and London: University of California Press, 2005.
-Russo, Mary and David Warner. “Rough Music, Futurism, and Postpunk Industrial NoiseBands.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed. Christoph Cox and DanielWarner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Russolo, Luigi. “The Art of Noises: Futurist Manifesto.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed. Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Ryzik, Melanie. “Bjork in 3-D: The ‘Wanderlust’ Video.” New York Times. 8 May 2008.<http://videso.on.nytimes.com/?fr_story=cae6cd1d56ad61cd2686baeba627
01d9f7a8d2ae>.
-Sandall, Robert. “‘This time it’s intuition only—no brain, please.’” Telegraph. 14 Aug. 2004.12 Mar. 2008 < http://www.bjork.fr/Daily-Telegraph-UK-2004.html>.
Sartre, Jean-Paul. The Transcendence of the Ego: An Existential Theory of Consciousness.Trans. F. Williams and R. Kirkpatrick. New York: Noonday Press, 1957.
-Scerba, Amy. “Changing Literary Representations of Lilith and the Evolution of a Mythical Heroine.” MA Thesis. Carnegie Mellon University, 1999.
-Schafer, R. Murray. “The Music of the Environment.” Audio Culture: Readings in ModernMusic. Ed. Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum InternationalPublishing Group, 2004.
-Schaeffer, Francis A. Pollution and the Death of Man: The Christian View of Ecology.Wheaton, IL: Tyndale House Publishers, 1970.
-Segal, Lynne. “Body Matters: Cultural Inscriptions.” Feminist Theory and the Body: A Reader.Ed. Janet Price and Margrit Shildrick. New York: Routledge, 1999. 105-110.
-Sharp, Chris. “Modern States of Mind.” Modulations: A History of Electronic Music:Throbbing Words on Sound. Ed. Peter Shapiro. New York: Caipirinha Productions,2000.
-Sloane, Robert. Personal interview. Dec. 2007.
-Smith, Sidonie. “Maxine Hong Kingston’s Woman Warrior: Filiality and Woman’s
Autobiographical Storytelling.” Feminisms: An Anthology of Literary Theory and
Criticism. Ed. Robyn R. Warhol and Diane Price Herndl. Rev. ed. New Brunswick,
Rutgers University Press, 1997. 1117-1137.
-Solarski, Matthew. “Bjork’s Tibet Boost Angers Chinese Authorities.” Pitchfork Media. 3 Mar.2008. <http://www.pitchforkmedia.com/article/news/49207-bjorks-tibet-boost-angerschinese-authorities>.
-Spelman, Elizabeth V. “Woman As Body: Ancient and Contemporary Views.” Feminist Theory and the Body: A Reader. Ed. Janet Price and Margrit Shildrick. New York: Routledge,1999. 32-41.
-Stein, Gertrude. “Sacred Emily.” Geography and Plays. 1922. Reprinted ed. Madison, WI:University of Wisconsin Press, 1993.
-Stockfelt, Ola. “Adequate Modes of Listening.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed.Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Stockhausen, Karlheinz. “Electronic and Instrumental Music.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed. Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Sugarcubes, The. Life’s Too Good. Elektra, 1988.
-Thornton, Sarah. Club Cultures: Music, Media, and Subcultural Capital. Hanover and London:Wesleyan University Press, 1996.
-UK Top 40 Hit Database. 2008. EveryHit.com. <http://www.everyhit.com/searchsec.
php>.
-Varèse, Edgard. “The Liberation of Sound.” Audio Culture: Readings in Modern Music. Ed.Christoph Cox and Daniel Warner. New York: Continuum International Publishing Group, 2004.
-Vass, Beck. “Bjork Assaults News Photographer.” The New Zealand Herald. 14 Jan. 2008. 12 Mar. 2008 <http://www.nzherald.co.nz/section/1/
story.cfm?c_id=1andobjectid=10486682>.
-Vernon, Polly. “‘I didn’t like being a celebrity. It’s a service job. Like washing toilets.’” The Observer. 8 Jul. 2007. Online posting. The Guardian. 12 Mar. 2008
<http://music.guardian.co.uk/pop/story/0,,2118290,00.html>.
-Vessel. Dir. Stephane Sednaoui. Perf. Bjork, Talvin Singh, Guy Sigsworth, Leila Arab, Dan Lipman, Ike Leo, Tansay Omar. 1994. DVD. One Little Indian, 2003.
-“Volta.”Bjork.com.2007.12Mar. 2008 <http://unit.bjork.com/specials/albums/volta/>.
-Vonnegut, Kurt. Galapagos. 1986. New York: Dell, 1999.
-Warhol, Robyn R. and Diane Price Herndl. Feminisms: An Anthology of Literary Theory and Criticism. Ed. Robyn R. Warhol and Diane Price Herndl. Rev. ed. New Brunswick, NJ:Rutgers University Press, 1997.
-Wheale, Nigel. The Postmodern Arts: An Introductory Reader. Ed. Nigel Wheale. London and New York: Routledge, 1995.
-Wiley, Juniper. “No Body Is ‘Doing It’: Cybersexuality.” Feminist Theory and the Body: A Reader. Ed. Janet Price and Margrit Shildrick. New York: Routledge, 1999. 134-139.
-Williams, Raymond. “The Analysis of Culture.” Cultural Theory and Popular Culture: A Reader. Ed. John Storey. 2nd ed. Athens: University of Georgia Press, 1998. 48-56.
-Wolf, Naomi. The Beauty Myth. New York: Doubleday, 1991.
-“World Factbook: Iceland.” 1 May 2008. CIA.gov. 3 Apr. 2008
<https://www.cia.gov/library/publications/the-world-factbook/print/ic.html>.
-Zimmerman, Michael E. Contesting Earth’s Future: Radical Ecology and Postmodernity.Berkeley and Los Angeles: University of California Press, 1994.
-Zuidervaart, Lambert. “Postmodern Arts and A Democratic Culture.” The Arts, Community,and Cultural Democracy. Ed. Lambert Zuidervaart and Henry Luttikhuizen. New York: St. Martin’s Press, 2000. 15-39.
Discografia
Volta (2007)
Earth Intruders
Wanderlust
Dull Flame Of Desire
Innocence
I See Who You Are
Vertebrae By Vertebrae
Pneumonia
Hope
Declare Independence
My Juvenile
Drawing Restraint 9 (2005)
Gratitude
Pearl
Ambergris March
Bath
Hunter Vessel
Shimenawa
Vessel Shimenawa
Storm
Holographic Entrypoint
Cetacea
Antarctic Return
Medúlla (2004)
Pleasure Is All Mine
Show Me Forgiveness
Where Is The Line?
Vökuró
Öll Birtan
Who Is It
Oceania
Submarine
Sonnets / Unrealities XI
Desired Constellation
Piano II
Mouth’s Cradle
Wednesday (Miðvikudags)
Triumph Of A Heart
Greatest Hits (2002)
All Is Full Of Love
Hyper-ballad
Human Behaviour
Joga
Bachelorette
Army Of Me
Pagan Poetry
Big Time Sensuality
Venus As A Boy
Hunter
Hidden Place
Isobel
Possibly Maybe
Play Dead
It’s In Our Hands
Vespertine (2001)
Hidden Place
Cocoon
It’s Not Up To You
Undo
Pagan Poetry
Frosti
Aurora
An Echo A Stain
Sun in My Mouth
Heirloom
Harm of Will
Unison
Selmasongs (2000)
Cvalda
I’ve Seen It All
Scatterheart
In The Musicals
107 Steps
New World
Ouverturw
Homogenic (1997)
Hunter
Joga
Unravel
Bachelorette
All Neon Like
5 Years
Immature
Alarm Call
Pluto
All Is Full of Love
Telegram (1997)
Possibly Maybe
Hyper-ballad
Enjoy
My Spine
I Miss You
Isobel
You’ve Been Flirting
Cover Me
Army of Me
Headphones
Post (1995)
Army of Me
Hyper-ballad
The Modern Things
It’s Oh So Quiet
You’ve Been Flirting Again
Isobel
Possibly Maybe
I Miss You
Cover Me
Headphones
Debut (1993)
Human Behaviour
Crying
Venus As A Boy
There’s More To Life Than This
Like Someone In Love
Big Time Sensuality
One Day
Aeroplane
Come To Me
Violently Happy
The Anchor Song
Play Dead
Gling Gló (1990)
Gling Gló
Luktar-Gvendur
Kata Rokkar
Pabbi Minn
Brestir Og Brak
Ástatröfrar
Bella Símamær
Litli Tónlistarmaðurinn
Það Sést Ekki Sætari Mey
Bílavísur
Tondeleyo
Ég Veit Ei Hvað Skal Segja
Í Dansi Með Þér
Börnin Við Tjörnina
Ruby Baby
Can’t Help Loving That Man
Björk (1977)
Arabadrengurinn
Bukolla
Alta Mira
Jóhannes Kjarvalv
Fusi Hreindyr
Himnafor
Oliver
Alfur Ut Ur Hol
Músastiginn
Baenin
[1] Pag 21, Absolute Bjork – la biografia, Mark Pytlyk
[2] Bjork – Ian Gittins pag. 61
[3] pag 131 Bjork – Ian Gittins
[4] pag. 138, Bjork – Ian Gittins
[5] Sources: Billboard.com. 8 May 2008. <http://www.billboard.com/bbcom/esearch/
searchResult.jsp?exp=yandNtt=BjorkandNtk=Keywordandan=bbcomandnor=10andNtx=mode+
matchallpartialandN=36+4294122492>; “Björk Discography.” Wikipedia. 2 May 2008.
<http://en.wikipedia.org/wiki/Bjork_discography>; UK Top 40 Hit Database. 2008.
EveryHit.com. <http://www.everyhit.com/searchsec.php>.
[6] http://www.littlesparkle.it/junipertree_trama.htm
[7] “Absolute Bjork” pag. 180
[8] “Absolute Bjork” pag. 188
[9] “Absolute Bjork”, pag 182
[10] Ibidem pag. 183
[11] http://filmup.leonardo.it/drawingrestraint9.htm
[12] Absolute Bjork di Mark Pytlik pag. 156