Salve audiofolli, ascoltiamoci un album davvero “esterofilo” con delle sonorità valide e convicenti, stiamo parlando dei Predarubia con Somewhere Boulevard.
Chicca interessante: il cantante è nato in Scozia, anche se è cresciuto in Italia.
Procediamo con il nostro consueto “track by track”.
Not in my name : un groove internazione con un ritornello che rimane in mente, degno dei migliori Rolling Stones.
Carousel off: apre con un charleston aperto cadenzatissimo, incalza la chitarra e un rullante a singhiozzi, il cantato si incastra in maniera decisa e graffiante.
Rip: intrecci di un rock autentico, che non hanno da invidiare a una grande band di fama, verso i tre minuti un piacevolissimo assolo che ti entra dentro fino al midollo.
Yesterday: non è chiaramente il brano dei quattro scarafaggi di Liverpool, ma ha il suo stile. Interessante trovata il “duetto” tra una chitarra e il suono di una stazione radio dalla ricezione disturbata, occhiolino alla musica aleatoria. Anche se il suono verso la metà del brano scompare.
A girl named Hope: più che evocativo il titolo, si tratta di una ragazza chiamata “Speranza” e così anche molto evocativa la parte strumentale, il cantato si fa rilassato, narrativo, armonioso. Non mancano episodi dove il brano prende il volo, caricandosi di energia, ma mai in maniera sfrenata.
Intermezzo: brano in inglese con titolo in italiano, proprio come un intermezzo che si rispetti la durata è molto molto breve.
Samewhere baby: un arioso brano rock con strascichi anni Novanta, né troppo leggero, né troppo possente; grande orecchiabilità e disinvoltura.
One day : la ritmica cadenzata colpisce particolarmente più degli altri brani e soprattutto trascina. Sicuramente finora il mio brano preferito.
Heaven unnecessary: si prosegue il discorso musicale delle tracce precedenti mantenendo alta la sincerità del progetto.
The waiting song: bellissimo intro “ambient” con tanto di pianoforte-reverse, ma niente paura: si ritorna alle sonorità di sempre. Un’onesta ballata.
In the distance: brano di chiusura, brillante, piacevole, come ogni fine “show” che si rispetti: chitarre corposissime che lasciano propagare energia tra solarità, potenza e leggerezza.
Disco da ascoltare in un viaggio, renderebbe sicuramente più avventuroso il percorso.